
Il vangelo della gente normale
Sembra strano, ma mentre la grande stampa mette in crisi il presepe, il favore popolare per questa forma tradizionale di sacra rappresentazione continua a crescere. Quest’anno tredici milioni di italiani hanno predisposto statuine di ogni fattezza e dimensione per ricordare il vero senso del Natale; soprattutto però hanno continuato a diffondersi, come negli ultimi anni, i presepi viventi, gesti in cui persone, animali, oggetti e scenari sono utilizzati per mostrare al popolo gli avvenimenti legati alla nascita di Gesù Bambino di 2000 anni fa. E i luoghi scelti per questi toccanti gesti di devozione popolare non sono solo e innanzitutto le chiese. Come fece san Francesco a Greccio nel 1223, molti moderni presepi viventi sono collocati in luoghi aperti, seguendo il desiderio di ricordare a tutti il vero significato del Natale.
Così, solo nell’area di Milano, sono ormai tradizione il presepe vivente ad Agliate, in Brianza, o quello di Gudo Gambaredo, vicino a Buccinasco, a cui partecipano ogni anno migliaia di persone. La novità, però, è che il presepe vivente è ridiventato protagonista dei quartieri cittadini anche in una grande metropoli come Milano. È accaduto ad esempio al quartiere Corvetto, per iniziativa delle suorine dell’Assunzione di via Martinengo e dei tanti amici del convento; è accaduto nel popolare quartiere di Crescenzago, nel brulicante viale Padova e nelle vie limitrofe. La particolarità di quest’ultimo presepe vivente è che i protagonisti sono stati gli alunni della scuola secondaria di primo grado della Fondazione Sacro Cuore di Milano, i ragazzi della parrocchia di Sant’Ignazio di Loyola nel quartiere Feltre e quelli della parrocchia di Santa Maria Rossa in Crescenzago.
I ragazzi hanno organizzato il presepe in quattro quadri, architravi della cattedrale della storia, significato recondito e profondo della vita di ognuno e di ogni famiglia: dapprima la creazione, il primo “sì” di Dio all’uomo; poi la vicenda di Abramo, Giacobbe, Mosè, dove Dio si immischia con l’uomo e gli dona una discendenza, una terra, una legge; quindi l’annunciazione, il sì dell’uomo come risposta al “sì” di Dio; infine la natività, dove Dio diventa uomo e dà vita a un nuovo popolo, la Chiesa. Il tutto per significare che “Dio non fallisce perché trova sempre nuovi modi per raggiungere gli uomini e per aprire di più la sua grande casa”, come recitava il titolo del presepe e come dicevano i commenti ai quadri, letti durante la sacra rappresentazione e tratti dai discorsi di Benedetto XVI.
Fin qui tutt’al più può sembrare “normale”. Lo scenario era, in fin dei conti, quello di 2000 anni fa: una città distratta dai saturnali pagani, ignara ormai del significato religioso del Natale, con la stampa indaffarata, come il potere d’allora, a occuparsi d’altro, apparentemente più importante. Eppure, non è stata solo una forma teatrale, per quanto sacra: come per i pastori di allora, per qualcuno qualcosa è accaduto, qualcosa d’insolito, misterioso e profondo.
Per capirlo è utile ricordare ciò da cui prese ispirazione il presepe napoletano: il vangelo apocrifo di san Giacomo, secondo cui, al momento della nascita del bambino Gesù, persone, animali, cose si sono fermati stupefatti, in silenzio e ammirazione.
Quest’anno a Crescenzago nella realtà dei fatti è successo qualcosa di analogo. Il presepe vivente, piano piano, ha coinvolto quello che doveva essere il pubblico: passanti casuali cha man mano si sono aggiunti al corteo; automobilisti che lungo la corsia opposta di via Padova rallentavano, stupiti e interrogati dalla massa di persone che ordinatamente seguiva la sacra rappresentazione; curiosi che sbucavano dalle finestre delle case richiamati dalle note del canto o da una voce che esprimeva parole di speranza.
Un minuto di assoluto silenzio
Alla fine in tremila hanno partecipato al gesto. Così al frastuono iniziale si è sostituito il canto popolare, corale e imponente, sostenuto dalla prestazione di un coro ben affiatato. Ai momenti di canto e lettura si è alternato un impressionante silenzio rotto solo dal suono di due zampogne che aprivano il corteo. Il lungo serpente di folla si è allungato sino a giungere sul sagrato della chiesa romanica dell’antico borgo di Crescenzago, oggi inghiottito dalla città, dove era stata posta la greppia della natività. Lì il presepe vivente si è concluso con un minuto di adorazione in assoluto silenzio e una semplice benedizione che ha coinvolto proprio tutti gli abitanti.
Il Papa a Natale si è chiesto: «Cristo è il Salvatore anche dell’uomo di oggi. Chi farà risuonare in ogni angolo della Terra, in maniera credibile, questo messaggio di speranza?». Don Julián Carrón, presidente della fraternità di Comunione e liberazione, nel suo intervento sul Corriere della Sera del 28 dicembre ha ricordato: «Il Natale è una speranza per tutti. Basta guardare e lasciarsi “ferire” dalla sua bellezza, così come descrive la liturgia della notte di Natale». Qualcuno, cosciente o all’inizio solo curioso, ha cominciato a rispondere, ridando vita in tanti viali Padova a quei gesti di “educazione del popolo” che don Luigi Giussani ha auspicato dopo la strage di Nassiriya. Che tutti noi sappiamo imitare questo nuovo inizio di civiltà.
* presidente Fondazione
per la Sussidiarietà
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