Il vangelo della gente normale

Di Giorgio Vittadini
11 Gennaio 2007
In una città distratta e ormai lontana dal senso del Natale, un evento piccolo come un bebè può ancora arrestare il tempo. Oggi come duemila anni fa

Sembra strano, ma mentre la grande stampa mette in crisi il presepe, il favore popolare per questa forma tradizionale di sacra rappresentazione continua a crescere. Quest’anno tredici milioni di italiani hanno predisposto statuine di ogni fattezza e dimensione per ricordare il vero senso del Natale; soprattutto però hanno continuato a diffondersi, come negli ultimi anni, i presepi viventi, gesti in cui persone, animali, oggetti e scenari sono utilizzati per mostrare al popolo gli avvenimenti legati alla nascita di Gesù Bambino di 2000 anni fa. E i luoghi scelti per questi toccanti gesti di devozione popolare non sono solo e innanzitutto le chiese. Come fece san Francesco a Greccio nel 1223, molti moderni presepi viventi sono collocati in luoghi aperti, seguendo il desiderio di ricordare a tutti il vero significato del Natale.
Così, solo nell’area di Milano, sono ormai tradizione il presepe vivente ad Agliate, in Brianza, o quello di Gudo Gambaredo, vicino a Buccinasco, a cui partecipano ogni anno migliaia di persone. La novità, però, è che il presepe vivente è ridiventato protagonista dei quartieri cittadini anche in una grande metropoli come Milano. È accaduto ad esempio al quartiere Corvetto, per iniziativa delle suorine dell’Assunzione di via Martinengo e dei tanti amici del convento; è accaduto nel popolare quartiere di Crescenzago, nel brulicante viale Padova e nelle vie limitrofe. La particolarità di quest’ultimo presepe vivente è che i protagonisti sono stati gli alunni della scuola secondaria di primo grado della Fondazione Sacro Cuore di Milano, i ragazzi della parrocchia di Sant’Ignazio di Loyola nel quartiere Feltre e quelli della parrocchia di Santa Maria Rossa in Crescenzago.
I ragazzi hanno organizzato il presepe in quattro quadri, architravi della cattedrale della storia, significato recondito e profondo della vita di ognuno e di ogni famiglia: dapprima la creazione, il primo “sì” di Dio all’uomo; poi la vicenda di Abramo, Giacobbe, Mosè, dove Dio si immischia con l’uomo e gli dona una discendenza, una terra, una legge; quindi l’annunciazione, il sì dell’uomo come risposta al “sì” di Dio; infine la natività, dove Dio diventa uomo e dà vita a un nuovo popolo, la Chiesa. Il tutto per significare che “Dio non fallisce perché trova sempre nuovi modi per raggiungere gli uomini e per aprire di più la sua grande casa”, come recitava il titolo del presepe e come dicevano i commenti ai quadri, letti durante la sacra rappresentazione e tratti dai discorsi di Benedetto XVI.
Fin qui tutt’al più può sembrare “normale”. Lo scenario era, in fin dei conti, quello di 2000 anni fa: una città distratta dai saturnali pagani, ignara ormai del significato religioso del Natale, con la stampa indaffarata, come il potere d’allora, a occuparsi d’altro, apparentemente più importante. Eppure, non è stata solo una forma teatrale, per quanto sacra: come per i pastori di allora, per qualcuno qualcosa è accaduto, qualcosa d’insolito, misterioso e profondo.
Per capirlo è utile ricordare ciò da cui prese ispirazione il presepe napoletano: il vangelo apocrifo di san Giacomo, secondo cui, al momento della nascita del bambino Gesù, persone, animali, cose si sono fermati stupefatti, in silenzio e ammirazione.
Quest’anno a Crescenzago nella realtà dei fatti è successo qualcosa di analogo. Il presepe vivente, piano piano, ha coinvolto quello che doveva essere il pubblico: passanti casuali cha man mano si sono aggiunti al corteo; automobilisti che lungo la corsia opposta di via Padova rallentavano, stupiti e interrogati dalla massa di persone che ordinatamente seguiva la sacra rappresentazione; curiosi che sbucavano dalle finestre delle case richiamati dalle note del canto o da una voce che esprimeva parole di speranza.

Un minuto di assoluto silenzio
Alla fine in tremila hanno partecipato al gesto. Così al frastuono iniziale si è sostituito il canto popolare, corale e imponente, sostenuto dalla prestazione di un coro ben affiatato. Ai momenti di canto e lettura si è alternato un impressionante silenzio rotto solo dal suono di due zampogne che aprivano il corteo. Il lungo serpente di folla si è allungato sino a giungere sul sagrato della chiesa romanica dell’antico borgo di Crescenzago, oggi inghiottito dalla città, dove era stata posta la greppia della natività. Lì il presepe vivente si è concluso con un minuto di adorazione in assoluto silenzio e una semplice benedizione che ha coinvolto proprio tutti gli abitanti.
Il Papa a Natale si è chiesto: «Cristo è il Salvatore anche dell’uomo di oggi. Chi farà risuonare in ogni angolo della Terra, in maniera credibile, questo messaggio di speranza?». Don Julián Carrón, presidente della fraternità di Comunione e liberazione, nel suo intervento sul Corriere della Sera del 28 dicembre ha ricordato: «Il Natale è una speranza per tutti. Basta guardare e lasciarsi “ferire” dalla sua bellezza, così come descrive la liturgia della notte di Natale». Qualcuno, cosciente o all’inizio solo curioso, ha cominciato a rispondere, ridando vita in tanti viali Padova a quei gesti di “educazione del popolo” che don Luigi Giussani ha auspicato dopo la strage di Nassiriya. Che tutti noi sappiamo imitare questo nuovo inizio di civiltà.
* presidente Fondazione
per la Sussidiarietà

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