Il trend di Prodi

Di Bottarelli Mauro
22 Gennaio 2004
Quindici milioni di euro a Italtrend, l’azienda della nipote, 73 appalti privilegiati e qualche mistero. La denuncia dell’europarlamentare Heaton-Harris e un’inchiesta tra Reggio Emilia, Dublino e l’Isola di Man

Chris Heaton-Harris, capogruppo del Partito Conservatore britannico al Parlamento europeo, è un duro e non fa niente per nasconderlo. Nato nel 1967 a Leicester, enfant prodige del partito nelle natie Midlands, Heaton-Harris è sposato con Jayne, ha due figlie, Megan di sette anni e Tess di quattro e un’incrollabile fede nella politica thatcheriana di anti-europeismo viscerale, dove questo termine non significa disprezzo per l’Europa bensì per l’euroburocrazia che la governa. Fermamente convinto della necessità di mantenere la sterlina come moneta e dell’intangibilità del principio di sovranità nazionale, Heaton-Harris è anche promotore di una campagna tesa a costringere Tony Blair a indire un referendum attraverso il quale il popolo britannico possa democraticamente esprimere il proprio parere sulla futura Costituzione europea, vincolando quindi la politica governativa in ambito Ue alla reale volontà della gente (a tal fine ha anche dato vita al sito Internet www.putittothepeople.com).
Come valuta la leadership europea di Romano Prodi?
«Un mucchio di belle parole e nobili propositi e nessun fatto concreto. Lo scandalo Eurostat è qui a provarlo, lo stesso caso Italtrend da me denunciato nell’indifferenza generale ne è la conferma. Tutto questo è stato reso possibile dalle terribili falle presenti nel sistema che regola la vita dell’Unione europea, una mastodontica burocrazia al cui interno si annidano i germi della scarsa trasparenza e della poca produttività. Prodi è stato costretto ad ammettere l’esistenza di scandali ed errori anche gravi ma nessuno, lui per primo, si è preso le responsabilità politiche per l’accaduto. è inaccettabile, chi sbaglia deve pagare».
Forse questa disattenzione in sede europea è dettata dal fatto che Prodi ha la testa molto occupata con la campagna elettorale italiana…
«Guardi, devo ammettere che non mi tocca né mi scandalizza più di tanto il fatto che Romano Prodi possa candidarsi alle elezioni europee o che si occupi della politica italiana utilizzando la sua posizione privilegiata di presidente. Sa perché? Perché era chiaro fin dal primo giorno, dal suo insediamento, che Prodi avrebbe tenuto il piede in due scarpe. La cosa, poi, ha assunto dimensioni quasi farsesche con l’inizio del semestre di presidenza dell’Italia: da quel giorno anche i ciechi e gli stupidi hanno capito che l’unico intento di Prodi era quello di mettere a segno un punto nella sua lotta politica e personale contro Berlusconi in una chiave che era unicamente di politica interna italiana. Certo, trovo abbastanza irresponsabile e imbarazzante in un momento di grandi problemi e preoccupazioni – interne e internazionali – per l’Europa, che il presidente della Commissione si concentri così tanto, dando anima e corpo, sulla disputa politica del proprio paese. Il suo odio per Berlusconi è più forte di qualsiasi richiamo al senso di responsabilità e del dovere. Questo, per quanto mi riguarda, rappresenta un limite politico e umano enorme».
In effetti, appena fallita la Conferenza intergovernativa, Prodi non ha perso tempo per addossarne la responsabilità proprio a Berlusconi…
«Assurdo. Il fallimento della Cig non è responsabilità di Berlusconi ma va ricercato nel fatto che la Costituzione dell’Ue rappresenta un enorme passo avanti nel processo di integrazione europea e uno step simile non può essere calato dall’alto o imposto per ragioni di tempo o di prestigio personale. Forse la gente non sa che la Costituzione garantirà un ulteriore, enorme potere di Bruxelles sulla vita dei cittadini dei singoli stati e significherà, di fatto, la fine della sovranità nazionale. è normale che di fronte a questioni simili gli stati abbiano reso note le proprie perplessità ben prima che iniziasse la Cig: cosa c’entra Berlusconi in questo? Se c’è qualcuno che ha reso la situazione ancora più difficile da risolvere , al limite, questo è proprio Prodi che ha insistito con tutti i mezzi per garantire a Bruxelles un ulteriore accorpamento di poteri. E poi, diciamola tutta: sono certo che né Berlusconi né Prodi avrebbero scommesso un centesimo sul successo della Cig. E sa perché? Perché in fondo era nell’interesse di tutti che andasse a finire così».
Lei è uno dei pochi inglesi non pregiudizialmente contro Berlusconi: l’Economist invece…
«In effetti nemmeno io so perché l’Economist detesti tanto Berlusconi. Se mi permette un’ipotesi, però, penso che non si tratti di una linea dettata dalle convinzioni liberali in fatto di economia ma di una precisa scelta del direttore e dei giornalisti, un punto di vista personale e nulla più. Insomma, una questione personale».
Mr. Heaton-Harris, come anticipato lei ha denunciato per primo la scandalo Italtrend in sede europea: vuole riassumerci brevemente la vicenda?
«Volentieri. A quanto sembra dalle evidenze – ma nonostante le mie molte richieste di chiarimento nessuno si è ancora degnato di darmi una risposta ufficiale per confermare oppure smentire – dal 1999, anno in cui Romano Prodi ha assunto la guida della Commissione Ue, Bruxelles ha versato attraverso l’ufficio per la cooperazione “EuropeAid” 15 milioni di euro (quasi 30 miliardi di vecchie lire, ndr) alla società italiana di consulting per gli aiuti allo sviluppo Italtrend, azienda con sede a Reggio Emilia al cui interno lavorano soltanto 14 dipendenti».
Cosa ci sarebbe di strano in questo?
«Nulla, se non che una di questi dipendenti è Silvia Prodi, nipote del presidente della Commissione, assunta alla Italtrend dal 1994 e attualmente assistente della direttrice Silvana Garavelli. Nata nel 1977, l’azienda si occupa in principal modo di progetti per la sicurezza degli impianti nucleari nella ex Unione Sovietica e di aiuti alle popolazioni palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. (Interpellata al riguardo, Silvia Prodi ha sdegnosamente rigettato le accuse di presunti favoritismi familiari, dicendo che vede lo zio «solo una volta all’anno, a Natale» e che non ha «mai accettato nulla in tutta la vita che derivasse dall’uso del mio cognome». Qualcosa di più lo si scopre scavando nel suo impegno politico. Silvia ha infatti sostenuto attivamente la campagna elettorale di Antonio Soda, magistrato ed ex consigliere della Corte d’Appello di Bologna, eletto per l’Ulivo nel collegio superblindato 25 di Reggio Emilia. Per ammissione dello stesso zio Romano, poi, si sa che fu proprio Silvia a suggerirgli la nomina di Antonio Di Pietro a ministro dei Lavori pubblici nel 1996, ndr)».
Un bel conflitto di interessi, quindi?
«Pare proprio di sì. Visto anche che su 75 appalti vinti dalla Italtrend, soltanto due hanno avuto un bando di gara normale, mentre gli altri sono stati quasi tutti ottenuti con trattativa diretta. Questo anche perché i sostanziosi contratti del programma Tacis (Assistenza tecnica ai paesi dell’ex Unione Sovietica) – che rappresentano il contributo finanziario dell’Unione Europea a sostegno del processo di trasformazione politica ed economica in atto nelle Repubbliche della ex Urss – sono gestiti direttamente dalla Commissione. In dieci casi di appalto è stata seguita una “procedura ristretta”: ovvero una procedura che presuppone la presenza solo di aziende invitate dalla Commissione che possono presentare un’offerta. In ulteriori quattordici casi si è seguita la strada dell’accordo “diretto” firmato da azienda e Commissione. In altri quaranta casi la Italtrend ha vinto “contratti framework”, ovvero è stata messa in condizione di competere in una serie di gare d’appalto. Altri otto contratti sono stati assegnati dopo quella che la Commissione chiama “procedura informale” mentre l’ultimo è stato concesso attraverso una “procedura negoziata”. Probabilmente sarà tutto regolare, ma questi particolari per me rappresentano un motivo in più per esigere grande trasparenza da parte di un uomo che è contemporaneamente erogatore di fondi e zio di una delle percettrici di questi fondi comunitari, quindi pubblici».
In Italia la grande stampa ha ignorato il caso. Che ne pensa?
«è molto preoccupante, visto che la stampa svolge un ruolo importantissimo. Io stesso sono venuto a conoscenza del caso attraverso una pubblicazione britannica, European Voice, che pubblicò un paio di articoli dai contenuti veramente gravi se confermati. Bene, io come politico voglio solo questo: una conferma o una smentita, la verità insomma. Come presidente della Commissione Ue Romano Prodi dispone di un enorme potere e non deve poterne abusare, non deve utilizzare la sua posizione per scopi personali di questo tipo: non è la stessa accusa che lui muove sempre a Berlusconi? Comunque sia, seppur in modo tutt’altro che formale attraverso un portavoce, Prodi ha negato responsabilità: io, comunque, non desisto. Continuo a documentarmi, a investigare sul caso e ad esigere una risposta chiara».
Niente male come storiella, che ne dite? Ora, poi, a gettare ulteriore mistero su una vicenda dai contorni già poco chiari ci ha pensato l’interrogazione presentata a Bruxelles dall’eurodeputato della Lega Nord, Mario Borghezio. Secondo il focoso esponente padano, infatti, risulterebbe che l’effettiva proprietà della Italtrend sia quantomeno nebulosa. Il socio più importante dell’azienda emiliana è infatti la Necway Trading Limited, società con sede a Dublin 2, ai civici 24 e 26 della City Quay, presso uno studio di consulenza fiscale e commerciale. Nulla di illegale, per carità, questa scoperta non è certo una notitia criminis (noi siamo garantisti, noi). La cosa strana è che allo stesso indirizzo, nella bella palazzina con vista sul mare affacciata di fronte all’International Financial Service Center, ha sede la Grant Thornton Irlanda, filiale sull’isola di smeraldo dell’istituto balzato agli onori delle cronache per la contabilità creativa di casa Parmalat. Direttore della Necway Trading Limited è Conor Blackwell, socio di Grant Thornton mentre il director operativo, quello che ne segue l’attività, è Paul Joseph Watson, personaggio che risulta risiedere a Port Saint Mary, nell’Isola di Man, noto paradiso fiscale delle Channel Islands. Una ricerca nel sito Internet dell’albo professionale dell’Isola è sufficiente per scoprire che di Watson non esiste traccia: non un curriculum, non un documento che lo riguardi. Ma c’è di più. La maggior parte delle operazioni che riguardano l’azienda sono state curate dell’avvocato italiano Sabina Dazzi ma, cercando nel sito Internet della Camera di Commercio di Reggio Emilia, si scopre che della Italtrend s.r.l. non c’è traccia nel registro degli iscritti: eppure la sede legale dell’azienda è proprio nel capoluogo di provincia emiliano, al 30 di via Raffaello. E ancora, nell’ultimo bilancio certificato dell’azienda figurano garanzie fideiussorie per 36 milioni di euro, tutte fideiussioni a fronte di fondi Ue per contratti di procurement e di assistenza tecnica. In parole povere, la Italtrend non presenta rischi d’impresa: fanno fuori ciò che ricevono con le consulenze. E poi, ancora più strano appare l’asset e la definizione che la Italtrend dà di sé: «Provider di servizi di assistenza tecnica ad istituzioni internazionali e in particolare quale società qualificata a rendere servizi di supporto nei programmi di cooperazione e sviluppo della Commissione europea nello scenario mondiale». Il tutto, si badi bene, con solo 14 dipendenti! Ripetiamo, questa non è una notitia criminis: certo che l’imperativo di trasparenza adottato da Romano Prodi al momento del suo insediamento a Bruxelles per chiudere con la sciagurata era Santer sembra un po’ appannato nello slancio… Il triciclo giustizialista del “facciamoci del bene” non ha nulla da chiedere al riguardo?

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