
Il sarto di Panama
Una spia inglese viene mandato in via punitiva a Panama, dove scopre informazioni decisive per il controllo dello stretto.
Ne avete piene le scatole dei sequel stantii dei film di 007? Non sopportate, come me, la faccia da Big Jim sempreverde di Pierce Brosnan? Se la risposta è sì, questo è il film che fa per voi. Boorman, regista barocco con punte di genio (suoi l’ossimorico Un tranquillo week-end di paura e il debordante Excalibur) gioca a distruggere uno dei generi più codificati degli ultimi anni, lo spy movie. Il personaggio interpretato da Brosnan è un anti-007: è uno zoticone, volgare e sboccato, tratta male le donne, sarebbe capace di fregare pure sua madre. È un figlio di buona donna, senza un’ombra di fascino e con tanta voglia di denaro e di femmine. Allo stesso modo, mentre gli spy-movie tradizionali erano carichi di tensione, Il sarto di Panama è statico per una buona ora per poi far precipitare gli eventi negli ultimi minuti. E per che cosa? Per niente, per un semplice gioco tortuoso fatto di sarti, sogni e belle donne. E quando tutto sembra colare a picco, ecco l’intervento di una donna, che risolve con una zampata i problemi creati dagli uomini. E tutto finisce bene. Anzi. In una frittella.
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