Il ritorno in auge dei mutui a tasso variabile dopo lo strapotere del fisso
Nelle ultime settimane nel comparto mutui sta tornando in auge il tasso variabile. Alla fine dello scorso anno il 95 per cento dei mutui era stato stipulato a tasso fisso. Ad oggi il tasso variabile viene sottoscritto da un mutuatario su quattro, un bel balzo in avanti, e con una media di otto punti percentuali nelle ultime settimane.
Sembra una contraddizione, in quanto questo nuovo orientamento si sta rafforzando proprio mentre l’inflazione non arresta la sua crescita, fenomeno che in teoria dovrebbe indurre i richiedenti il mutuo a scegliere la sicurezza del tasso fisso. La spiegazione di questa apparente contraddizione la dà il mercato.
Tasso fisso e tasso variabile a gennaio e oggi
Gli indici di riferimento Irs sono tornati ai livelli di tre o quattro anni fa: nel caso della scadenza ventennale, dallo 0,6 per cento di inizio anno siamo arrivati a vedere oltre il 2 per cento. E così, per esempio, un mutuo a tasso fisso da 140.000 euro (per l’acquisto di una casa che ne vale 220.000) con due decenni di orizzonte è passato dal costare 630 euro a rata a gennaio a poco più di 690 euro oggi. Una bella differenza per chi si sta valutando adesso l’acquisto (ovviamente, invece, nulla cambia per chi ha già avviato i piani di rimborso). Differenza che per altro non sembra destinata ad aumentare.
Molto più limitato, invece, l’incremento registrato dai tassi variabili che, a parità di spread, variano parallelamente all’Euribor, che sino ad oggi si è mosso poco. Ne consegue che un mutuo a tasso variabile a dicembre costava lo 0,5 per cento, mentre ora non supera lo 0,8 per cento. Lo spread tra tasso fisso e tasso variabile in pochi mesi è passato da 40 basis point in più per il tasso fisso ai 145 di oggi. Questo spiega perché la domanda si sta indirizzando velocemente sul variabile.
L’effetto delle decisioni della Bce sul variabile
Tra l’altro l’aumento del costo del denaro annunciato dalla Bce non sarà comunque indolore per chi ha un mutuo a tasso variabile. Prendiamo per esempio l’ipotesi di un mutuo stipulato lo scorso anno per 200.000 euro a 20 anni al tasso dell’uno per cento: con l’aumento dell’Euribor di 25 centesimi previsto per luglio, la rata aumenterebbe di circa 40 euro, passando da 920 a 960 euro circa. Questo senza prendere in considerazione un probabile aumento di altri 25 centesimi a settembre.
Se poi tra un anno l’incremento totale dovesse arrivare all’1 per cento, la rata in questione arriverebbe a costare 1.070 euro. Cosicché, se i tassi d’interesse dovessero continuare a salire, chi oggi sottoscrive un mutuo a tasso variabile allo 0,8 per cento, tra qualche anno si troverà a dover pagare una rata superiore a quella del 2,24 per cento che otterrebbe oggi con un fisso.
Euribor piatti, Eurirs al galoppo
In ogni caso, per ora i nuovi mutuatari sembrano essere propensi a focalizzarsi sulle dinamiche di breve termine. Uno spread di 150 punti base a svantaggio del fisso significa che chi oggi sceglie il tasso variabile è come se accumulasse un vantaggio di 6 rialzi dei tassi da 25 punti base. È questo il suo “tesoretto” di vantaggio iniziale. Perché gli Euribor a 1 e 3 mesi che vengono utilizzati sui mutui si muovono in corrispondenza di un rialzo dei tassi deciso dalla Bce. E mentre gli Eurirs in presenza di un’inflazione galoppante sono subito decollati trascinando con sé il tasso fisso, gli Euribor sono invece rimasti piatti.
Tirando le somme, chi oggi sceglie il tasso fisso, sborsando il corrispondente di 6 rialzi dei tassi della Bce, si “garantisce” contro l’ipotesi che la Bce stessa proceda ad alzare il costo del denaro più di sei volte. È lampante che non tutti sono disposti a pagare questa “assicurazione”, come si evince proprio dallo spostamento della domanda verso il mutuo a tasso variabile. Il 25 per cento dei richiedenti accetta il rischio prevedendo che prima o poi la situazione si normalizzi o che, qualora la Bce dovesse muoversi velocemente, il rialzo dei tassi non raggiunga livelli allarmanti.
L’ascesa del “cap”
Vista l’incertezza dettata dalla guerra in Ucraina e dai suoi esiti imprevedibili, sia sul fronte della stagnazione economica che su quello della corsa inflattiva, una soluzione che sale nell’agenda dei possibili mutuatari è quella del tasso variabile “con cap”, ovvero un mutuo a tasso variabile che preveda contrattualmente un tasso di interesse massimo che non può essere superato. In questo modo, il mutuatario ha la garanzia di una rata massima certa. Ovviamente tanto più è basso il “tetto” al tasso, tanto più il mutuo risulta tutelante contro i futuri aumenti dei tassi per il mutuo.
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