
Il Recovery Fund non è un Eldorado

Il Recovery Fund da subito è stato percepito nel nostro Paese, sia dalla maggioranza di governo che dall’opposizione, come una sorta di Eldorado: un ammontare di risorse messe a disposizione dall’Europa per essere utilizzate a piacimento. Da matrigna e austera la Commissione Europea si è trasformata, grazie al Covid-19, in un paese immaginario del Sud America, agognato dai conquistatori spagnoli, ricco di risorse finanziare cui attingere liberamente. Non stiamo qui a ricordare le tante ipotesi circolate al riguardo, menzionando solo la più irrealizzabile che consisteva nell’utilizzo di parte delle risorse per sgravi fiscali o per meri trasferimenti.
Quello che ci preme chiarire da subito è di cosa si tratta in realtà. Alcuni si sono affrettati a paragonare il Recovery Fund ai tradizionali Fondi strutturali europei che hanno aiutato le regioni italiane a convergere, in termini di Pil, ai valori medi degli altri Paesi. Nulla di più sbagliato. Tecnicamente i fondi strutturali finanziano i costi sostenuti, ad esempio, dalla Provincia X per l’ammodernamento dell’asse attrezzato. Il Recovery Plan, invece, è tecnicamente una “facility”: fissa degli obiettivi ed eroga risorse solo se tali obiettivi vengono raggiunti (le odiate condizionalità).
In altre parole il governo italiano, accanto al progetto dell’opera, deve anche fissare gli obiettivi economici che animano il programma di spesa (strumento). Rimanendo nel nostro esempio, riguardo agli obiettivi, il Recovery Plan stabilisce non solo che l’ammodernamento deciso da quella Provincia X debba essere realizzato, ma anche che debba portare un aumento del ritorno economico (nuove imprese, occupazione aggiuntiva, incremento del Pil) dell’infrastruttura nelle province X ed Y. Sicché, solo se questo obiettivo economico verrà conseguito, sarà possibile ottenere i fondi del Recovery Plan. Insomma, contrariamente ai Fondi Strutturali, la Commissione Europea non pagherà le spese per l’ammodernamento dell’infrastruttura viaria della provincia X (i costi sostenuti per realizzarlo), ma erogherà risorse finanziarie solo se grazie a quell’intervento sarà stato anche raggiunto l’obiettivo dell’aumento del Pil. Il Recovery Plan pertanto ha in sé le temute condizionalità (molto stringenti) che hanno tenuto alla larga il governo italiano dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) pandemico, che invece le ha blande.
Per il nostro Paese il Recovery Fund prevede circa 209 miliardi di euro: 127,4 mld sotto forma di prestiti e i restanti 81,4 di sussidi. Dettagliando, l’Italia riceverà il 10% dei fondi entro la fine dell’anno in corso. L’erogazione della restante parte, invece, sarà condizionata al raggiungimento degli obiettivi economici concordati con la Commissione Europea in sede di presentazione dei progetti. Altro che Eldorado.
Conoscendo le performance che l’Italia ha mostrato nell’utilizzo dei fondi strutturali e i contenuti del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (una scatola vuota) c’è da essere preoccupati. Per la cronaca nel periodo 2014-2020 il nostro Paese ha ricevuto 44,8 mld di fondi ed è riuscito a utilizzarne poco più di 17. Riguardo al Piano, invece, in barba alle raccomandazioni della Commissione Europea, ci sono più vocaboli che progetti. Gli investimenti programmati sono quelli già esistenti presentati con una nuova veste. Raramente sono stati specificati gli obiettivi e gli strumenti come espressamente richiesto dalla CE. Per dirla in breve: si tratta della stessa politica economica fallimentare, messa in atto negli ultimi lustri, che punta a conservare lo status quo senza interventi strutturali e senza alcun cambiamento del disegno dei meccanismi che aiuterebbero invece i mercati a funzionare meglio. L’unica cosa che cambia sono le risorse utilizzate. Al posto di nuove tasse e dell’emissione di debito pubblico sovrano abbiamo i prestiti dell’Europa. Ma questi non sono altro che pagamenti di tasse differiti, che ci verranno richiesti quando dovremo iniziare a restituire i prestiti ricevuti dall’estero.
Il dato da tenere in considerazione negli anni a venire sarà il tasso di crescita dell’economia italiana, visto che da questo valore dipenderà la capacità del nostro Paese di creare lavoro, di aumentare il Pil e le entrate fiscali e di ripagare il debito pubblico che stiamo accumulando. La volontà espressa dal Governo in occasione della presentazione delle linee guida del Recovery Plan è quella di raddoppiare il tasso di crescita portandolo al valore medio europeo dell’1,6. Ma visti i contenuti del “Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza” difficilmente l’obiettivo verrà raggiunto, con tutte le conseguenze macroeconomiche negative del caso.
Foto Ansa
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