
Il nuovo messianismo russo, tra anarchismo e teocrazia
Vladimir Putin vuole ristrutturare lo Stato. Il modello di riferimento è un mix di liberismo americano e statalismo cinese. La volontà di rivincita e di potenza è il fattore più prevedibile della politica di Mosca, il più coerente con la sua storia. Ogni grande svolta si è sempre risolta in una breve apertura e conseguente reazione nei confronti dell’Occidente, in un pendolo che trova il suo equilibrio in una sorta di finzione asiatica della civiltà atlantica. Un importante ruolo lo gioca la Chiesa ortodossa, che da custode dell’apparato simbolico del messianismo russo, oggi si dibatte in un movimento interno assai schizofrenico, oscillando tra l’appoggio ai gruppi più radicali di ispirazione vetero-zarista o vetero-comunista e il tentativo di elevarsi a un livello “superpolitico” di critica di tutti i sistemi, annunciando la necessità di attingere alla spiritualità ortodossa come unica via di salvezza per la Russia ed il mondo intero. Nell’ultimo Sinodo dei vescovi dell’agosto 2000, a fronte della clamorosa canonizzazione dell’ultimo zar Nicola II, fu approvato un documento sui “Fondamenti della dottrina sociale ortodossa” in cui si rilanciava la «missione universalistica» della Russia, che non può limitarsi a interessi «strettamente nazionali», ma deve testimoniare la superiore purezza degli ideali di spiritualità sulle varie forme di secolarismo, compresa quella democratico-liberale a cui si sarebbe svenduto da tempo il cristianesimo occidentale. La polemica circa la visita del papa Giovanni Paolo II in Ucraina, “territorio canonico” del Patriarcato di Mosca, la testardaggine del Patriarca Alessio nel rifiutare ogni apertura al Papa di Roma, esalta la mistica del “soli contro tutti”, che ben si adatta alla psicologia slavo-ortodossa. La posizione si stempera nella classe politica, a cominciare dal presidente Putin, pur con delle punte estreme nelle uscite estemporanee del nazionalista Zhirinovskij o nella propaganda sistematica dei comunisti di Zjuganov. La sostanza però rimane comune e diversi appelli dell’episcopato e dei movimenti ortodosso-nazionalisti sono applicati a livello parlamentare e governativo, dall’approvazione di una legge più restrittiva sulla libertà religiosa nel 1997 alla sistematica eliminazione dei mezzi di comunicazione più liberali nell’ultimo biennio putiniano. Così, ad oggi, la via post-sovietica di Mosca è tracciata “per contrasto”: la Russia non vuole la globalizzazione, non accetta il modello sociale americano, non si accoda ai sostenitori del Papa di Roma, non permette di rovinare le coscienze ai mezzi di informazione immorali… è la via della non-guerra e della non-pace, del non-socialismo e non-capitalismo, la via russa all’unione di tutti attraverso il rifiuto di tutto, tra anarchismo e teocrazia.
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