Il Nobel alla ricerca sulle staminali adulte mostra che non c’è alcun “macigno” tra scienza e fede

Di Redazione
10 Ottobre 2012
Bell'editoriale oggi su Avvenire di don Roberto Colombo, che spiega quanto sia ragionevole il metodo di ricerca proposto da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Altro che Chiesa oscurantista e medioevale

A proposito del Nobel della Medicina a John Gurdon e al collega giapponese Shinya Yamanaka, oggi appare su Avvenire un articolo che aiuta a comprendere come scienza e fede (e il Nobel ai ricercatori delle staminali adulte ne sono splendido esempio) non siano in contraddizione, anzi. A scriverlo è don Roberto Colombo, professore della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica e direttore del Centro per lo Studio delle Malattie Ereditarie Rare. Un testo interessante, che aiuta anche a capire tutta l’attualità della posizione cristiana, ancora oggi messa in discussione in Francia.

Già il titolo (“I limiti etici non frenano ma fanno volare più in alto la ricerca”) è di per sé significativo, e sviluppando il suo ragionamento Colombo scrive: «Il riconoscimento di un traguardo della ricerca, ancor più se autorevole come il premio Nobel, ricorda a tutti il valore della scienza quale grande avventura della mente umana e potente strumento per una conoscenza lucida e profonda della natura, delle sue leggi e delle opportunità che queste ci offrono per addentrarci nei segreti della vita e del mondo, sino a lambire la soglia del Mistero. Come ha ricordato Benedetto XVI nel maggio scorso, “si può dire che lo stesso impulso alla ricerca scientifica scaturisce dalla nostalgia di Dio che abita il cuore umano”. Per questo “luogo sorgivo che la ricerca scientifica condivide con la ricerca di fede, scienza e fede hanno una reciprocità feconda, quasi una complementare esigenza dell’intelligenza del reale”».

ALLARGARE L’ORIZZONTE. Don Colombo insiste sul fatto che è sbagliato pensare che la fede sia un ostacolo nella ricerca scientifica. «Se è vero – scrive – che lo sguardo sulla vita dell’uomo che nasce dalla fede porta il credente ad abbracciare, con evidenza e decisione maggiore, le ragioni del rispetto e della tutela che le sono dovute in ogni circostanza, il limite etico della ricerca sperimentale non costituisce però – né di principio né di fatto – un impedimento alla fecondità della ricerca stessa. Ma, paradossalmente, se accolto come una provocazione ad allargare l’orizzonte della ragione scientifica, esso rafforza la capacità di intelligenza del reale, stimolando l’esplorazione di percorsi della ragione e della sperimentazione forieri di soluzioni alternative per raggiungere il medesimo obiettivo. È, questo, il caso delle ricerche premiate con il Nobel per la Medicina 2012».

DUE PASSI AVANTI. È una questione di ragione illuminata dalla fede, che è sempre stato il faro del ragionamento cristiano sui limiti e le possibilità scientifiche. Non un passo indietro, ma due avanti. lo scrive ancora don Colombo ricordando una frase di qualche anno fa di Karol Wojtyla: «Nel 2000 Giovanni Paolo II ricordava che vi sono strade verso la terapia cellulare di alcune malattie che “non comportano né la clonazione né il prelievo di cellule embrionali, bastando a tale scopo l’utilizzazione di cellule staminali prelevabili in organismi adulti. Su queste vie dovrà avanzare la ricerca, se vuole essere rispettosa della dignità di ogni essere umano, anche allo stadio embrionale”».

MACIGNO? Se quelle parola parvero ad alcuni osservatori un «macigno» che la Chiesa oscurantista e medioevale voleva mettere sulla libera e laica ricerca, altri studiosi, invece, si impegnarono a seguire quel suggerimento che, tra l’altro, teneva conto del laico suggerimento del “principio di precauzione” sulle staminali embrionali. È seguendo questa linea che si è arrivati al Nobel a Yamanaka.
«Nell’incontro tra scienza e fede – conclude Colombo – la ragione prende le ali verso nuovi orizzonti, sempre più ampi, nei quali i limiti posti dell’etica sono l’occasione per imprese più ardite dell’intelligenza, “senza mai perdere la giusta umiltà, il senso del proprio limite – come ha detto Benedetto XVI –. In tal modo la ricerca di Dio diventa feconda per l’intelligenza, fermento di cultura, promotrice di vero umanesimo, ricerca che non si arresta alla superficie”».

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