
Caro direttore, la notizia della morte di Sinisa Mihajlovic è stata come un pugno nello stomaco per tutti gli appassionati di calcio. Era piaciuto a tutti noi, infatti, credere che, lottando con tutte le proprie forze e con tutte le energie fisiche e mentali, si potesse affrontare e sconfiggere anche i mali più terribili.
Era piaciuto a tutti noi vedere Mihajlovic in panchina, mentre trascinava il suo Bologna, deperito nel fisico, ma sempre pronto a lottare come un leone contro ogni avversità.
Vedendo l’incredibile forza d’animo dell’allenatore serbo, ci eravamo illusi che ogni ostacolo potesse essere superato e vinto soltanto con la tenacia e con la forza di volontà. Qualche mese fa, quando la malattia era tornata a colpirlo, Sinisa disse: «Questa malattia deve avere un bel coraggio per tornare a sfidare uno come me».
Oggi sembra che quelle parole assumano il sapore amaro di una sconfitta. Ma è davvero così? Platone, dopo aver cercato per tutta la sua vita il significato dell’esistenza umana, concluse nel “Fedone” che «la verità sicura in queste cose nella vita presente non si possa raggiungere in alcun modo o, per lo meno, con grandissime difficoltà […] A meno che non si possa con maggiore agio e con minore pericolo fare il passaggio con qualche più solido trasporto, cioè con l’aiuto della rivelata parola di un dio».
Tra una settimana sarà Natale: la festa che, più di ogni altra, ci ricorda che ciò che Platone auspicava nel “Fedone” è accaduto davvero. Un Uomo è entrato nella storia, dicendo proprio di incarnare la Rivelata parola di Dio, di cui parlava il filosofo greco. E, rivelando tale parola, ha affermato che ogni persona è destinata alla felicità eterna.
Da quel momento, ogni uomo di ogni epoca ha dovuto prendere posizione su questo incredibile fatto. È un problema che ci riguarda molto da vicino, perché, a seconda della posizione che prendiamo anche noi oggi, possiamo dire che ha vinto Sinisa Mihajlovic oppure che ha vinto la sua malattia.
Se ciò che ha detto di sé Gesù di Nazareth è vero, infatti, anche la battaglia di Sinisa non si è affatto conclusa con una sconfitta! Per questo motivo, credo che la vicenda di Mihajlovic sia proprio un grande invito a stare di fronte al Natale in modo non abitudinario, ma lasciandosi davvero provocare dalla sfida che la nascita di Gesù pone ancora oggi a ciascuno di noi.
Ciao, Sinisa!
Antonio Arciero
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La città riposa, come ogni sabato pomeriggio.
Siamo sotto Natale e non fa freddo. Anzi, c’è un tepore che mette letizia e voglia di far due passi. Scelgo un percorso illuminato da quel che resta del sole e cammino spedito, soprattutto nei tratti all’ombra.
I palazzi trattengono in alto una striscia di cielo azzurro: penso istintivamente che proprio dal Cielo, tra qualche settimana, Gesù scenderà tra noi per incontrarci. Un fatto straordinario: per incontrare me Dio si fa uomo…
Ripasso le immagini dei miei Natali precedenti, dai tempi del bambino stupito di fronte al presepe a quelli del nonno commosso tra i nipotini. E, tra un Natale e il successivo, vedo scorrere una vita intera accompagnata da quell’incontro, che si ripropone ogni giorno, anche nelle prove, e aggiunge misteriosamente certezza a certezza.
Mi appresto ad attraversare la strada – una via a senso unico – al momento senza traffico.
Scendo deciso dal marciapiede e muovo qualche passo quando, con la coda dell’occhio, vedo apparire la sagoma di una bicicletta elettrica: una di quelle usate per portare la spesa a domicilio. Sembra sbucata dal nulla e corre veloce, contromano.
Nessun accenno di frenata né il tempo per scansarmi. La pesante bici mi centra in pieno e perdo i sensi, mentre l’addetto alle consegne si dilegua.
Riprendo coscienza sdraiato sull’asfalto, supino. La striscia azzurra del cielo fa da sfondo ai volti di due donne chine su di me:
“La credevamo morto… non si muova, sta arrivando l’ambulanza”, mi dice una delle due con l’aria di sapere come affrontare la situazione. L’altra, più giovane, ha assistito all’incidente ed è ancora terrorizzata.
“Sia lodato il Cielo… ha aperto gli occhi!”, esclama appena si accorge che mi guardo attorno. Trattiene a stento le lacrime, mentre scruta i miei sguardi straniti tutt’intorno.
Di norma, a quest’ora, mi sveglio dal sonnellino schiacciato sul divano. Aperti gli occhi, rivedo la libreria, il televisore, le foto di famiglia, gli oggetti consueti che sembrano messi lì per ricordarmi che il mondo e la vita aspettano.
Oggi è tutto diverso e mi chiedo perché sono disteso su un divano d’asfalto, e vegliato – riconosco la donna più giovane – dalla commessa di un negozio vicino. E poi, perché la mia insolita assistente sembra aspettare – da me?! – una parola o un gesto rassicurante, mentre mi sistema un golf sotto la nuca?
Le risposte non tardano ad arrivare, anticipate dai dolori lancinanti che salgono da una spalla e dal braccio, e chissà da quali altre parti…
Guardo con apprensione il mio corpo inerte e provo a ruotare appena le gambe che, lentamente. ubbidiscono ai miei comandi!
Accenno un sorriso alla commessa che continua a spiare le espressioni del mio viso:
“Riesco a muovere le gambe – le mormoro con un filo di voce -, quindi la spina dorsale è illesa…”.
Il sorriso si trasforma in una smorfia di dolore al primo tentativo di muovere il busto. Il volto della commessa si rabbuia e decido di tranquillizzarla a modo mio:
“Avrò qualcosa di rotto, ma per Natale spero di essere in piedi…”
Ora è disorientata da come penso al futuro.
“È il giorno in cui il Signore viene sulla terra a trovare tutti noi e per l’occasione vorrei che mi vedesse ‘in ordine’… Se avessi battuto la testa contro lo spigolo del marciapiede sarei finito io da Lui, ma evidentemente anche quest’anno preferisce incontrarmi da queste parti”.
La commessa è spiazzata. Anche lei crede nel Natale – mi dice abbassando il tono della voce – ma io ne parlo in modo insolito, come di un fatto vero, che sta per accadere di nuovo…
Mi saluta commossa, mentre i volontari della Croce Rossa mi caricano sull’ambulanza arrivata a sirene spiegate.
Al Pronto Soccorso ho la precedenza rispetto a tanti poveri cristi sistemati su barelle poste dappertutto: è il ‘privilegio’ riservato a chi, come me, ha avuto una perdita di coscienza e corre il rischio di emorragie interne. Il numero di esami e radiografie è proporzionato a lividi e contusioni ma portano ad un’unica conclusione: fratture multiple all’omero.
Penso al male sempre più acuto che mi assale, alla possibilità dell’intervento chirurgico, agli esiti del recupero del braccio…
Penso al giorno di Natale: non sarò ‘in ordine’ all’arrivo di Gesù Bambino, e forse sarò più simile a Gesù Crocifisso…
Mi consola l’idea che la sofferenza che mi è toccata sia una reliquia di Cristo.
Walter Izzo