Tentar (un giudizio) non nuoce

Il fine vita e il fine della vita

Di Raffaele Cattaneo
28 Settembre 2024
Anche in Regione Lombardia ci si dovrà pronunciare sulla proposta di legge. Alcuni criteri per un voto consapevole
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Il fine vita e il fine della vita. Come è noto, il consiglio regionale della Lombardia sarà chiamato presto a pronunciarsi sulla proposta di legge d’iniziativa popolare voluta dall’Associazione Coscioni e da Marco Cappato, sul tema del suicidio medicalmente assistito. Sono iniziate le audizioni nelle commissioni e dunque si è avviato il dibattito politico.

In questo contesto come gruppo consiliare “Noi moderati” abbiamo ritenuto opportuno organizzare un momento di approfondimento e confronto che si svolgerà lunedì 30 settembre alle ore 14.30 nella sala Pirelli (via Fabio Filzi 22). Al dibattito parteciperanno voci molto differenti: dal costituzionalista, al medico, dal professore di etica al direttore sanitario, ai tanti che hanno testimonianze da portare in dibattito sino ai gruppi politici che discuteranno e voteranno la legge.

Ragioni e libertà

Abbiamo voluto affrontare questa sfida innanzitutto perché su questo tema stanno prevalendo due posizioni, a mio giudizio, inadeguate. La prima è quella che tende a compattarsi attorno a posizioni culturali e politiche, ma senza ragioni adeguate. La seconda è quella della libertà di coscienza, per cui si fa sponda sul fatto che i temi in discussioni sono delicati e quindi ognuno deve esser lasciato libero di esprimersi secondo la propria ragione, senza disciplina di partito.

Questa seconda posizione, che apparentemente può sembrare molto adeguata, nasconde però un’insidia, ossia la volontà un po’ comoda di lavarsi le mani davanti al confronto su un tema sensibile, riducendo il tutto ad una questione privata e negando quindi lo straordinario impatto pubblico che le scelte della legge, su temi così eticamente rilevanti, hanno sul futuro di una civiltà.

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Tre aspetti

Il nostro tentativo invece è quella di mettere a confronto e approfondire le ragioni di ciascuno, sostanzialmente su tre aspetti.

Il primo è quello squisitamente giuridico e legislativo. Si tratta, cioè di stabilire di chi è la potestà legislativa in questo campo, chi dal punto di vista della Costituzione, ha titolo per pronunciarsi. Se possono farlo le Regioni o il Parlamento nazionale, ma anche dove finisce il confine della legge, cioè se su questi temi è giusto legiferare o invece necessario rispettare un limite che ha a che fare con la singolare e profonda differenza che attiene ad ogni singolo individuo, e il rispetto necessario dell’esercizio della libera scelta di ciascuno.

Una seconda dimensione è poi quella etica e antropologica. Dietro la legge c’è sempre una visione di società e civiltà che la legge contribuisce a determinare e che giunge sino alla domanda cruciale. In quanto comunità, come vogliamo stare al cospetto della questione misteriosa della sofferenza e della morte?  

La terza dimensione, infine, è quella sociale e comunitaria. Una società si regge sulla forza del capitale sociale che la costituisce. Al cospetto di scelte come quella del suicidio assistito, in trasparenza si vede l’alternativa tra una società che tende ad una solitudine disperata o a una società che vuole provare a ricostruire una comunità capace di accompagnare la persona soprattutto nel momento della sofferenza e del dolore. E dunque che tipo di comunità vogliamo? Tutto questo in un contesto che ha profondamente mutato il nostro capitale sociale, trasformando in pochi anni quel rapporto fiduciario che consentiva al piccolo commerciante di fare credito sino a fine mese al suo cliente in virtù della fiducia reciproca, ai punti fragola dell’Esselunga. Un divario così importante che offre il segno di una trasformazione comunitaria impossibile da recuperare.

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Cosa vuol dire “curare”

Il tema relativo al fine vita è da considerarsi pertanto un argomento politico per eccellenza. Non si tratta solo di disciplinare un aspetto tecnico o giuridico, né di definire il confine di una cura medica. Si tratta di ragionare su quale idea di comunità e società vogliamo spenderci, se ci sta a cuore ridare contenuto ad una società della speranza, o vogliamo abdicare al relativismo dell’ossimoro sulla “dolce morte”.

Sino a poco tempo fa, “curare” era un verbo che trascendeva anche la possibilità di guarigione, perché la persona era posta al centro dei processi medici, etici e bioetici. Io a questo assunto vorrei continuare ad ancorarmi, perché dal modo con cui si affronta la sofferenza e la fragilità si misura il grado di civiltà di un popolo. Esistono barriere morali e politiche che una volta abbattute fanno inesorabilmente finire su un pendio scivoloso che può portare a conseguenze inimmaginabili.

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