
Il cuore su due ruote
Certo che fa piacere passeggiare nel centro di Bologna. Così, per fare quattro passi. Ma c’è qualcuno per cui è grande la soddisfazione di vedere giovani e adulti che si muovono in moto. Con la sua moto. «Vuol dire che qualcosa di buono lo abbiamo realizzato nel mondo delle due ruote. E che nonostante l’offensiva venuta dall’estremo oriente, continua ad esserci un pubblico che preferisce i nostri modelli».
Antonino Malaguti dal primo febbraio è il presidente dell’omonima azienda emiliana. «La patata bollente me l’hanno passata papà Learco e mio fratello Marco. Cosa dovevo fare? Ho accettato. Tanto poi le decisioni importanti le prendiamo assieme, come è sempre stato nella famiglia». Malaguti rimane a tutti gli effetti un’azienda a conduzione familiare, una family company per dirla come usa nei convegni. Dal 1959, lo stabilimento principale è situato a San Lazzaro di Savena. Qui si trovano la direzione strategica, quella commerciale, amministrativa e logistica. Ma anche una show room che testimonia, attraverso modelli antichi, altri meno lontani, fino alle creature più recenti, l’avventura della Malaguti. Il secondo stabilimento sorge a Castel San Pietro Terme e comprende la direzione di produzione, i magazzini, le catene di montaggio, la divisione stampaggio plastiche (da dove escono le famose e fiammanti carenature che andranno a personalizzare le moto), le lavorazioni meccaniche, il pre-montaggio di alcuni componenti, gli uffici tecnici e controllo qualità.
A fare la somma i due stabilimenti ricoprono una superficie di circa 60.000 metri quadrati, con 270 dipendenti. «In alcuni momenti dell’anno arriviamo anche a 350 persone. Ma per Malaguti evidentemente è fondamentale anche la rete di 450 punti vendita collocata su tutto il territorio nazionale. Il prodotto deve convincere prima di tutto i rivenditori. Se manca questo passaggio diventa tutto molto più complicato», spiega il presidente.
Malaguti fa 80 milioni di euro l’anno, un fatturato sostanzialmente stabile da qualche tempo in qua e con un buon 50 per cento che arriva dalla voce esportazione. «Siccome non ti regala niente nessuno, il fatto che le nostre moto vadano bene anche in piazze europee tradizionalmente difficili significa che il made in Italy gode tuttora di grande fiducia. E per Malaguti made in Italy vuol dire metterci passione in ciò che si fa tutti i giorni, dare importanza alla creatività e alla ricerca tecnologica, sempre però mai dimenticando per strada le origini della nostra storia, secondo me una bella storia di impresa italiana».
A questo punto conviene tornare indietro e risalire fino al 1930. È allora che parte l’avventura imprenditoriale. Con il signor Antonino Malaguti che costruiva biciclette. «Che grande appassionato il fondatore. Pensi che ha voluto chiamare suo figlio, che è poi mio padre, Learco. Sì proprio come l’immenso Learco Guerra, soprannominato la locomotiva umana». La fabbrica si reggeva su una quindicina di dipendenti. L’ottimo Antonino che aveva nel sangue quello sport tutta fatica ed emozioni arrivò pure a sponsorizzare celebri campioni, come ad esempio Loretto Petrucci. «Valevano eccome le bici Malaguti, già sofisticate e perciò mai banali. Ma è nel dopoguerra che l’azienda fa il suo scatto decisivo. Resta nelle due ruote, ma scopre il motore», ricorda il presidente. L’ingresso nel mondo del motorizzato avviene con il mitico motore Mosquito montato su uno speciale telaio Malaguti con serbatoio integrato. E di lì a poco ecco l’Express che prese quel nome dal motore fabbricato in Germania. Siamo nel 1958. Da quel momento in avanti l’azienda sforna una ricca collezione di cinquantini: scooter come il cosiddetto Saigon e modelli più o meno sportivi. Nel 1970 nasce il Dribbling. Ma la vera rivoluzione si consuma nel 1975, quando dalla catena di montaggio Malaguti esce il Fifty. «Quel modello ha identificato l’azienda, ha rappresentato un successo incredibile, anche un fatto di costume. Pensi che il Fifty è rimasto in produzione, logicamente con tutti i suoi bei correttivi, fino nel pieno degli anni Novanta. Insomma, ventitrè anni di onorata carriera». Oggi la gamma comprende modelli che vanno dalla categoria 50 fino alla linea dei 500 «più sopra non andiamo, lasciamo ad altri quel territorio, Malaguti continua a concentrarsi e a sviluppare prodotti di grande appeal nella fascia più ampia del mercato».
Non solo cinquantini
Azzeccare il prodotto giusto al momento giusto non è cosa per tutti. È faccenda seria, da imprenditori. Stai a vedere che prima di tutto bisogna mettersi in contatto con la realtà. «Cogliere come cambiano le esigenze. Se negli anni Settanta il motorino era per lo più un oggetto modaiolo, uno status symbol, nel decennio successivo la moto è divenuta una necessità, specie nei centri urbani fortemente trafficati. Ma soprattutto, la moto finiva di essere un qualcosa solo per i giovani e solo per il divertimento. Finalmente anche gli adulti scoprivano questo mezzo. Ecco allora la nascita e il rapido successo degli scooteroni. Malaguti è stata prontissima a far propri questi segnali proponendo al mercato modelli come il Phantom e quindi il Madison».
In casa Malaguti targati e non targati viaggiano di pari passo. Forse, ma davvero di poco, l’azienda emiliana commercializza più veicoli con targa, anche se per molti anni il suo destino, come abbiamo detto, era tutt’uno con il classico cinquantino. «L’Italia scopriva il piacere della moto durante il boom economico. Magari non tutti potevano acquistarla, però di sicuro era un sogno collettivo. Anche il cinema contribuiva ad alimentare questo desiderio. Ricorda Vacanze romane con Gregory Peck e Audrey Hepburn in giro per le magnifiche strade di Roma su una vespa?». Poi ci fu la passione dei giovani per il motocross. Antonino Malaguti abbozza, tira un sospiro, infine confessa: «Anch’io mi sono cimentato con il motocross che da queste parti va alla grande. Niente di che, anzi ero un po’ scarso, però quanto mi piaceva! Naturalmente la passione è rimasta. Ecco perché quando vedo una nostra moto sulla strada provo un piacere particolare. Se non è amore questo poco ci manca».
E, a proposito di atti d’amore, il presidente di Malaguti ha voluto chiamare suo figlio Learco, in omaggio al nonno e al papà. A questo punto domandiamo se il figlio è contento della decisione. Si ride di gusto.
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