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Il cristianesimo non c’entra nulla col socialismo

Presentare Cristo come «il primo socialista della storia» è un’astuzia propagandistica a cui hanno fatto ricorso i socialisti di ieri e di oggi

Rodolfo Casadei
18/01/2021 - 1:00
Esteri
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Le elezioni senatoriali della Georgia, che hanno spostato la maggioranza del Senato Usa dai repubblicani ai democratici, sono state il microcosmo di tutte le battaglie ideologiche che si combattono sul palcoscenico della politica americana, e fra queste ce n’è stata una che merita un commento. Fra le accuse che la senatrice repubblicana uscente Kelly Loeffler ha lanciato contro il candidato democratico che alla fine l’ha battuta, il reverendo Raphael Warnock, c’è quella di essere un sostenitore del socialismo. Accusa che una volta distruggeva le carriere dei politici americani, mentre oggi spesso semplicemente riscalda il dibattito sui rispettivi programmi. Warnock, che ha un inconfutabile passato filo-marxista, ha respinto l’etichetta, pur con una buona dose di ambiguità. Fra le “prove” portate contro di lui ce n’è una assai curiosa: un brano di un suo sermone del 2016 in una chiesa battista di Atlanta: «La Chiesa delle origini era una Chiesa socialista», diceva quello che sarebbe diventato il primo senatore afro-americano della Georgia. «So che voi pensate che questo sia un ossimoro, ma la Chiesa delle origini era molto più vicina al socialismo che al capitalismo. Andate a leggere la Bibbia. Amo ascoltare gli evangelici che citano sempre la Bibbia. Bene, a quei tempi avevano tutto in comune. Prendevano tutte le loro cose – sto semplicemente citando la Bibbia – e le mettevano in comune. Ma oggi le persone che dicono di seguire la Bibbia alla lettera non fanno certamente questo».

La Chiesa delle origini non era socialista

Presentare Cristo come «il primo socialista della storia» è un’astuzia propagandistica a cui hanno fatto ricorso i socialisti italiani alla fine dell’Ottocento (primo fra tutti Camillo Prampolini) per sedurre le masse cattoliche assorbite dal lavoro salariato. Fa sorridere che un pastore protestante del XXI secolo, laureato in teologia e filosofia presso l’Union Theological Seminary di New York, prenda per buono quella definizione, dimostrando grande ignoranza nell’esegesi biblica e nella comprensione di ciò che il socialismo è. La Chiesa delle origini non era socialista, perché non costringeva i fedeli a consegnare in tutto o in parte i loro beni: era una libera scelta. Anania e Saffira (Atti degli Apostoli 5, 1-11) sono pubblicamente biasimati non perché non abbiano versato interamente alla comunità il prezzo del campo che avevano venduto, ma perché mentono trattenendo per sé una parte dell’importo mentre dichiarano di avere versato l’intera cifra. I beni che i cristiani possedevano non diventavano beni collettivi in termini giuridici; ciascuno conservava la proprietà legale dei suoi beni, ma li considerava patrimonio comune col quale si sovvenivano i bisogni dei più poveri. Leggiamo infatti in Atti 4, 32: «(…) nessuno diceva sua proprietà quanto gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune».

L’origine è la fede

La Chiesa delle origini non era socialista anche perché non chiedeva ai fedeli di affidare i loro beni ai pubblici poteri, ma di metterli a disposizione della comunità, che era una realtà sociale spontanea. I cristiani non versavano l’importo dei beni venduti al governatore romano o a re Erode perché lo usassero per le loro politiche sociali, ma lo portavano ai piedi degli Apostoli. Come scrive Bruno Cantamessa, «il motore del mettere in comune è la fede in Gesù. Luca (l’autore degli Atti – ndr) pare qui voler precisare che la koinonia cristiana non deriva in primo luogo dall’amicizia (philia), come nel proverbio riportato da Aristotele, ma è l’unione nella fede in Gesù, che realizza un ideale umano altissimo: la fede vissuta insieme realizza l’amore fraterno; e l’amicizia, espressione di questo amore fraterno, provoca a sua volta la comunione dei beni materiali». È l’amicizia che nasce dall’amore fraterno che ha la sua origine nella fede in Gesù che conduce a mettere in comune i beni. Da chi non condivide questa amicizia non si pretende nulla, non gli si impone nulla: il contrario del socialismo, che obbliga tutti per legge a trattare i beni materiali nel modo che lo Stato decide.

Retta ragione

Falsamente oggi come ieri i cristiani vengono accusati di volere imporre teocraticamente agli altri le loro dottrine quando si oppongono alle norme giuridiche che legalizzano l’aborto, il divorzio, il consumo di stupefacenti, il matrimonio fra persone dello stesso sesso, l’eutanasia, la fecondazione assistita eterologa, ecc. Su tutti questi punti i cristiani non cercano di imporre agli altri la loro visione del mondo, ma fanno valere i diritti della legge morale universale, che ogni uomo credente o non credente porta scritta nel cuore (vedi Catechismo della Chiesa cattolica, Gaudium et Spes, Lettera ai romani, ecc.). Se così non fosse, le leggi nascerebbero solo dall’arbitrio dei potenti o delle maggioranze passeggere. Si dovrebbe denunciare una teocrazia cristiana solo nel caso in cui i cristiani pretendessero di imporre per legge che i cittadini devono cedere tutti i loro beni alla Chiesa la quale poi li gestirebbe come patrimonio comune; che ogni cittadino deve porgere l’altra guancia al violento che l’ha colpito in faccia; che al mendicante che chiede il nostro soprabito dobbiamo consegnare anche camicia e canottiera; che polizia ed esercito vanno aboliti perché non bisogna opporre resistenza ai violenti (Mt 5, 39); e così via. Ma questo nella storia non è mai accaduto se non nel caso di sparute minoranze eretiche, e la Chiesa ha sempre saputo distinguere fra il cammino verso la perfezione, che è proposto alla libertà dell’uomo, e il diritto naturale che deve sempre e comunque essere promosso dagli Stati, pena l’illegittimità morale degli atti di governo: «La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza» (Giovanni XXIII, Pacem in Terris, n. 30).

Proprietà privata

Sul diritto alla proprietà privata, che è inalienabile ma non incondizionato in quanto deve rispondere al principio della destinazione universale dei beni terreni, la Chiesa cattolica in particolare ha saputo articolare un insegnamento assai ricco, inattaccabile dal punto di vista teoretico e saggio sotto l’aspetto pratico, ben distinto e critico nei confronti sia del socialismo che del capitalismo. Questo non è il luogo per illustrare tutta la dottrina sociale della Chiesa su questo argomento; basti citare qualche passaggio del radiomessaggio di Pio XII nel cinquantenario della Rerum Novarum:

«Senza dubbio l’ordine naturale, derivante da Dio, richiede anche la proprietà privata e il libero reciproco commercio dei beni con scambi e donazioni, come pure la funzione regolatrice del potere pubblico su entrambi questi istituti. Tutto ciò nondimeno rimane subordinato allo scopo naturale dei beni materiali, e non potrebbe rendersi indipendente dal diritto primo e fondamentale, che a tutti ne concede l’uso; ma piuttosto deve servire a farne possibile l’attuazione in conformità con il suo scopo. (…) Secondo la dottrina della Rerum novarum, la natura stessa ha intimamente congiunto la proprietà privata con l’esistenza dell’umana società e con la sua vera civiltà, e in grado eminente con l’esistenza e con lo sviluppo della famiglia. Un tal vincolo appare più che apertamente; non deve forse la proprietà privata assicurare al padre di famiglia la sana libertà, di cui ha bisogno, per poter adempiere i doveri assegnatigli dal Creatore, concernenti il benessere fisico, spirituale e religioso della famiglia? Nella famiglia la nazione trova la radice naturale e feconda della sua grandezza e potenza. Se la proprietà privata ha da condurre al bene della famiglia, tutte le norme pubbliche, anzitutto quelle dello Stato che ne regolano il possesso, devono non solo rendere possibile e conservare tale funzione – funzione nell’ordine naturale sotto certi rapporti superiore a ogni altra – ma ancora perfezionarla sempre più. Sarebbe infatti innaturale un vantato progresso civile, il quale – o per la sovrabbondanza di carichi o per soverchie ingerenze immediate – rendesse vuota di senso la proprietà privata, togliendo praticamente alla famiglia e al suo capo la libertà di perseguire lo scopo da Dio assegnato al perfezionamento della vita familiare».

La Chiesa non potrà mai optare per il socialismo, checché ne dicano anche alti prelati, perché esso distrugge la famiglia, che è Chiesa domestica. Già è bastato un eccesso di welfare concepito assistenzialisticamente per ottenere questo risultato in tutta l’Europa occidentale, figuriamoci col socialismo. Che ha anche un altro difettuccio non da poco: è come uno studente molto bravo a fare le divisioni e le sottrazioni, ma incapace di sommare e di moltiplicare. Divide la ricchezza che trova, ma non è capace di produrne di nuova. Se avete un amico venezuelano chiedetegli i dettagli, e lui ve li spiegherà.

Foto Ansa

Tags: capitalismocristianesimoGeorgiasocialismo
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