Il corpo offerto del giudice Livatino

Di Francesco Inguanti
14 Maggio 2025
Il corpo del giudice, ucciso dalla mafia nel 1990, è diventato oggetto di venerazione nella chiesa di Santa Chiara a Canicattì. Le parole dell’arcivescovo di Agrigento, monsignor Alessandro Damiano

Da sabato 10 maggio 2025 il corpo del beato Rosario Livatino, il giudice ucciso dalla mafia 21 settembre del 1990, è diventato oggetto di venerazione nella chiesa di Santa Chiara a Canicattì.

A conclusione della cerimonia religiosa, cui ha preso parte tantissima gente, giunta da ogni dove, il corpo del giudice è stato posto nella chiesa di Santa Chiara, per consentire che la sua venerazione sia più agevole ai tanti fedeli che a distanza di anni continuano a ricordarlo nella preghiera.

Alla fine del processo di ricognizione canonica, il corpo del beato – che è stato trovato in perfetto stato di conservazione – è stato posto in un’urna trasparente. È stato rivestito dalla toga ed in mano vi è stato posto il Vangelo. Un’equipe di esperti ha effettuato uno studio sulla fisionomia del magistrato canicattinese e creato una speciale maschera in silicone che ne riproduce i lineamenti del volto. Il corpo del giudice Livatino sarà visibile fino al prossimo 18 maggio. In seguito, sarà realizzato un monumento consono, che sarà riaperto tre volte l’anno: il 21 settembre, giorno dell’anniversario del suo assassinio, il 2 ottobre, Giorno della Memoria liturgica del beato, e il 9 maggio, data della sua beatificazione.

Il cristiano e le ingiustizie

Nella sua omelia, di fronte ai sacerdoti della diocesi, a numerosi sindaci della provincia e alle autorità civili, l’arcivescovo di Agrigento, monsignor Alessandro Damiano, ha richiamato l’attenzione dei fedeli sul significato dei segni, che nell’esperienza della fede sono sempre importanti perché «ci permettono di focalizzare lo sguardo su ciò che crediamo e perché ci aiutano a riferire ogni aspetto della realtà alla speranza nella quale siamo salvati: Cristo, crocifisso e risorto».

Ne ha indicati due in modo particolare: il corpo ecclesiale e il corpo del beato.

In effetti, anche il colpo d’occhio offerto dal lungo corteo di fedeli e il silenzio e raccoglimento di tutta la cerimonia ha espresso il valore di un’assemblea radunata non attorno al corpo di Rosario Livatino, ma attorno «all’Agnello immolato, a cui il Beato Rosario si è unito prima con la sua vita e poi con il suo martirio». Quindi un’assemblea viva che deve diventare «artefice di risurrezione per tutti».

L’arcivescovo ha voluto richiamare il rapporto che lega le moltitudini di cui parla la Scrittura e quella della assemblea dei presenti lì convenuti, che dicono come «non ci possiamo salvare da soli, così come non possiamo vivere da soli; né possiamo coltivare gli interessi di un gruppo ristretto a scapito di quelli di tutti gli altri». Ne è mancato il richiamo all’impegno contro la mafia. A tal proposito ha affermato: «Il cristiano non può neppure disinteressarsi di chi commette le ingiustizie più atroci e si macchia delle colpe più gravi, diventando un pericolo per sé stesso e una minaccia per la comunità. Non può farlo per la comunità, che deve essere in ogni modo tutelata, e non può farlo per lui – il peccatore – che deve essere in ogni modo recuperato, perché è la prima vittima di un sistema sbagliato, da correggere fin nei suoi fondamenti».

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Rosario Livatino, il magistrato ucciso dalla mafia il 21 settembre del 1990, proclamato beato in odium fidei (foto Ansa)

Triplice dovere sacerdotale

Il secondo segno indicato è il corpo stesso del beato a partire dalla sua camicia intrisa di sangue. «Se quel sangue – ha proseguito – testimoniava già la potenza del suo martirio, il suo corpo ci potrà adesso raccontare la fecondità di un’esistenza, breve ma intensa, offerta». Parlando dunque del significato del culto ha detto che esso attinge la sua forza nel rapporto con Dio. E ha poi precisato che il culto si è prolungato nella saggezza e nella libertà con cui ha svolto il suo lavoro al servizio del bene e della giustizia, in favore degli oppressi e degli oppressori e si è manifestato nella responsabilità di «scegliere per decidere e decidere per ordinare».

Ha così concluso: «Questo ci racconta il corpo del Beato Rosario, perché ci aiuti a capire cosa significhi concretamente quel triplice dovere sacerdotale, profetico e regale a cui il nostro battesimo ci abilita: rapporto con Dio, saggezza e libertà al servizio del bene e della giustizia, responsabilità nelle scelte piccole e grandi della vita. Il nostro corpo ecclesiale sarà degno del corpo di Rosario solo se saprà incarnare il suo esempio e continuare la sua opera. Perché di reliquie – cioè di resti – che lasciano il tempo che trovano, non sappiamo cosa farcene. E non ci capiti di ingannare noi stessi, pensando che basti venerare le reliquie dei santi per riempirle di onori di cui non hanno bisogno, se non sappiamo ridare onore alla dignità umana che il loro sacrificio, unito a quello di Cristo, ha voluto promuovere, riscattare e custodire».

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Sub tutela Dei

Alla cerimonia ha preso parte anche Roberta Masotto che, unitamente ad altri esponenti del mondo della giustizia, ha curato tre anni fa una importante e significativa mostra promossa dalla Libera Associazione Forense, dal Centro Studi Rosario Livatino, e dal Centro Culturale Il Sentiero, dal titolo: Sub tutela Dei, che è stata presentata al Meeting di Rimini e poi esposta in tantissime città italiane.

A conclusione della celebrazione le abbiamo chiesto il motivo e il senso della sua partecipazione. «Dopo questi tre anni ricchissimi di incontri – ha detto – in cui la mostra ha girato tutta l’Italia, facendo conoscere la splendida figura di Rosario Livatino, è stato per me particolarmente significativo partecipare a questa cerimonia. Mi ha commossa soprattutto la grande partecipazione del popolo, l’affetto di tutti per questo figlio di Canicattì che tanto onore fa alla sua città. Mi auguro che il recupero del suo corpo per la venerazione possa destare ancora più interesse per la sua persona e per la sua storia».

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