
Il compito delle vacanze? Dimissionare Berlinguer
Esiste un modello berlingueriano di studente che viene portato in ogni scuola, così che i ragazzi di oggi vi si adeguino senza fare troppe storie. Lo studente berlingueriano è quello che ha tante capacità e poche conoscenze, molte attitudini e, se proprio occorre, qualche nozione, molta disponibilità ad essere addestrato e poca propensione alla critica, se non al passato. Lo studente berlingueriano è tranquillo, pacato, sempre sereno. Iscritto a qualche associazione nazionale, preferibilmente l’UDS, partecipa alla vita democratica della scuola: discute, dialoga, tollera le divergenze e le diversità, fa valere la sua idea, ma alla fine ritiene che è giusto e buono ciò che la maggioranza decide, perchè non è un individualista, ma un essere social-scolastico. Impegnato nei progetti dell’istituto, considera la scuola come una seconda famiglia, in cui sta bene perchè trova la soluzione ai suoi problemi.
Questo è lo studente berlingueriano, un bravo ragazzo che cresce nell’humus scolastico, apprendendo per osmosi valori e metodi del piccolo soviet che è il suo istituto, la sua classe, il suo gruppo di progetto. Questo tipo di studente in realtà è uno studente annoiato, senza spirito d’avventura, perso nelle maglie strette del potere, smarrito di fronte a se stesso, alla realtà e agli altri. Per fortuna lo studente berlingueriano ancora non esiste. È per questo che, con le sue “riforme”, il Ministro si prova a inventarlo.
Autonomia per le istituzioni.
Ma non per le persone L’autonomia che sta varando il ministro Berlinguer non ha nulla a che vedere né con la libertà della scuola, né con la libertà nella scuola, né con la libertà di educazione, né con la libertà di insegnamento, in quanto è “un’autonomia delle istituzioni scolastiche”, come titola lo schema di regolamento già emanato.
Per realizzare tale autonomia ogni scuola predispone il Piano dell’offerta formativa (P.O.F.) che rappresenta la sua identità culturale e ne “esplicita la progettazione culturale, curricolare, educativa ed organizzativa”. Secondo il modello collettivista l’identità non è né delle persone né del loro libero aggregarsi, ma di un ambito istituzionale, la scuola che ha un’identità decisa per votazione nel Collegio dei docenti e nel Consiglio di istituto.
All’interno del P.O.F. si ammette il rispetto dei “gruppi minoritari”, infatti il regolamento afferma che il P.O.F. “comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, e valorizza le corrispondenti professionalità”. Il che tradotto significa che non sarà possibile una programmazione personale diversificata, ma solo modi diversi di spiegare i programmi già decisi in sede ministeriale. Le singole scuole, coerentemente con gli indirizzi e gli obiettivi indicati dal ministero, possono sviluppare la loro autonomia, introducendo l’insegnamento modulare, la divisione del gruppo classe in sottogruppi, la ridefinizione degli orari senza però mutare le ore previste per la singola disciplina, progetti di recupero, di sostegno, di orientamento e di riorientamento per affrontare gli insuccessi scolastici, l’attivazione di insegnamenti ulteriori rispetto a quelli previsti dall’indirizzo di studio e che rimangono comunque facoltativi.
Come si vede l’autonomia non è che un’ottima applicazione dell’asserto hegheliano secondo cui il cittadino è libero quando fa ciò che vuole lo Stato.
Esami di stato. Uno spot del Ministero Berlinguer ricorre allo spot televisivo per tranquillizzare gli studenti che si trovano ad affrontare il “suo” esame di stato. Il buon nonno della scuola italiana rassicura tutti che questo nuovo tipo di esami sarà finalmente equo e premierà chi si è impegnato nel lavoro scolastico.
Perché Berlinguer ha sentito il bisogno di distribuire queste pillole anti-stress?
Forse perché si è accorto che questo tipo di esame è così caotico e astruso da togliere inevitabilmente il sonno agli studenti-cavia che avranno l’onore di sperimentarlo per primi. Al di là di ogni considerazione sul valore culturale-didattico del nuovo esame il problema è che il Ministro e i suoi acuti consiglieri hanno preparato un tipo di prova che assomiglia più ad una roulette russa che ad una verifica della maturità di uno studente.
Obbligo fino alla prima liceo L’innalzamento dell’obbligo a 15 anni è certamente la più singolare delle iniziative di Berlinguer: che cosa cambia se uno studente conclude il cursus dell’obbligo in prima liceo o in prima ragioneria o in prima itis invece che in terza media? Se prosegue negli studi, tutto è come prima, ma se si ferma in prima superiore che vantaggio ne trae? Portare l’obbligo a 15 anni è solo un modo per parcheggiare i ragazzi un anno in più a scuola, come se stare in una classe fosse di per sé positivo. L’obbligo a 15 anni, se gli insegnanti non ci metteranno come al solito una pezza, rischia di aver un solo esito, l’innalzamento della noia e della delusione tra i giovani.
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