
Il carcere entra a scuola. Lo strano incontro tra detenuti e studenti

La prima domanda che una persona libera fa a un detenuto o ex detenuto è sempre la stessa: “Cosa hai fatto per meritare la reclusione in carcere?”. È la stessa domanda che un detenuto o ex spera non gli venga mai posta, per non essere identificato con il reato che ha commesso. «La curiosità è una caratteristica molto umana. Nei ragazzi giovani è ancora più accentuata. Quando abbiamo cominciato a portare ex detenuti nelle scuole ci siamo trovati subito a scontrarci con questo imbarazzo», racconta Ornella Favero, responsabile di Ristretti Orizzonti. Una cooperativa di uomini e donne reclusi nel carcere di Padova che da 18 anni si occupa di realizzare un quotidiano, e che da qualche anno esce dal carcere per recarsi nelle scuole. L’idea è stata proprio di Favero che ha chiamato l’iniziativa “Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere”. È da più di dieci anni che prosegue, con sempre più adesioni, e per l’anno scolastico 2014-15 si è appena conclusa. Sono stati più di 4.500 i ragazzi coinvolti quest’anno, un numero sempre crescente, impossibile contare quelli conosciuti in un decennio di incontri.
[pubblicita_articolo]OLTRE IL REATO. Sono così tante le richieste di incontri nelle scuole, che molto spesso Ristretti orizzonti è costretta a dire di no. Nel corso degli anni è un po’ variata la modalità con la quale gli incontri si tengono, spiega Favero: «Abbiamo capito che il modo giusto per parlare del carcere ai ragazzi era parlare della vita in cella. Non di qualcosa di astratto, non del problema del carcere in Italia, rischiava di essere troppo lontano dal mondo spensierato degli adolescenti. Mettendo di fronte a loro una storia, invece, si mostra loro che il carcere è fatto da persone».
«I ragazzi si sentono raccontare percorsi di vita, non un elenco di reati scabrosi. Vogliamo che capiscano che molto spesso le condizioni sono così sfortunate che si è portati a compiere un reato oppure, altre volte, è solo questione di attimo. Penso che abbiamo fatto un buon lavoro quando, dopo l’incontro, un ragazzo viene a dirmi: “Anche io un giorno potrei comportarmi così”. Perché il carcere non è una dimensione così lontana dalle persone che si ritengono ad oggi “libere”».
«SCRIVETE». Quando Favero ha cominciato a proporre gli incontri ai detenuti del carcere di Padova, la risposta è stata preceduta da qualche attimo di imbarazzo. «Mi dicevano di non essere in grado di parlare di sé, di sentirsi intimiditi. Allora ho suggerito di provare a scrivere tutto su un foglio, perché carta e penna aiutano sempre a schiarirsi le idee. Il mio intento era che uscisse fuori un racconto vero, che non tralasciasse la complessità di una vita tragica. I ragazzi di oggi sono bombardati dai telegiornali, che quotidianamente compilano l’elenco dei fatti di cronaca nera. Si indugia sui particolari, con morbosità inutile sia per le vittime sia per chi ha commesso il gesto. Che è vittima di un dramma, suo malgrado. Con il ciclo di incontri “Il carcere entra a scuola” volevamo togliere la distanza che c’è tra il carcere e il “mondo là fuori”, nelle facce dei ragazzi che incontriamo vedo che ci siamo riusciti».
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