
Il buy-back fa bene alle banche. Ma anche a noi
In uno degli ultimi articoli economici pubblicati su tempi.it, si affermava che la salute delle banche genera un effetto positivo per l’economia reale.
Tale affermazione merita un approfondimento in forza delle notizie che si apprendono dai consigli di amministrazione delle aziende di credito più importanti del nostro paese: l’aumento di capitale di Unicredit accompagnato dal riacquisto delle proprie obbligazioni e la possibilità che quest’operazione venga mutuata da altre banche. Che – si rammenti a premessa di quanto segue – sono realtà con la vocazione alla massimizzazione dei profitti. Insomma, si parla di soldi e non di opere di bene.
L’autorità bancaria europea (Eba) ha ridefinito il valore minimo per il Core Tier 1 al 9 per cento e ha cambiato le regole di valutazione del rischio dei Titoli di stato, penalizzando, di fatto, i detentori di debito pubblico italiano. Se si sommano tali richieste con la mancanza di liquidità nel sistema europeo e con la perdita di redditività delle banche, il risultato non è di buon auspicio, o almeno non lo era fino a dicembre. Infatti, grazie al celebre prestito triennale all’uno per cento della Banca centrale europea le prospettive sono cambiate.
Con i capitali presi in prestito dalla Bce, direttamente e indirettamente le banche mirano a due obbiettivi: ricapitalizzarsi e aumentare la liquidità.
Unicredit è stata la prima a muoversi in tal direzione, in primis con un aumento di capitale da 7,5 miliardi (guarda il video con l’intervista al DG Roberto Nicastro), successivamente con operazioni di buy-back sui bond subordinati per 3 miliardi e infine con un prestito obbligazionario garantito per 25 miliardi. Quest’ultimo può essere utilizzato da Piazza Cordusio per portare nelle proprie casse ulteriore liquidità nella successiva asta della Bce a febbraio.
Le altre realtà creditizie cui è stato richiesto un intervento sul coefficiente Core Tier 1 si muoveranno, più o meno, seguendo le strada già percorsa da Unicredit. Banca Monte Paschi, Ubi banca e Banco Popolare non faranno aumenti di capitale, ma interverranno nel mercato, si presume, ricomprandosi le loro obbligazioni (buy-back). Il buy-back consiste nell’utilizzare una parte della liquidità prestata dalla Bce per riacquistare, prima della scadenza, le obbligazioni di propria emissione. Così facendo la banca compra sul mercato il suo debito ad un prezzo scontato rispetto al valore di rimborso. Unicredit, con l’operazione annunciata per 3 miliardi, dovrebbe guadagnare 500 milioni di euro e con questi utili migliorare ulteriormente il Core Tier 1.
Se migliorano gli indicatori di solidità patrimoniale, le aziende di credito possono intervenire nel mercato per comprare debito pubblico italiano: titoli appetibili per la loro redditività e per il basso rischio sostanziale annesso. L’effetto della capitalizzazione e degli utili generati dal buy-back andrebbero a ridimensionare per compensazione le penalizzazioni imposte dall’Eba sui titoli di stato.
Il giro di operazioni sommariamente descritto darà benefici non solo alle banche, ma a tutto il sistema. Banche più solide e più liquide avranno meno remore a soddisfare le richieste di capitali dell’economia reale. Quanto si lamenta oggi, cioè il “disinteresse del sistema creditizio alle necessità di finanziamento del sistema” dipende dalla necessità di capitalizzarsi e dalla mancanza di liquidità. Percorrere questa strada di sicuro farà guadagnare le banche, ma renderà contenti anche coloro che si recheranno agli sportelli.
Twitter: @giardser
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