
«Il business dell’infertilità è criminale». La storia di Rachel

«Quando mio marito e io fummo chiamati per il trattamento di fecondazione in vitro mi sembrava tutto surreale, ma ho anche avvertito un sollievo incredibile. L’enorme pressione di questo compito impossibile non era più sulle mie spalle, ma nelle mani sicure degli esperti». Rachel Tompkins ha 29 anni quando decide di sposarsi e sospendere la pillola, desiderando mettere su famiglia, ma «dopo anni passati a cercare di non rimanere incinta per concentrarmi sulla mia carriera e sulla mia vita sociale, ho capito subito quanto sarebbe stato difficile». I mesi passano, a tutti, amici, colleghi, contatti virtuali di Rachel sembra data la gioia di festeggiare un figlio in arrivo, a lei no: i suoi test di gravidanza danno sempre esito inspiegabilmente negativo e la donna inizia a perdere le speranze di farcela da sola a concepire un bambino. Sembrerebbe l’inizio di una delle tante storie che celebrano le possibilità offerte dalla procreazione medicalmente assistita. Non è così.
LA FECONDAZIONE ASSISTITA NON SI TOCCA
Rachel Tompkins affida la sua storia, simile a quella di tantissime altre donne, all’Independent in un momento in cui il governo del Regno Unito spende durissime parole per condannare i Clinical Commissioning Groups (Ccg, gli enti locali che amministrano il budget del servizio sanitario) che per ragioni economiche hanno ridotto l’accesso alla fecondazione assistita. Il 17 giugno il ministro inglese della salute Jackie Doyle-Pricen ha inviato una comunicazione agli amministratori dei 195 enti britannici invitandoli a porre fine alle diseguaglianze che «rovinano la vita dei pazienti e danneggiano la reputazione del servizio sanitario», raccomandando loro di attenersi alle linee guida sulla fertilità del National Institute for Health and Care Excellence (Nice) per soddisfare le esigenze di tutta la popolazione, sottolineando la «grande sofferenza psicologica» causata dall’infertilità. Secondo le linee guida tutte le donne sopra i 40 anni che soddisfano i criteri di ammissibilità devono poter ricevere tre cicli gratuiti di fecondazione assistita (Fiv). I Ccg dovranno tagliare altre prestazioni.
«AVREI PAGATO QUALSIASI CIFRA»
Rachel è stata “fortunata”: è riuscita a qualificarsi per il ciclo gratuito ma «non ci avrei pensato due volte a pagare qualsiasi cifra per migliorare le mie possibilità di concepire». Per questo è rimasta sconvolta dalla notizia che le cliniche private che si occupano di infertilità stanno spingendo per offrire alle coppie trattamenti “add-on” a costi aggiuntivi per potenziare le probabilità di successo di una gravidanza. A caro prezzo, scrive Rachel, perché approfittare dello stato di vulnerabilità di qualcuno alla ricerca disperata di un bambino, spesso indebitandosi fino al collo e in condizioni di fragilità psicologica, «è a dir poco criminale. Anch’io, come molti altri mi sono fatta coinvolgere fino al punto che avrei accettato e provato qualsiasi cosa suggerissero i medici».
Rachel resta incinta e il 12 dicembre 2012 nasce il suo primo bambino. Ma i tentativi di dargli un fratello falliscono, un aborto spontaneo dopo l’altro. Rachel non è più idonea per ricevere una seconda Fiv a spese del servizio sanitario e si rivolge a una clinica privata. E «quando ci hanno offerto trattamenti “aggiuntivi” come lo scratching endometriale e la colla embrionale, non ero nelle condizioni di informarmi sulla loro efficacia scientifica. Mi sono fidata dei medici. Questo è esattamente ciò che fa la maggior parte delle persone quando investono non solo i loro soldi, ma anche i loro cuori e la loro sanità mentale nei trattamenti della fertilità». I trattamenti non funzionano, «dopo aver speso più di 10 mila sterline in un sogno che non voleva realizzarsi, abbiamo dovuto desistere. La salute mentale e i risparmi non sono infiniti». Così, quando Rachel crede di aver rinunciato per sempre al sogno di avere un altro bambino, il bambino arriva. Maggio 2016: senza Fiv, senza trattamenti “add-on”, senza cliniche e senza pensarci, Rachel dà alla luce il suo secondo figlio.
DIRITTI E PROFITTI
Dal 2017, denuncia Fertility Fairness che promuove campagne per consentire l’accesso completo e paritario ai servizi per l’infertilità, un Ccg su cinque ha ridotto i cicli di Fiv, uno su dieci sta considerando di tagliarli o eliminarne la fornitura, sette su dieci offrono uno ciclo solo, soltanto uno su otto fornisce i tre cicli consigliati. «Inaccettabile», dice il ministro, «è una vergogna nazionale», rincara Sarah Norcross, presidente di Fertility Fairness. Morale: i Ccg di Herts Valley e South Norfolk hanno ripristinato i finanziamenti per accedere ai servizi e secondo il Guardian questa settimana potrebbero fare lo stesso Cambridgeshire e Peterborough. «Questi tagli ai finanziamenti sono stati devastanti per così tante persone. L’infertilità ha gravi ripercussioni sulla qualità della vita delle persone colpite, delle loro famiglie, mettendo a dura prova le relazioni e causando sofferenze mentali» spiega il dottor Thanos Papathanasiou, esperto della procreazione medicalmente assistita e primario a Bourn Hall. La versione di Rachel, persona “colpita” e messa a dura prova è un’altra.
IL TABÙ DEI FALLIMENTI
La Fiv ha un basso tasso di successo quanto a “figli in braccio”, le possibilità sono limitatissime, il sogno di avere un bambino no. E sul limite offerto da queste possibilità e l’illimitato desiderio di concepire è cresciuto un business redditizio, «pensare che alcune cliniche approfittino di persone vulnerabili come me solo per fare soldi è del tutto aberrante». Il fatto che la fecondazione in vitro sia disponibile privatamente «non significa che le persone disperate e fiduciose come me dovrebbero subire abusi per puro profitto. La legge deve cambiare». È vero: una volta aperta e manutenuta la strada dallo Stato, quella del concepimento è diventata una delle pochissime industrie che operano praticamente in assenza di regolamentazione. Con la Fiv si è stravolto il concetto di gravidanza che non inizia più dal concepimento, ma dall’esito di un test. Dei rischi, dei fallimenti di questa spesso vana e dolorosa ricerca di un figlio attraverso la tecnica non parla nessuno. Così come di quelle decine di migliaia di embrioni scartati o ancora intrappolati nei congelatori delle cliniche per la fertilità, avanzi di gravidanze e sogni infranti di genitorialità. Passato dallo Stato o pagato a peso d’oro, non ci chiediamo neanche più chi fa le spese del diritto all’accesso completo e paritario ai servizi per l’infertilità.
Foto Ansa
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