L’aspetto maggiormente irritante dell’intervista rilasciata da Nichi Vendola a Francesco Merlo su Repubblica è l’alveo di borghese zuccherosità in cui il tutto è confezionato. I bacetti, la tranquillità della casetta in Canadà, le mielose moine. Lasciateci in pace, è la nostra vita, la nostra tranquillità, i nostri affetti. Davvero il sentimentalismo è il tarlo del nostro tempo, l’acido che corrode ogni principio di ragione.
È sempre così, fanno sempre così. Ti scazzottano con le loro carezze, mentre menano fendenti al minimo senso di logica che bisognerebbe tenere in un discorso che sia fra adulti e non fra adolescenti che si fanno sballottare dall’emotività. Ci rifilano pure la suggestione religiosa («come Giuseppe sono padre putativo»), papa Francesco, i pensierini da Baci Perugina di Massimo Recalcati, il tragicomico riferimento a mastro Geppetto.
«Tutto è chiaro e pulito», dice Vendola. Tutto ha il suo posto e la sua dimensione nel borghesissimo mondo del comunista Vendola. La donatrice ci vuole bene, la portatrice ci vuole bene, noi ci vogliamo bene, il bambino sorride sempre, adesso gli cantiamo la ninna nanna. Le foto e i filmini «benedetti dalla grazia», ma non una parola sul contratto, le clausole, i commi, il vile denaro, il quattrino sonante: non si interrompe così volgarmente un’emozione. Si chiama gestazione per altri, mica utero in affitto. Ci siamo avvalsi della collaborazione e della generosità di benestanti donne americane, non siamo andati a sfruttare le straccione dell’India e dell’Ucraina.
Volevamo una cosa, avevamo i soldi per permettercela, ce la siamo comprata. Ma abbiamo rispettato tutte le regole, non abbiamo sfruttato nessuno, vivremo per sempre felici e contenti col nostro orto «con cinque tipi di pomodori» e la nostra musica classica. Adesso aspettiamo un attimo la Cassazione e poi veniamo a fare un giretto in Italia.
A noi – che siamo i cattivi, gli omofobi, gli insensibili, quelli «ostili» al bambino – viene solo da pensare che se paghi per avere una “cosa”, la notizia non è che sei felice. La notizia – cioè il fatto – è che hai pagato, che quella “cosa” è un bambino e che tu l’hai trattato come una merce, riducendolo a prodotto della filiera industriale che ha trasformato l’utero femminile nella più moderna e sofisticata fabbrica di sfruttamento delle viscere altrui.
«La gestazione per altri è la risposta della scienza al bisogno di famiglia», dice Vendola. Ma dovrebbe specificare che è il suo “bisogno di famiglia”. A quello del piccolo, pare non averci pensato nessuno.
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