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Home Economia

Ichino: Occorre alleggerire il cuneo fiscale sul lavoro dipendente

La riforma Fornero ha costretto «centinaia di migliaia di collaborazioni autonome continuative ad essere regolarizzate o a cessare».

Matteo Rigamonti
06/02/2013 - 8:35
Economia
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Per fronteggiare la crisi occupazionale «occorre abbattere il muro che oggi divide domanda e offerta di lavoro nel nostro Paese: un muro cui contribuisce una normativa complicatissima e illeggibile anche per gli esperti; ma vi contribuiscono soprattutto un cuneo fiscale e contributivo assolutamente eccessivi, nonché il difetto grave di servizi nel mercato del lavoro» italiano. Occorre, invece, «riaprire l’Italia agli investimenti esteri». A parlare è il giuslavorista Pietro Ichino, fuoriuscito del Pd, oggi in lista con Monti al Senato, che suggerisce: «Serve un Codice del lavoro che sostituisca con non più di sessanta articoli chiari e brevi un coacervo disorganico di duemila pagine di norme di fonte statale, rendendolo leggibile per i milioni di persone che devono applicarlo e traducibile in inglese».

Professor Ichino, la disoccupazione cresce e la ripresa è lontana; nessuno si aspettava che la riforma Fornero riuscisse ad invertire da sola un trend che dura ormai da due anni. Di cosa c’è bisogno perché l’Italia possa tornare competitiva su uno scenario globale? È sufficiente abbattere il costo previdenziale e fiscale sul lavoro?
Occorre agire su molte leve. Una progressiva riduzione delle imposte sui redditi di lavoro e di impresa, innanzitutto; in qualche misura la legge Fornero consente anche una riduzione del cuneo contributivo previdenziale: per esempio con la riduzione del contributo per la Cassa Integrazione. Ma soprattutto occorre riaprire l’Italia agli investimenti stranieri: se solo riuscissimo ad allineare l’Italia alla media europea, questo comporterebbe un flusso aggiuntivo di più di 50 miliardi di investimenti diretti dall’estero ogni anno. I quali portano con sé piani industriali innovativi e centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro.

Quale è stato, se c’è stato, il contributo dato dalla riforma Fornero? Ci sono dati che lo dimostrano?
Innanzitutto, la legge n. 92/2012 ha fatto quella riforma degli ammortizzatori sociali che da 18 anni nessun governo era riuscito a fare. Questo ha significato avere un’assicurazione contro la disoccupazione universale, per tutto il lavoro dipendente, di livello europeo; e la graduale riconduzione della Cassa integrazione alla sua funzione originaria: non sarà più possibile mettere le persone in Cassa integrazione per cinque, sei o sette anni. Già queste due cose molto importanti avranno, col tempo, un impatto positivo sul funzionamento del nostro mercato del lavoro, riducendone la vischiosità; certo, non un impatto immediato. Per un altro aspetto, invece, c’è già qualche impatto immediato.

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Quale?
La stessa legge ha riscritto l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, eliminandone un effetto perverso: quello di determinare nelle aziende sopra i 15 dipendenti un regime di sostanziale job property. Che questa riforma abbia già prodotto il proprio effetto è confermato dal fatto che in questi primi mesi di applicazione più di metà delle procedure di conciliazione preventiva per licenziamenti dettati da motivi economici od organizzativi si conclude con un accordo; anche se il costo per l’impresa, tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità, resta ancora troppo alto per i rapporti di lavoro che siano durati soltanto due o tre anni. Poi ci sono gli effetti della legge sul dualismo fra protetti e  non protetti.

Che sono, però, molto controversi…
Certo. Perché la legge Fornero è riuscita a compiere solo la prima metà del lavoro necessario, cioè ripristinare il rigore originario con cui la legge Biagi aveva delimitato il possibile ricorso al “lavoro a progetto”. Questo ha fatto sì che oggi centinaia di migliaia di collaborazioni autonome continuative in posizioni di sostanziale dipendenza debbano essere regolarizzate o siano condannate a cessare. L’altra metà della riforma doveva consistere nel predisporre un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato che potesse assorbire queste centinaia di migliaia di collaborazioni, senza shock di costo e/o di rigidità per l’impresa. Questa è la parte di riforma ancora da fare, e con urgenza. A meno che non si voglia tornare alla situazione precedente, come sostanzialmente propongono sia il Pd, che mira a sopprimere o depotenziare questa parte della legge, sia il Pdl, che questa legge la vuole sopprimere del tutto.

Ma, intanto, cosa succede a queste centinaia di migliaia di rapporti di lavoro cessati?
In alcuni settori, per esempio in quello del marketing operativo, è intervenuta molto opportunamente la contrattazione collettiva a fare quello che la legge non ha fatto: cioè rimodulare costi e disciplina del rapporto, in modo da consentire la migrazione di questi lavoratori nell’area del lavoro subordinato senza costi eccessivi e attenuando le rigidità. Nel settore del marketing operativo sono circa centomila le posizioni a rischio; e in questo modo esse vengono tutte salvate e regolarizzate. Ma ora è urgente un intervento che favorisca la generalizzazione di questa soluzione, senza pesanti costi di transazione per le imprese.

Qualche idea?
Nel programma della Lista Monti abbiamo previsto la sperimentazione di un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato reso meno costoso da una riduzione del cuneo fiscale e contributivo; e reso più flessibile mediante l’applicazione di una nuova tecnica di protezione del lavoratore in caso di licenziamento per motivi economici od organizzativi. In sostanza: nessuno è inamovibile e la sicurezza economica e professionale del lavoratore, in caso di licenziamento per motivo economico od organizzativo, viene costruita nel mercato, con un buon sostegno del reddito e buoni servizi di outplacement, e non con l’ingessatura del posto di lavoro.

Qual è il suo bilancio del nuovo apprendistato targato Monti-Fornero?
L’apprendistato potrebbe funzionare molto meglio ed estendersi molto di più.

Cosa può essere fatto per aiutare chi vuole assumere ma non riesce a farlo?
Occorre abbattere il muro che oggi divide domanda e offerta di lavoro nel nostro Paese: un muro cui contribuisce una normativa complicatissima e illeggibile anche per gli esperti; ma vi contribuiscono soprattutto un cuneo fiscale e contributivo assolutamente eccessivi, nonché il difetto grave di servizi nel mercato del lavoro.

La riforma Fornero va abbandonata o integrata? E, se integrata, dove?
Va completata proprio nei capitoli che ho menzionato ora. Innanzitutto la semplificazione normativa: occorre un Codice del lavoro che sostituisca con non più di sessanta articoli chiari e brevi un coacervo disorganico di duemila pagine di norme di fonte statale, rendendolo leggibile per i milioni di persone che devono applicarlo e traducibile in inglese. Poi occorre che incominciamo a sperimentare il rapporto di lavoro meno costoso e più snello, di cui parlavo prima, che consenta di coniugare la massima flessibilità delle strutture produttive con una sicurezza economica e professionale del lavoratore costruita con l’attivazione di buoni servizi nel mercato del lavoro: sostegno del reddito davvero condizionato alla disponibilità effettiva alla ricerca del nuovo lavoro e assistenza intensiva in questa ricerca, offerta dai servizi di outplacement. Se l’impresa è incentivata ad attivarli e farli funzionare bene, questa sperimentazione può costituire l’avvio di un progressivo superamento del gravissimo ritardo italiano sul terreno dei servizi nel mercato del lavoro.

@rigaz1

Tags: disoccupazioneforneroichinoLavorooccupazionericetta
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