
I veri Majakovskij
«Fa più onore esser custoditi a memoria e trascitti di nascosto, furtivamente. In vita esser non libro ma fascicolo», con queste parole la poetessa Anna Achmatova, negli anni in cui l’ideologia comunista mieteva vittime fra la popolazione, descriveva il desiderio di non piegarsi alle “direttive artistiche” imposte dal regime. Sono gli anni in cui in Urss, accanto alla pubblicistica ufficiale, fatta di manifesti, opere d’arte monumentali, letteratura che inneggia ai successi del comunismo, si diffonde, di mano in mano, su foglietti e nastri registrati di nascosto, un’altra cultura, un altro modo di intendere il mondo e il cuore umano. Oggi, di quell’arte ufficiale non rimane se non qualche reperto nei musei, testimonianza di un regime che aveva in odio il valore supremo dell’umanità: la libertà. Di quest’altra produzione, quella dei Pasternak, dei Ginsburg, dei Sinjavskii, dell’Achmatova stessa, noi conserviamo la memoria non solo per l’aspetto storico, ma soprattutto per quell’accento “umano” e imponderabile che ce li fa sentire vicini ancora oggi. L’esperienza dei “ragazzi di piazza Majakovskij” è un racconto nel racconto del dissenso che si venne a creare in Urss in quegli anni. Il 19 luglio del 1958 a Mosca fu eretto il monumento al poeta Vladimir Majakovskij; dopo l’inaugurazione, in cui i “poeti ufficiali” avevano recitato versi in lode del regime, si alternarono sul palco giovani presenti nel pubblico che lessero le proprie acerbe opere. Da questo fatto, quasi per caso, nacque quel gruppo di giovani che oggi, grazie all’opera della fondazione Russia Cristiana e dell’associazione Memorial (la prima organizzazione autonoma della Russia post-sovietica, fondata da Andrej Sacharov), possiamo riscoprire in una mostra al Centro Culturale di Milano dal 10 al 30 giugno. Le immagini di queste pagine sono tratte da quella mostra che inquadra la storia di questi giovani poeti, che spesso pagarono con la vita il loro coraggio. Come spiegano gli organizzatori: «L’impegno politico, sociale, sarebbe venuto poi, sull’onda dell’esperienza della bellezza, per difenderla e trasmetterla ad altri, come risposta alla domanda: “se non mi muovo io, chi lo farà?”».
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