I tre grandi assenti in Inside Out

Di Pierpaolo Bellini
13 Ottobre 2015
«Ci sono certi aspetti che mi hanno convinto, ma altri meno». Discussione intorno all'ultimo cartone della Pixar recensito su Tempi da Claudio Risé

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Forse scrivo per invidia: il comune amico Luigi a me non ha chiesto di andare al cinema e invece lo ha chiesto a Claudio Risé, che tra l’altro stimo per le grandi intuizioni che ha rispetto al mondo dentro e fuori dell’animo umano. Ma a volte capita di dissentire.

Ci sono certi aspetti che mi hanno convinto di Inside out, alcune novità nella cultura disneyana come a) la riaffermazione spudorata dell’amore tra vulcano e vulcanina, cioè tra maschio e femmina o b) l’ancora più sconcertante presenza di una famiglia normale, che difficilmente riesco a recuperare tra le centinaia di cartoons che hanno accompagnato la mia infanzia e quella riflessa dei miei figli e infine c) la rivalutazione del sentimento di tristezza come potenziale motore di grandi azioni, come marcia in più, come sale della terra (o della mente).

Ma qui mi fermo.

Certamente la prospettiva di Risé è molto più addentro alla concreta realtà psicologica della gente di oggi. A me nasce però una domanda che già fa trasparire una percezione alquanto diversa: di quali emozioni si sta parlando? Non sono del mestiere e quindi può esserci un problema di terminologia. Si parla di emozioni che spingono a tal punto da emergere fuori, come vulcanina? Sì, forse questo è oggi politically incorrect, e spesso mi ritrovo, per necessità e ancor più per convenienza, a rintuzzare la mia istintiva reattività di fronte alle cose che mi appaiono clamorosamente false così come a quelle che mi appaiono vere: le mie emozioni vengono percepite da chi mi sta di fianco come sconvenienti e finiscono per distrarre dal punto, cioè dalle cose vere o false, perché ci si attesta sulla mia sconvenienza. E allora mi correggo, per ottenere lo scopo, per non parlare di altro.

Ma, fatto salvo questo imperativo che governa la falsa cultura perbenistica odierna, per tutto il resto io registro (forse usando maldestramente lo stesso termine di emozione) che oggigiorno si ragiona solo emozionalmente, oltretutto (come osservato in me stesso) attraverso emozioni tarpate, anoressiche. Ma sono proprio queste emozioni malate o maltrattate il criterio dominante della gestione della vita personale come di quella sociale. E, in questo quadro, l’unico rimedio alle cose che non vanno può essere ricercato solo nella psicologia e nei suoi addentellati terapeutici.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Secondo il grande dictat delle neuroscienze (che sembrano promettere l’individuazione dell’origine di ogni mossa umana, sperando di correggerla, di brevettarla) ogni zona del cervello ha una sua funzione (essenzialmente elettrica), con certo grado di autonomia.

In questo quadro rivelo tre grandi assenti, o perlomeno flebili presenze.
1. Un protagonista reale, non riducibile alla somma delle sue emozioni, o meglio della battaglia tra di esse. Cioè un soggetto libero, in cui la libertà emerga come mistero infinito e irriducibile, capace di trapassare e anche contrastare qualunque emozione, godendone.
2. Una centralità della relazione, cioè di un legame con ciò che è fuori di me, fondamentale per me. In Riley tutto (tutto) sembra nascere da dentro, e le relazioni più care diventano rimorso.
3. Ma l’assenza che mi ha stupito di più è la censura inspiegabile operata in questo film. Come molti avranno notato, le cinque emozioni ricalcano in maniera precisa quelle individuate da Darwin come fondamentali, preculturali, proprie della struttura naturale della specie umana: happiness, sadness, anger, fear, disgust. Ma (è strano): ne manca una! Surprise! Sorpresa, stupore. Ed è proprio questa emozione a farci uscire dal recinto delle nostre reazioni, a metterci in relazione al resto del mondo. Perché questa scelta?

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9 commenti

  1. Cecilia

    Volevo rispondere a parole mie, poi ho letto le varie risposte già date a questo articolo da altri e ho trovato tutto quello che avrei voluto dire io, ed espresso dieci volte meglio di come avrei potuto fare da sola.
    Quindi non puntualizzerò su concetti già meravigliosamente illustrati, ci tengo però a dire una cosa: in questo articolo, che parla di mancanza di stupore, ci vedo scetticismo, amarezza, e proprio mancanza di stupore. Per non cogliere le potenzialità di questo film, per non riuscire a coglierne la bellezza, è purtroppo così che bisogna essere, oppure non averlo visto per nulla.
    E mi chiedo, in effetti, se sia davvero stato visto, assaporato, o se si sia andati a vederlo con gli occhi di chi “un cartone animato è per bambini, non per adulti”.
    Perchè a criticare questo film ce ne vuole, anche se poi il pelo nell’uovo, a volerlo trovare, lo si trova sempre.

  2. Giorgio

    Come dice correttamente il commento di Fabrizio qui sopra, Inside Out è un cartone animato. Precisiamo meglio, Inside Out è una fiaba e, come spiega bene il grande Tolkien, per godere appieno di una fiaba è necessario, se la fiaba è buona, attivare il meccanismo della “sospensione dell’incredulità”. Già questo, secondo me, rende inutile gran parte di questo articolo.
    Comunque, il film parla di emozioni e gli autori hanno scelto, per semplicità, di usarne 5, quelli di Darwin. Nell’articolo si confondono le emozioni con l’istinto. La vita moderna è guidata dall’istinto, magari ci fossero le emozioni. Infatti, proprio nel film, quando Reley rimane senza happiness e sadness, agisce reattivamente e rimane totalmente schiava dell’istinto che la porta a voler tornare nel Minessota.
    Poi, scusi Bellini, ma 1) quello dei vulcani è un altro film, è una altro cartone, non ha nulla a che fare con Inside Out; 2) che Pete Docter e compagnia abbiano scelto di far vivere Riley in una famiglia “normale” è, appunto, normale, non facciamone una questione ideologica; è vero, è già tanto che con l’aria che tira non abbiano deciso di rendere Riley figlia di una coppia gay e che quelli della Pixar abbiano così rischiato di apparire omofobi, ma non esageriamo; 3) da dove si evince nel film che Riley non ha una centralità di relazione, i genitori e la sua amica del cuore e le nevi del Minessota e tutto il resto cosa sono? 4) tra le emozioni nel film mancano oltre aqlla sorpresa anche pentimento, orgoglio, vergogna, frustrazione, speranza, ecc., ecc., ecc., non applichiamo a forza categorie che definirei giussaniane indiscriminatamente a tutto; 5) l’eroina del film avrebbe dovuto essere un protagonista reale, non riducibile alla somma delle sue emozioni, o meglio della battaglia tra di esse, un soggetto libero, ecc.. Ok, la protagonista non è reale per il semplice motivo che non esiste nella realtà una persona che ha in testa 5 pupazzetti colorati che giocano con una consolle elettronica .Mi ripeto, è una fiaba… La libertà di Riley è nell’unica cosa che la rende umana, il suo desiderio di felicità (tornare nel Minessota le sembra ad un certo punto una buona idea per realizzare il suo desiderio) si compie quando torna da mamma e papà e confessa loro il suo disagio. Torna a casa, anche se prima le era sembrato che casa fosse da un’altra parte (il Minessota appunto). 6) Ultimo, ma forse il più importante, Inside Out non è un film della Disney (almeno nel senso classico), ma è un film della Pixar e c’è un abisso. I film Disney classici, salvo i primissimi da Biancaneve agli Aristogatti o giù di lì, sono quasi sempre profondamente manichei, quelli della Pixar quasi mai, pur essendo americani. E’ un discorso lungo e complesso, che non è possibile sintetizzare qui, ma è evidente. Si confronti ad esempio un Re Leone con Up o Wall-E.
    Inside Out è uno dei più bei film che ho visto da anni, ma capisco che, se non scatta la “sospensione dell’incredulità”, e mi capita spesso che ciò non avvenga con film o storie meno valide, non lo si apprezzi.
    Però, per favore, non facciamone un manifesto della teoria anti-genderista che altrimenti diventa ideologica come la teoria genderista.

    1. Luigi Amicone

      Vista la discussione e considerato che il contributo qui pubblicato del professore e amico Bellini apparirà come lettera sul Tempi cartaceo (in edicola da giovedi 15), mi permetto anticipare qui la risposta che ho dato alle osservazioni di Bellini e altri. Eccola, a seguire.
      «Per adesso, diamo alla neuroscienza quel che è della neuroscienza e stupiamoci di un film intelligente senza addossargli pretese riduzionistiche (anche perché Pixar è l’antigender, speriamo che tenga, non avete visto Gli Incredibili?). Temo poi che la sorpresa-stupore non sia una emozione. Tant’è che Aristotele parlava di “thaumazein” (sorpresa-stupore) come molla della ricerca filosofica. Altri amici sono estasiati da come Antonio Polito ha mosso obiezioni tipo «manca la ragione», «manca il libero arbitrio», deducendone conferma del crollo di evidenze «che appena una generazione fa consideravamo indispensabili per l’edificazione di una vita adulta» (e infatti, una generazione fa ragione e libero arbitrio li spazzò via l’ideologia marxista). Infine, per difendere definitivamente il mio amico Risé, dirò con il premio Nobel per la medicina, neurofisiologo e baronetto della Regina Sir John Eccles, che ciò che è tipico dell’essere che dice “Io” e la Bibbia chiama “cuore”, non coincide col cervello: “Sono uno scienziato, ho passato gran parte della mia vita a cercare di capire il cervello e il suo funzionamento, ho lottato molto contro il materialismo, soprattutto quello riduzionista, l’io umano, l’ego, viene per primo e interagisce con il cervello” (intervento al Meeting di Rimini, 1986). Dunque, anche se non ho visto il film, mi pare che gli autori di Inside Out abbiano svolto benissimo il loro lavoro di divulgatori delle scoperte della neuroscienza. Vedete il genio? Chi non ha mai visto nella sua infanzia uno di quei cartoni animati dove i microbi erano i cattivi e gli anticorpi i nostri del generale Custer? Pixar ha preso quel genere lì e si è inventata un prodotto che ha sbancato i botteghini. Tanto di cappello, bellezza».

      1. Giorgio

        Anche l’articolo di Polito che, come dice il direttore Amicone, è piaciuto a molti per la sottolineatura dell’ipotetica mancanza di “ragione” e “libero arbitrio” nel film, denota una mancanza: quella dell’Incanto come nella definizione di Claudio Risé nella sua recensione. Anche Polito mi sembra confonda emozioni e istinto.Polito dice che “la guerra degli istinti è l’unica cosa che accade nel cervello di Riley”. A me non pare proprio: la guerra di istinti è ciò che manca nel momento in cui vengono meno i capisaldi dell’esperienza della bambina, che nel film sono rappresentati dalle “isole”. Punti fermi nell’esperienza e nella formazione della personalità di Riley che, attraverso quelle che il film chiama emozioni, ne rendono concreto l’agire. Diciamo invece che ragione e libero arbitrio li usa Gioia quando capisce, quando le risulta evidente che il bene di Riley è più grande di quel che pensa, che il bene di Riley passa anche attraverso l’esperienza del dolore.
        Altro errore che ho notato in alcune recensioni al film è quello di pensare che si tratti di una narrazione metaforica, di una allegoria. No, Iside Out è una fiaba e segue altre regole narrative.

    2. Lela

      Sottoscrivo tutto, aggiungendo per il punto 2, che se l’autore fa fatica a ricordare famiglie normali in centinaia di cartoni, mi domando quali cartoni abbia visto nella sua infanzia e quali cartoni vedano i suoi figli, perché io ho problemi a trovare le famiglie non normali.

      1. Giorgio

        Verissimo Lela. Credo che l’autore dell’articolo possa riferirsi al fatto che, per motivi completamente diversi, nell’universo disneyano spesso i genitori manchino proprio, vedi il caso dei topi e dei paperi che sono sempre zio e nipote. Ma è un’altra storia ben spiegata in mille saggi dedicati al concetto di parentela e di sessualità come la intende un certo puritanesimo americano.
        Per fermarci ai film Pixar ci sono un sacco di storie familiari “normali”: Nemo e il suo papà (immagino si capisca che è vedovo e che il pesciolino scomparso non è frutto di uteri in affitto o di quel che hanno i pesci di simile), gli Incredibili (botte da orbi tra super-eroi, ma alla fine il film parla parecchio di educazione dei propri figli), Up (basta vedere il lungo e commovente flash-back del protagonista), Ok, in Cars mancano del tutto i genitori, ma narrativamente a cosa servivano? Era dura immaginare con coerenza narrativa la mamma di Saetta McQueen! Anche immaginare Wall-E e Eve dare al mondo una nidiata di robottini sarebbe stata una, lo dico con parole gentili, forzatura. Però la loro è una delle storie d’amore più belle che ho visto al cinema.

    3. Alex

      Anche le categorie ‘giussaniane’, come le chiama lei, potrebbero essere usate in maniera adeguata.

      Gli psicologi di Berkeley che hanno lavorato come consulenti per la Pixal hanno spiegato – semplificando, ovviamente – che “Le emozioni organizzano – piuttosto che bloccare – il pensiero razionale. Tradizionalmente, nella storia del pensiero occidentale, il punto di vista dominante ha considerato le emozioni come i nemici della razionalita’ e ostacoli alle relazioni sociali collaborative. Ma la verita’ e’ che le emozioni guidano la nostra percezione del mondo, le nostre memorie del passato e anche i nostri giudizi morali su cosa e’ giusto e cosa e sbagliato, normalmente in modi che attivano risposte efficaci alle situazioni che si presentano”.

      Articolo completo, dove parlano anche della tristezza e chiariscono anche cose che sarebbero dovute essere ovvie, come il fatto che non tutte le emozioni sono rappresentate per scelta tecnica del regista e non loro atta a ridurre la complessita’ narrativa e non per chissa’ quale posizione ideologica:
      http://www.nytimes.com/2015/07/05/opinion/sunday/the-science-of-inside-out.html?_r=0

      Con le dovute precauzioni visto che… e’ una fiaba… non mi sembra che tale visione sul ruolo delle emozioni sia cosi’ distante da Giussani e la sua spiegazione del sentimento come lente da mettere a fuoco nella dinamica della conoscenza e della paura – ma potremmo dire anche il disgusto e la rabbia – come ‘secondo sentimento’, mai primo, perche’ prima l’uomo si apre come sguardo sulla realta’ e ne viene attratto.
      Mi sembra questo un concetto reso increbilmente bene dentro un registro narrativo come la fiaba dai primi minuti di Gioia ‘prima’ che le altre emozioni appaiano. Lo Stupore e’ tutto negli occhi di Gioia, dall’inizio alla fine del film.
      Si potrebbe anche osservare che la razionalita’ e’ ben rappresentata – in maniera semplificata, ovviamente – dalla postazione di controllo ‘governata’ in maniera non automatizzata dalle emozioni. La postazione infatti viene ‘aggiornata’ con il passaggio all’adolescenza e ‘dentro’ il rapporto con i genitori (mi aspetterei un Inside Out 2 sul tema proprio dell’adolescenza e sembra ci stiano pensando).
      Pure della tristezza in Giussani si potrebbe parlare per ore… visto che ne parlava come “parte integrante…dell’esistenza dell’uomo” e come “condizione che Dio ha collocato nel cuore dell’esistenza umana, perche l’uomo non si illuda mai tranquillamente che quello che ha gli puo’ bastare” (Si Puo Vivere Cosi’, p.338)

      Con questo, lungi da me dal volere attaccare chissa’ quale etichetta ‘giussaniana’ al film, perche’ sarebbe assurdo.
      Ma e’ un bel film intelligente, fondato scientificamente, anche se ovviamente semplificato e reso come una fiaba. Utile per discutere con i figli tra i 4-13 anni di emozioni e ragione, a diversi livelli di complessita’ (come molti film Pixar). Non sorprende che ci siano molti punti di contatto con Giussani cosi’ come tanti altri che stupidi proprio non erano.

      1. Giorgio

        Grazie Alex, per il link e per l’utilissima, almeno per me, analisi. Straquoto quando dici che “Lo Stupore e’ tutto negli occhi di Gioia, dall’inizio alla fine del film”, è verissimo! La questione delle “categorie giussaniane” l’ho tirata fuori solo come velata critica al fatto che a volte, a me capita di continuo, si ripetono le sue frasi o anche semplicemente le sue parole, che ci sono diventate care, meccanicamente e fuori contesto. Per cui ti ringrazio per averle “sistemate” e usate nel modo corretto!

        1. Alex

          Prego, ma anche la mia risposta non era una critica al suo intervento, anzi. Sul Sussidiario per esempio c’e’ un articolo che appiccica proprio le categorie giussaniane di ragione e liberta’ in maniera molto posticcia, dando dei giudizi ‘dentro la testa’ del regista senza averne particolare coscienza di causa, senza neanche aver controllato cosa il regista o i suoi collaboratori dichiarano di aver provato a fare. Penso, come lei, che prima di fare battaglie pro o contro ideologiche (con i ‘manifesti’) contro una fiaba – o qualunque altra posizione – sarebbe bene vagliare tutto e trattenere cio’ che vale. In questo caso, e’ una bella fiaba per adulti, con significati complessi resi tentativamente in maniera comprensibile e percio’ semplificata. Siccome poi la vera scienza e la fede non sono ragionevolmente disgiunte, non e’ ‘casuale’ che Giussani o qualunque altra persona della stessa statura religiosa abbiano espresso a loro modo e con il registro concettuale proprio della fede concetti che ‘concordano’ anche con le scoperte scientifiche. Con cordialita’

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