
I predicatori della chiesa di Cristo senza Cristo. E il pungiglione Gesù
La prova che non è vero che con la morte finisce tutto e che, anzi, tutto continua e si approfondisce sono le nostre due amiche, l’ebrea Hannah Arendt e la cattolica del sud protestante americano Flannery O’Connor, passate, e da molti anni ormai, a miglior vita. Potete pensare tutto quello che volete di questo nostro sodalizio ultraterreno, che siamo pazzi o che siamo visionari, che siamo illusi o che siamo troppo missionari. (Ma se voi pensate che dovremmo stare qui a sentire le piazzate dei poverelli della chiesa di Cristo senza Cristo, dei predicatori del Bene come imposizione per diventare gentleman del mondo eco-solidale; o di come procurare sensi di colpi al popolo, alla gente di azione e di peccato, alla gente che deve sfangarla per vivere, al figlio di proletario, al poliziotto, all’orfano, alla vedova, al disoccupato, all’emarginato, beh state freschi). Sì, noi anarco-resurrezionalisti, ce l’abbiamo soprattutto con i preti, i preti-preti e i preti laici, quelli che la grazia ce l’hanno stampata in ogni parola ma che nei volti puzzano di moralismo fatale e di aria infetta di applauso sentimentale, vuoto e scemo del mondo dell’immagine, del mondo che il negro deve rappresentarselo per giustificare la sua bianca inutilità di sopravvissuto di un fondo statale o sindacale per il cinema, l’arte, il giornalismo etico e multiculturale. Per questo non possiamo che dire grazie (e “Grazia”) a voi lettori che siete ormai nostro signore. E grazie ( e “Grazia”) ai nostri amici che vengono da pianeti dalle distanze incommensurabili. Grazie e grazia soprattutto a lei, musa di questo numero extravagante di Tempi, la cara, perfetta, scrittrice Flannery O’ Connor. Che aveva scritto (e il grande regista John Houston messo in pellicola) la sua saggezza nel sangue (Wise Blood) che è ancora ben viva tra noi. A noi che, immorali, cattivi, egoisti, non interessa un fico secco di quello che dicono i predicatori di Bene, ma che ci fa ancora effetto il giovane Hazel, quello che non voleva fare il predicatore come suo nonno, ma che poi, come suo nonno, si troverà sulle stesse strade. Ciao, Flannery, cosa dicevi a proposito di Wise Blood? Che “è l’opera di un autore intrinsecamente digiuno di teorie ma sensibile a certi problemi. Che la fede in Cristo sia per taluni una questione di vita e di morte è stato uno scoglio per quei lettori che preferirebbero non attribuirvi gran peso. Secondo loro l’integrità di Hazel Motes (il protagonista del romanzo della O’Connor, ndr) consiste nella sua capacità di sbarazzarsi della figura cenciosa che si sposta di albero in albero nello sfondo della sua mente. Secondo l’autore l’integrità di Hazel consiste nella sua incapacità di riuscire a farlo”. Anche noi ci sentiamo un po’ come quel “vecchio lunatico che girava in macchina per tre contee con Gesù nascosto nella testa come un pungiglione”.
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