Tentar (un giudizio) non nuoce
I pasticci sul Def ci pongono qualche domanda sulla nostra democrazia malata
Si è discusso molto nei giorni scorsi sull’incidente avvenuto in Parlamento il 27 aprile scorso. Serviva la maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea ma sono mancati sei voti decisivi, così il governo è stato battuto alla Camera sullo Scostamento di Bilancio connesso al Documento di economia e finanza.
Un gesto di sciatteria o un segnale politico che alcune forze di maggioranza hanno voluto dare al Presidente Giorgia Meloni? La stessa, a fronte della figuraccia, ha lucidamente risposto a quella domanda implicita, in ogni commento offerto da opinionisti e forze d’opposizione, in maniera molto interessante: «Non so sinceramente cosa sia peggio».
A mio giudizio è esattamente questo ciò su cui bisogna riflettere. È peggio un Parlamento la cui maggioranza usa un provvedimento così importante per mandare un segnale politico al proprio interno, per rivendicare un’attenzione più precisa a talune richieste ed istanze, oppure è peggio una maggioranza politica che non si rende conto che su un documento programmatico così importante occorre garantire la presenza in aula della maggioranza assoluta dei parlamentari e quindi non si possa pensare di andare in congedo, allungare il ponte, o dedicarsi ad altro?
Personalmente e a fronte delle esperienze che ho avuto nelle aule consiliari, tendo a credere più alla seconda ipotesi, cioè ad un atto di sciatteria. Così fosse, non sarebbe meno grave, anzi. Un atto deresponsabilizzante come quello avvenuto denota una progressiva svalutazione dell’azione parlamentare e questa è una delle conseguenze di un crescente selezione al ribasso della classe dirigente politica che ha portato a considerare questa funzione così poco rilevante da poter essere trascurata.
L’episodio cui abbiamo assistito io credo renda evidente questo vulnus. Oggi la sede della rappresentanza democratica per eccellenza, che è il Parlamento, può essere facilmente considerata secondaria fino a generare incidenti di questa rilevanza. Quello che è ancor più grave è che questo avviene quotidianamente, in genere senza incidenti così visibili, ma con una svalutazione del lavoro parlamentare, in particolare nelle commissioni. In aula poi, di fatto, arrivano sempre più spesso provvedimenti blindati o comunque confezionati dal governo, che poi spesso significa dalle strutture burocratiche dei Ministeri, che lasciano pochissimo spazio di discrezionalità per le modifiche.
In un Parlamento che purtroppo ha sempre meno rilevanza, si indebolisce anche la funzione fondamentale di rappresentanza delle realtà sociali. Senza questo requisito essenziale, senza questo presupposto democratico, per i gruppi parlamentari è diventato persino difficile pensare di poter incidere sui contenuti dei provvedimenti, cercando di fare sintesi tra interessi legittimi ma contrapposti.
L’incidente non ha lasciato traccia ma rileva un problema ben più grave su cui sarebbe urgente proporre una riflessione. Un assise democratica così ridotta diventa un orpello, senza significato e valore. Il popolo elettore percepisce tutto questo, lo annusa nell’aria e lo rifiuta, spesso sdegnatamente, rifugiandosi nell’astensione. Prima con le elezioni politiche e poi in modo ancor più evidente con le regionali e le amministrative ne abbiamo avuto la prova. Non è giunto il momento, al posto di rifugiarsi continuamente “nella prossima campagna elettorale” (tra poco si inizierà con le Europee) fermarsi a riflettere e porsi una domanda su questa democrazia malata?
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