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I notai lanciano i “contratti di convivenza”. Solo una furbata per «dare valenza pubblica alle coppie di fatto»

Promettono tutele per le coppie «non riconosciute dalla legislazione». Ma Cerrelli (giuristi cattolici): «Non aggiungono nulla al diritto privato», anzi «dimostrano che i Dico non servono e appesantiscono rapporti "light". Lo scopo è ideologico»

Benedetta Frigerio
29/11/2013 - 3:10
Società
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«”Ti amo da morire”. Se poi accade davvero, puoi anche lasciargli l’eredità». È uno degli slogan con cui il Consiglio nazionale del notariato sta pubblicizzando i cosiddetti “contratti di convivenza”, ai quali ha dedicato anche un vero e proprio open day consultivo, annunciato per sabato 30 novembre in diverse città italiane. Messi a punto di recente, i contratti di convivenza sono, secondo rappresentanti dei notai, una soluzione per «tutte le persone che, legate da vincolo affettivo, decidono di vivere insieme stabilmente (…) al di fuori del legame matrimoniale», compresi «due conviventi dello stesso sesso». Il vicepresidente dell’Unione giuristi cattolici italiani, Giancarlo Cerrelli, nutre qualche sospetto verso questa iniziativa. E dice a tempi.it: «A cosa serve creare contratti di questo tipo se non aggiungono nulla a quello che già il diritto privato prevede per tutelare due soggetti?».

Avvocato Cerrelli, cosa prevede attualmente il diritto privato?
Queste coppie non si assumono doveri pubblici, perciò i loro diritti sono tutelati privatamente dall’autonomia negoziale delle parti. Finora si sono potuti stipulare contratti privati, anche tramite un avvocato, che regolamentano diversi aspetti della vita di due persone legate da vincoli affettivi. In base al diritto privato, queste persone possono: sottoscrivere contratti di locazione; cointestare una casa se acquistata insieme; predisporre una procura nel caso di eventi di una certa gravità; chiedere di essere beneficiari reciprocamente di una polizza assicurativa sulla vita del partner; predisporre testamento; creare un fondo comune di risparmio in modo da poterlo eventualmente dividere al momento della separazione; predisporre un budget mensile per le spese familiari, calcolando le quote di contribuzione in relazione ai rispettivi redditi; creare un fondo comune di risparmio che consenta al partner di affrontare situazione di emergenza; nominare il proprio partner amministratore di sostegno nel caso le condizioni mentali e di salute impediscano di agire in autonomia; predisporre una delega, con firma autenticata dal notaio, per autorizzare il partner, in caso di incoscienza, ad avere tutte le notizie utili relative alla propria salute e a prendere le decisioni necessarie. Si possono poi stipulare contratti atipici, non previsti dalla legge, se non sono contrari alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume.

Dunque i diritti delle coppie di fatto sono già tutelati. A cosa servirebbe allora il loro riconoscimento civile?
Molto spesso si sostiene erroneamente che il riconoscimento civile delle coppie di fatto serva a tutelarne i diritti sopra descritti, in realtà si mira a ottenere diritti pubblici che invece devono essere riservati esclusivamente a chi si sposa e si assume i corrispettivi doveri di fronte alla società.

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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Che differenza c’è fra questi “contratti di convivenza” in forma di atti notarili e i contratti privati?
Nessuno dei due dà valenza pubblica alla convivenza. La domanda allora è: che bisogno c’era di questa nuova fattispecie? Evidentemente la risposta sta nell’unica differenza presente: il fatto che sarà un pubblico ufficiale a stipulare questi “contratti”, dando agli atti una valenza pubblica. Non è da dimenticare che nel congresso tenutosi a Napoli nel 2012 il Consiglio nazionale del notariato aveva presentato una proposta di legge per istituire i cosiddetti “patti di convivenza”. Questi sarebbero stati sottoscritti dalle parti per regolare i rapporti economici in forma di scrittura privata, poi sarebbero stati autenticati dal notaio e infine registrati da quest’ultimo presso un registro nazionale apposito e all’anagrafe del Comune di residenza, stabilendo le proprie volontà nel caso di rottura della convivenza o in caso di morte. Tale proposta fu lasciata cadere e ora sembra che il notariato torni alla carica. Mi pare che si voglia raggiungere gradualmente un altro scopo.

Crede che sia un tentativo di ottenere diritti civili al di fuori delle sedi preposte, cioè il Parlamento?
L’ambiguità emerge dalle stesse parole del presidente dei notai, Arrigo Roveda: «Vogliamo dare una risposta a chi vuole tutelare i suoi diritti in quelle forme di convivenza non ancora riconosciute dalla legislazione italiana».

Che vantaggio ne traggono i notai?
Questi contratti sono una buona fonte di reddito, ma c’è di più: dietro l’invenzione di questa formula non ci sono solo i notai, bensì diverse teste pensanti che ci hanno lavorato sopra. Anche per questo credo che l’iniziativa non sia di carattere meramente pragmatico e che non si fermerà qui. È singolare, tuttavia, che tali contratti di convivenza diano rilievo a un’emozione interiore qual è l’affetto, che non ha alcuna rilevanza giuridica nel nostro ordinamento, perché non è misurabile né quantificabile. Per ora l’oggetto dell’atto notarile restano alcuni rapporti personali e patrimoniali, ma anche la regolamentazione dei rapporti parentali di un figlio minorenne di ex conviventi “more uxorio” riconosciuto da entrambi i genitori. Non sappiamo, però, che evoluzione avranno questi contratti, anche se si può intravedere un itinerario volto a dare rilevanza pubblica alle convivenze “more uxorio”.

Cosa accadrebbe in tal caso?
Ad esempio il diritto successorio, che riconosce attualmente tra i soggetti legittimari il coniuge superstite, potrebbe in seguito prevedere tra questi anche il convivente. Così come la legge 184/1983, che permette l’adozione legittimante solo alle coppie coniugate, potrebbe essere estesa anche ai conviventi.

«”Non ci lasceremo mai”. Se accadrà non dovrete litigare sul mutuo». «”Siamo due cuori e una capanna”. Vi diciamo a chi spetta la capanna se i due cuori si infrangono». Sono gli slogan con cui i notai pubblicizzano la loro iniziativa. Dal punto di vista sociale che impatto ha una normativa che parte dal presupposto che una coppia potrà rompersi?
È pericoloso per la tenuta della società, che sta perdendo sempre di più punti di riferimento, sta diventando più “liquida”. Iniziative come quelle del notariato, apparentemente innocue e per questo salutate con favore da molti, perché afferenti soltanto all’ambito privato e patrimoniale, tendono, invece, a propiziare un graduale trasbordo ideologico e culturale verso un depotenziamento della famiglia, così come prevista alla nostra Costituzione. Tuttavia, un lato positivo dell’iniziativa dei notai c’è: è quello di evidenziare che il diritto vigente è sufficiente a regolamentare tutte le questioni che promanano da una convivenza. Non servono, dunque, nuovi “Pacs”, o “Dico”.

Avranno successo questi contratti?
Non lo so, ma esaminando la guida operativa per i contratti di convivenza, una sorta di vademecum per i notai, ho avuto la netta sensazione che la stipula di un simile contratto – per chi non ha inteso assumersi pubblicamente dei doveri nei confronti dell’altro partner e nei confronti della società – sia gravosa e antitetica alla visione light del rapporto scelto.

@frigeriobenedet

Tags: coppie di fattocoppie gaycoppie omosessualidicodiritti conviventeGiancarlo Cerrellinotaipacspatti di convivenzaunione giuristi cattolici
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