
I miei regali per l’Italia
Lo stesso giorno in cui appariva su Repubblica una surreale intervista a un trionfante Romano Prodi (intervista in cui il premier brindava al fallimento della “spallata” di Silvio Berlusconi e dichiarava il suo governo più in forma che mai), interpellato dal Corriere della Sera, il senatore fuoriuscito dall’Ulivo Lamberto Dini scolpiva un bel monumento sepolcrale al governo Prodi. Anche il leader dell’opposizione deve aver notato la comica coincidenza. Lo testimonia tutto ciò che è venuto immediatamente dopo (i gazebo di Forza Italia, la grandine di milioni di firme per mandare a casa l’esecutivo, l’annuncio del nuovo partito del Cavaliere), e lo conferma lo stesso Berlusconi in questa intervista a Tempi: «In effetti Prodi ha parlato del voto sulla Finanziaria al Senato come di un grande successo. In realtà quel voto ha sancito la fine politica del suo governo, quell’implosione della sua maggioranza che avevo pronosticato. La fine formale è solo questione di tempo. Di fronte a questo, ma soprattutto di fronte alla spontanea, massiccia mobilitazione di milioni di italiani, non potevamo restare fermi».
Ci può dare qualche anticipazione sulle linee guida che lancerà alla Costituente del Partito del popolo italiano delle libertà?
Questo bipolarismo è fallito perché si è dimostrato uno schema paralizzante e non un fattore di cambiamento. Si è dimostrato un sistema che favoriva i veti e le alleanze disomogenee. Nei cinque anni di governo la nostra coalizione è stata più omogenea di quella che sostiene il governo Prodi. Ma entrambe le coalizioni hanno sofferto di veti comunque paralizzanti. Quello che propongo agli elettori è proprio questo: un partito che chieda consenso su un programma, per qualcosa e non contro qualcuno. Se avrà la maggioranza lo realizzerà, se non avrà da solo la maggioranza cercherà liberamente alleati che lo condividano con convinzione. Basta con i veti paralizzanti, basta con il governo sotto ricatto. Il popolo della libertà è costituito da tutti coloro che oggi aderiscono a Forza Italia, dagli altri movimenti politici del centrodestra, dalle associazioni come i Circoli della libertà e del buongoverno. Tutti i cittadini di buona volontà sono invitati a farne parte. Tutti coloro che lo vorranno potranno registrarsi ai gazebo che terremo aperti nelle piazze di tutte le città d’Italia.
Il suo nuovo partito ha spiazzato un po’ tutti, a sinistra ma, a quanto pare, soprattutto nel campo dei suoi tradizionali alleati. Perdoni se per una volta le chiediamo di mettersi al posto di Fini, Casini e Bossi. Cosa farebbe lei, al loro posto, in questo momento, cioè in un momento in cui le forme partitiche che i suoi amici guidano sono state rese improvvisamente obsolete dalla doppia rivoluzione del Partito democratico e del Partito delle libertà?
È semplice: aderirei subito al nuovo progetto, che non è rivolto contro nessuno, e che anzi è fatto per tradurre in politica quel sentimento unitario, quella esigenza di unità che è viva negli elettori del centrodestra. La Lega ha sempre affermato, comprensibilmente, di voler mantenere un’identità autonoma, e ha già annunciato peraltro di voler collaborare strettamente con noi. Il rapporto non solo personale ma politico con Umberto Bossi rimane molto stretto ed eccellente. Per quanto riguarda Fini e Casini, faranno liberamente le loro scelte. È chiaro che Alleanza Nazionale e Udc rimangono i nostri alleati preferenziali, anche nelle amministrazioni locali.
Lamberto Dini ha detto chiaramente che se Prodi non cade a San Silvestro (cioè nel secondo passaggio della Finanziaria in Senato) di sicuro non arriva a primavera, perché il referendum comunque spingerà i partiti più piccoli dell’Unione a staccare la spina all’esecutivo. Dini ha quindi indicato la necessità di un governo di transizione istituzionale e ha fatto il nome di Franco Marini. Sul piatto c’è inoltre l’ipotesi Letta-Baget Bozzo: un governo di larghe intese. Comunque la si giri entrambe le prospettive mettono in conto un passaggio stile Grosse Koalition di Angela Merkel o stile Nicolas Sarkozy, che ha chiamato al governo personalità di una sinistra moderna e responsabile. Cosa pensa di questa ipotesi? Sarebbe disponibile a sostenere un governo tecnico, o di transizione, o istituzionale, o quant’altro, all’indomani della caduta di Romano Prodi, o resta persuaso della necessità di un preventivo passaggio alle urne prima di discutere di “larghe intese”?
Rimango assolutamente convinto dell’opportunità di andare al più presto alle urne, dopo la caduta del governo. Il fatto poi che si vada alle urne con questo stesso governo dimissionario o con un governo tecnico è una scelta che spetta al capo dello Stato e che in ogni caso non cambia la sostanza delle cose. Io ho parlato di disponibilità alla grande coalizione per il futuro, se e quando si realizzeranno condizioni nelle quali nessuno dei due grandi partiti, il nostro e il Partito democratico, possa avere la maggioranza, neppure con alleati omogenei e compatibili. Fra l’altro anche l’esperimento di grande coalizione tedesco, che pure è stato efficace, ora sembra volgere al termine. Da noi la questione è diversa, perché si tratta di andare al più presto alle elezioni. E quindi oggi per noi non c’è l’esigenza di una grande coalizione.
Presidente, lei stesso ha espresso la sua disponibilità a dialogare con il segretario del Pd Walter Veltroni su una riforma elettorale proporzionale. Ma quali sono le condizioni, i tempi, gli obiettivi che, dal suo punto di vista, si rendono necessari perché il dialogo produca effetti concreti e utili al paese?
I tempi sono ristretti, molto ristretti. Le condizioni sono quelle di lavorare a un sistema elettorale proporzionale, con un’alta soglia di sbarramento, che non cancelli il bipolarismo, ma lo renda più maturo e più efficiente. Io non ho parlato di sistema tedesco, anche se lo considero una delle soluzioni possibili, insieme a quello spagnolo, che fra l’altro a mio giudizio è più semplice e più adatto alla situazione italiana. Ad ogni modo dei metodi si può discutere: la legge elettorale non è un valore in sé, e tra l’altro non appassiona i cittadini. È soltanto un fatto tecnico: si tratta di studiare insieme le soluzioni più adatte. Due condizioni sono indispensabili. La prima è la buona fede da parte di tutti: non avviare trattative sulla legge elettorale con la speranza di utilizzare il negoziato per guadagnare tempo o per stringere accordi trasversali. La seconda, l’ho già detto, è prendere atto della necessità di andare al voto. Non perché questo sia materia di scambio con l’accordo sulla legge elettorale, ma semplicemente perché è ormai chiaro a tutti l’esaurimento di questa maggioranza. Quando una crisi politica arriva al punto di non ritorno, la strada maestra, in democrazia, è il ricorso alla volontà popolare.
In data 1 novembre questo settimanale è uscito con un’intervista in cui il presidente emerito della Repubblica, il senatore a vita Francesco Cossiga, spiegava alla nostra collaboratrice Michelle Nouri che il governo non sarebbe caduto, e che le larghe intese di cui avrebbe bisogno l’Italia per fare una qualche riforma «non sarà mai possibile farle, se non il giorno in cui riescono a distruggere Berlusconi attraverso la legge Gentiloni. Se lo distruggono economicamente, allora con quello che rimane della Casa delle Libertà forse le faranno. La legge Gentiloni è fatta per un solo scopo: annientare Mediaset. Se Berlusconi è intelligente cercherà di spostare i suoi investimenti da Mediaset a qualcosa d’altro». Cosa pensa delle parole di Cossiga alla luce del presunto scoop di Repubblica sulle telefonate tra dirigenti Rai e Mediaset che si accordano sui palinsesti?
Il presidente Cossiga fa sempre analisi originali, brillanti e coraggiose. Il fatto che per colpire il leader dell’opposizione non si esiti ad aggredire un’azienda come Mediaset, che dovrebbe essere un fiore all’occhiello del nostro paese, purtroppo non è una novità. È una vergogna che si perpetua dall’epoca del referendum fino alla legge Gentiloni. Anche l’uscita, in questi giorni, di intercettazioni che non contengono nulla di penalmente significativo, ma che offrono un’immagine distorta di Mediaset, fa probabilmente parte di quest’iniziativa. Voglio ricordare che poche settimane fa, quando l’uso improprio di intercettazioni telefoniche gettava discredito su alcuni leader della sinistra, fui il primo a protestare e ad oppormi ad ogni utilizzo di quelle intercettazioni. Oggi mi indigno come allora per un fenomeno che considero puro sciacallaggio, con la differenza che questa volta sono il solo a farlo. Anche la tempistica di queste cosiddette “rivelazioni” che non rivelano assolutamente nulla è come sempre particolare: escono proprio all’indomani del mio annuncio della nascita del nuovo soggetto politico e dell’avvio del dialogo sulla riforma elettorale. Comunque Mediaset è e rimane una delle aziende più solide e innovative del panorama italiano. Un’azienda che ha sempre prodotto ricchezza e lavoro, che non ha mai licenziato nessuno, che allo Stato ha dato e dà molto senza chiedere mai alcunché. Oggi Fedele Confalonieri e i miei figli gestiscono Mediaset in modo assai brillante. Non sarebbe davvero saggio – mi spiace di contraddire in questo il mio amico Cossiga – disinvestire da Mediaset.
Molti si complimentano con lei, compresi Prodi e Bertinotti, per l’idea geniale del Pdl. Però, oltre al caso Mediaset-Rai, lei vede che i palazzi romani sono in subbuglio. I giornali prodiani assecondano (quando non accarezzano) l’idea che possa nascere un terzo polo, una Cosa Bianca che vada da Clemente Mastella a Luca di Montezemolo, da Savino Pezzotta a Bruno Tabacci, magari passando per Dini, Antonio Di Pietro e Casini. Sarebbe un bel problema, no?
Mi pare un’ipotesi remota, per diverse ragioni. In primo luogo perché in Italia l’area di centro è già stabilmente occupata, da noi. Un progetto centrista che prescinda dalla maggiore aggregazione di cattolici, liberali, riformisti, mi pare destinato ad avere uno scarso spazio elettorale. Rischierebbe di essere soltanto un’operazione tutta interna al palazzo e lontana dalla gente. Inutile aggiungere che, naturalmente, le nostre porte sono aperte, anzi spalancate, a chiunque volesse partecipare. Lei dice che i giornali prodiani assecondano l’ipotesi “centrista”: può darsi, ma constato che se comprendesse Mastella, Dini e altri protagonisti dell’ex Margherita sarebbe soprattutto un problema serio per lo stesso Prodi, visto che sancirebbe anche formalmente la fine della sua maggioranza e del suo governo.
Intanto Veltroni le manda a dire per tramite dell’Espresso: «Non tratterò con Berlusconi nessuna legge elettorale che preveda una data di scadenza per il governo Prodi. Non lo farò mai. Il governo deve poter lavorare sino al 2011». Cosa risponde al leader del Partito democratico?
L’ho già detto: il governo è già scaduto e la legge elettorale serve semplicemente ad andare al voto con uno strumento più efficace. Sinceramente non credo che Veltroni abbia nessuna voglia e nessun interesse a difendere ancora un governo già morto, il governo più impopolare della storia della Repubblica. Non mi pare abbia la vocazione di certi soldati giapponesi, che continuarono a combattere per l’Imperatore non rendendosi conto che la guerra era finita da un pezzo. La data delle elezioni, certo, non può essere oggetto di trattativa: è una competenza esclusiva del capo dello Stato. Ma prendere atto che una fase politica è finita, questo sì, è un atto di realismo che da Veltroni mi aspetto.
Troverà un accordo con Fini nonostante il leader di An sia andato da solo a trattare con Veltroni? Insomma, pensa che An andrà per la sua strada o alla fine accetterà di sciogliersi nel Partito delle libertà?
Se le prospettive politiche divergono, è giusto che ciascuno scelga la propria. Saranno poi gli elettori a valutare. È questa la semplice, preziosa regola della democrazia. Naturalmente An, per quanto ci riguarda, rimane un partito con il quale, per quasi 15 anni, abbiamo condiviso esperienze di governo e di opposizione. E oggi siamo entrambi senza reticenze all’opposizione del governo Prodi. Quindi rimangono molti aspetti di sintonia che si traducono, per esempio, in accordi nelle amministrazioni locali. Il popolo delle libertà ha sicuramente compreso lo spirito della nostra azione. Penso che lo possano condividere anche quegli alleati con i quali abbiamo affrontato tante battaglie fianco a fianco.
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