I media dell’odio

Di Rodolfo Casadei
27 Maggio 2004
Gli americani si sono abbattuti da sé le Twin Towers per dare la colpa ai musulmani. Gli ebrei dominano segretamente il mondo e impastano le loro focacce col sangue dei Gentili. Così la paranoia dei media arabi ed iraniani riempire il vuoto di educazione dell’umano con il risentimento

E’ opinione largamente diffusa che uno dei risvolti più catastrofici della vicenda delle torture compiute da militari anglo-americani su prigionieri irakeni sia il disastro di pubbliche relazioni che ha prodotto. La caduta d’immagine degli americani, e forse degli occidentali e dei cristiani in generale, agli occhi dell’opinione pubblica musulmana mondiale sarebbe rovinosa e irrecuperabile. Non siamo d’accordo. In realtà, l’immagine degli occidentali, e in particolare quella degli americani e degli ebrei, è totalmente compromessa presso le “masse” arabe e/o musulmane già da lungo tempo. Manipolazione propagandistica, false notizie, deformazioni tendenziose sono il pane quotidiano dei media del mondo arabo e/o musulmano quasi ogni qual volta che vengono trattati argomenti attinenti la politica degli Usa, Israele, gli ebrei, il cristianesimo, ecc.

Eichmann, “Matrix”: tutti sionisti
Prendiamo un periodo a caso, per esempio la seconda settimana di aprile di quest’anno. Un qualunque residente di un paese del Medio Oriente che avesse preso in mano il magazine settimanale di Al Ahram, il più grande quotidiano egiziano, vi avrebbe trovato un articolo dal titolo “Echi coloniali” firmato da un docente di economia dell’Università americana del Cairo, il prof. Galal Amin, in cui poteva leggere il seguente pensiero: «È ancora dubbio che gli attacchi dell’11 settembre siano stati opera di terroristi arabi e islamici. Non c’è nessuna prova definitiva a questo riguardo. Molti autori, americani ed europei, come pure arabi, sospettano che gli attacchi siano stati compiuti dagli americani stessi, o con assistenza americana, o che gli americani sapessero e abbiano lasciato fare. Tali dubbi sono forti e si basano su prove schiaccianti, ma l’amministrazione Usa le censura e proibisce ogni discussione sull’argomento». Chiuso il giornale, il nostro soggetto avrebbe potuto accendere il televisore e sintonizzarlo sulla stazione televisiva iraniana Al Alam. Avrebbe allora potuto seguire un documentario in stile Bbc dal titolo Al Sameri wa Al Saher in cui si denunciava il controllo degli ebrei sull’industria cinematografica di Hollywood. Con queste testuali argomentazioni: «Il più importante film prodotto sotto guida sionista negli anni Sessanta fu “Operazione Eichmann”. Questo film ha completato il falso mito circa l’uccisione di sei milioni di ebrei per mano dei nazisti. Ma il film non parlò delle provocatorie dichiarazioni di Eichmann durante il processo del 17 dicembre 1961, a causa di ciò che egli disse circa l’espulsione e l’uccisione degli ebrei tedeschi: “Ho soltanto eseguito gli ordini dei sionisti. Mi chiesero di riunire gli ebrei in uno specifico luogo del mondo, tramite espulsioni e uccisioni. Dapprima il loro obiettivo era la Polonia, poi il Madagascar, ma alla fine scelsero il Medio Oriente”… I sionisti impiccarono Eichmann nel 1962, per cui i segreti della collaborazione fra i sionisti ed i nazisti restarono nascosti». «“Matrix” è stato il punto di incontro fra Hollywood ed il fondamentalismo ebreo sionista. Attraverso “Matrix” i fratelli Wachowski hanno cercato di abbellire la torva immagine dello stato di Israele e di presentare la società sionista come una società futura utopica. La trama di “Matrix” deriva dagli insegnamenti di Gush Emunim, ovvero dai sionisti fondamentalisti… In “Matrix” Sion è considerata l’unico rifugio e centro di resistenza umana nel terzo millennio. Il film indirettamente suggerisce che tutte le altre fedi e ideologie sono prive di senso». Spenta la tivù dopo questo ed altri exploit, il nostro spettatore avrebbe potuto poi accendere il suo computer e connettersi tramite Internet al sito di Mehr News Agency, un’agenzia di stampa iraniana, e leggere una notizia fresca di giornata: «Fonti irakene ipotizzano che le forze di occupazione stiano usando i recenti disordini in Irak per sviare l’attenzione dalle spedizioni segrete di armi di distruzione di massa (Adm) nel paese. (…) nuove informazioni indicano che gran parte delle Adm segretamente portate nell’Irak meridionale e occidentale nel mese passato si trovano in container con falsi marchi della compagnia di spedizioni Maeresk (forse si riferiscono alla Maersk, ndt) e alcune spedizioni portano il contrassegno di organizzazioni come la Croce Rossa o Usaid per camuffarle come carichi di aiuti. (…) la Casa Bianca in collaborazione con la Cia ha direttamente incaricato il ministero della Difesa di nascondere queste armi. A causa dei recenti scandali secondo cui il presidente Bush era al corrente dell’attentato dell’11 settembre, potrebbero tentare di annunciare immediatamente la scoperta delle Adm allo scopo di oscurare gli scandali e impedire un’ulteriore flessione del gradimento di Bush presso l’opinione pubblica all’approssimarsi delle elezioni».

L’ossessione dei Protocolli dei savi di Sion
Una coincidenza sorprendente? Neanche per sogno: questa è la giornata tipo del lettore-spettatore residente in Medio Oriente, immerso in un universo paranoico dove gli ebrei dominano segretamente tutte le nazioni, e usano la potenza di queste, e in particolare degli Stati Uniti, per recare danno ai musulmani. Dove I protocolli dei savi di Sion non sono un falso storico funzionale alle politiche antisemite prima nella Russia zarista e poi nella Germania nazista, ma la chiave di volta che permette di interpretare la storia. Due anni fa Muhammad Subhi, famoso attore egiziano protagonista di “Cavaliere senza cavallo” (sceneggiato televisivo in 30 puntate avente per tema il conflitto fra arabi e sionisti), fu intervistato da un settimanale arabo sulla questione dei Protocolli, cui lo sceneggiato dedicava ampio spazio. Così rispose: «Per analizzare se I protocolli dei savi di Sion sono un’invenzione, come affermano gli ebrei, tutto quello che dobbiamo fare è verificare l’attuazione dei 24 protocolli. Nello sceneggiato rivelo tutti i protocolli che hanno trovato attuazione fino ad oggi, 19 su 24». Per questo il documentario iraniano sopra citato può permettersi di rilanciare, in pieno 2004, la ricostruzione seguente: «Quando i sionisti riunirono il loro congresso a Basilea nel 1897, un gruppo di poliziotti russi dello zar diede fuoco all’auditorium. Gli ebrei che partecipavano al congresso fuggirono per paura dell’incendio. I poliziotti raccolsero i documenti, le liste ed i protocolli dell’incontro che si trovavano sui banchi e li trasferirono a Mosca. Trovarono fra questi scritti quelli che furono poi chiamati I Protocolli dei savi di Sion, divisi in 24 parti e comprendenti le sataniche idee ebraiche di impadronirsi del mondo attraverso un governo ebreo, dopo aver distrutto la Russia ortodossa, l’Europa cattolica, lo stato pontificio e l’islam».
Il fatto è che il mondo arabo-musulmano è il terreno ideale per manipolazioni informative e mistificazioni anti-occidentali di tutti i tipi per via della miscela esplosiva di risentimento popolare e autoritarismo politico che lo caratterizza. I governi non permettono nessuna critica al loro operato e scaricano tutte le responsabilità dei loro fallimenti sull’esterno: l’eredità coloniale, il complotto sionista, l’imperialismo americano. Si è perciò creata una situazione paradossale: ai media, governativi e non, non è permesso di criticare i governi locali, ma sono tollerate e anzi incoraggiate le critiche ai governi e alle forze straniere in genere, anche quando si tratta di alleati. Le tesi complottiste sull’11 settembre, che considerano gli attentati opera degli americani stessi o del Mossad, hanno trovato eco nei media di tutti i paesi musulmani, sia alleati che ostili agli Usa: Al Manar (settimanale arabo di Gerusalemme), Al Istiqlal (settimanale del Jihad islamico palestinese), Al Dustour (quotidiano governativo giordano), Kahyan (quotidiano iraniano), Al Hayat (quotidiano londinese in lingua araba), Al Usbu (settimanale egiziano di opposizione), Al Ahram (quotidiano governativo egiziano), Al Watan (quotidiano governativo saudita), e molti altri minori.

Quando il cattivo esempio viene dall’alto
Complottismo, interpretazioni paranoiche, mistificazioni informative sono incoraggiate dall’alto. Gli esempi in materia sono numerosissimi. Il 2 maggio scorso, all’indomani dell’attentato di Yanbu in cui sono stati uccisi cinque tecnici petroliferi stranieri, in un intervento trasmesso dalla tivù saudita il principe Abdallah bin Al Aziz, erede al trono, ha affermato: «Dietro le azioni terroristiche nel nostro regno c’è il sionismo… ne sono sicuro al 95 per cento». Nei suoi interventi al forum internazionale di Davos Yasser Arafat ha di volta in volta sostenuto che l’esercito israeliano utilizzava proiettili all’uranio impoverito, gas nervino, caramelle avvelenate da distribuire ai bambini; Suha Arafat a colloquio con Hillary Clinton ha accusato gli israeliani di avvelenare l’acqua dei palestinesi. Ha fatto scandalo nel dicembre scorso la trasmissione da parte della tivù degli Hezbollah libanesi di uno sceneggiato televisivo in cui alcuni ebrei uccidono un bambino cristiano per impastare col suo sangue le matza, focacce tradizionali delle feste religiose: in realtà la leggenda delle matza insanguinate era già stata presentata come un fatto storico autentico nel libro Le matza di Sion del ministro della difesa siriano Mustafa Tlass nel 1983 e da re Feisal dell’Arabia Saudita in un’intervista al settimanale egiziano Al Musawwar nel 1972. Costui dichiarò testualmente: «Mentre ero a Parigi in visita la polizia scoprì cinque bambini uccisi. Erano stati dissanguati, e si scoprì che alcuni ebrei li avevano uccisi per prendere il loro sangue e mischiarlo al pane che mangiano nei giorni di festa». Se chi dovrebbe dare il buon esempio si comporta così, cosa possiamo sperare?

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