I cavalieri che fecero l’impresa

Di Simone Fortunato
05 Aprile 2001
AL CINEMA di Pupi Avati con Edward Furlong, Raul Bova Alla fine del 1200, cinque cavalieri partono alla ricerca della Sacra Sindone.

I cavalieri che fecero che fecero l’impresa è uno di quei casi in cui una buona idea non basta a salvare il film. L’ultimo lavoro di Avati è un film sbagliato che parte da un’idea giusta e vera: che per compiere una grande impresa non bastano le capacità dell’uomo. Infatti a conquistare la Sindone furono uomini disgraziati, violenti, donnaioli, ma dal cuore semplice e dai desideri grandi. Il problema è che, per rendere visivamente, un’idea del genere, ci vogliono un po’ di capacità. Che Avati, complice anche un budget ridotto o un cast terribile, non dimostra di avere. Ritmo piattissimo, dialoghi da sceneggiato televisivo, recitazione a spanne, non possono giovare certo ad un film, comunque coraggioso nell’affrontare un genere (avventuroso) ed un tempo (il Medioevo) visto raramente nel nostro cinema. Un’occasione sprecata, con una sorpresa tutta horror: sangue a volontà, nasi, teste mozzate, interiora umane come nutrimento per un cagnetto affamato. Una volta si accusava Clint Eastwood di avere due espressioni: una col cappello, una senza. Con Bova, il compito è più semplice. Ne ha infatti soltanto una. Quella da babbeo.

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