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I catalani hanno macchiato col bronzo l’età dell’oro

Non mi piacciono le stelle del Barça indipendentista, gli esibizionismi di Guardiola e di Pujol, ragionano con il cuore e con i piedi

Giuliano Ferrara
06/10/2017 - 4:00
Esteri
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referendum-catalogna-ansa

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Ma che hanno fatto i miei amici e compagni catalani? Arrivo a Torino il 5 novembre del 1973, e un anno e mezzo dopo sono già a Barcellona, che era clandestinamente gemellata con la Federazione comunista di quella città. Ci scambiavamo tutto, soldi, informazioni, tapas, e incrociavamo le manifestazioni illegali sotto la dittatura che si stava sciogliendo come un iceberg negli ultimi mesi di vita di Francisco Franco. Per me era anche umanamente una bonanza. Si andava a cena alle undici di sera, le riunioni erano per mezzogiorno, l’opposto delle abitudini e precisioni calviniste di Torino. Era un mondo ricco di coraggio, di valore, di intelligenza politica, erano belli e belle i combattenti di ogni livello.

La Diagonal ovvero la Avenida José Antonio Primo de Rivera veniva invasa e liberata in pochi minuti, i volantini distribuiti a gente coraggiosa che li raccoglieva dalle mani dei militanti, le labbra barocche dei balconi del centro di Antoni Gaudì sorvegliavano attente ogni spostamento, più attente della Guardia Civil che ora, agli ordini di uno Stato democratico, è obbligata a muoversi prima dell’alba dal porto, spazzare le Ramblas, che allora erano benedette dalla trasgressione e salvaguardate dal terrorismo e dai turisti, invadere i seggi della convocazione illegale di una indipendenza che può solo essere negoziata, e non nella forma della secessione statale stando alla Costituzione per la quale negli anni Settanta, primi anni Settanta, ci si era battuti.

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Ma che hanno fatto? Hanno obbligato lo Stato a sfregiarsi da solo, la democrazia elettorale a disfunzionare tristemente, hanno esposto a una banale logica di risentimento localistico la cultura catalana che ha un senso come mondo dentro un mondo, perché Don Chisciotte partì dalla Mancha ma fu sconfitto a Barcellona e se ne tornò a morire a casa dubitando di sé stesso. Non mi piacciono le stelle del Barça indipendentista, gli esibizionismi di Guardiola, supremo, e di Pujol, un altro supremo, ragionano con il cuore e con i piedi. Non mi piace questa leva di dirigenti, estremisti e moderati confusi insieme, professoresse di catalano col cerchietto, scrittori e autori e attori, e vocianti folle indotte anch’esse a ragionare con il cuore, questo partito della rottura a tutti i costi che pretende quella variante estrema del potere che è la secessione, e lo pretende per la Generalitat, dopo che un grado madornale di autonomia economica e culturale, nazionale, è stato costruito insieme con il governo, i partiti, il popolo della Castiglia, di Leòn, dell’Andalusia, della Galizia, dell’Estremadura e financo del Paese Basco, in una linea che va diritta dal franchismo alla democrazia, anche con il contributo della destra dei populares che vengono da Fraga Iribarne, un ministro della Gubernaciòn senza il quale la transizione più bella del mondo, quel passaggio alla democrazia nel velluto delle nuove regole in un paese che aveva offerto oltre un milione di morti in sacrificio alla Repubblica e ora accettava un monarca garante del passaggio con intima disciplina storica e politica, non ci sarebbe stata.

C’erano anche i comunisti, i socialisti e sopra tutto i grandi dell’autonomismo catalano, tutte forze che avevano radici nella storia della città e della sua strenua resistenza all’alleanza nazional-cattolica sostenuta da nazisti e fascisti, comprese le tragedie e le infamie anticlericali e di guerra nella guerra del conflitto civile in epoca staliniana e togliattiana.

Costo classico, oraziano, amaro
C’è un epodo di Orazio famoso, una seconda generazione conduce Roma alla rovina nella guerra civile, sono i primi due versi, e gli ultimi, dopo il vagheggiamento di una fuga verso le isole Beate dell’ignota pace, suonano profezia di un romano aureo dopo che Iddio, Giove, ha macchiato con il bronzo l’età dell’oro. Questo referendum è una macchia di bronzo nell’oro della rinascita democratica della Spagna. Hanno custodito ciascuno la propria memoria, i combattenti di allora, e fino a poco fa non si erano permessi di invadere quella dell’altro, meglio l’oblio, e in questo avevano compiuto un miracolo di ragionevolezza e di magnanimità, soldati di Salamina. Che cosa hanno fatto le classi dirigenti catalane, a forza di coltivare sogni di potere autonomistici, per diventare indipendentisti nonostante la maggioranza del popolo catalano di indipendenza e isolamento non voglia nemmeno sentire parlare? Hanno evocato e imposto a Madrid i proiettili di gomma, e il costo, che per noi è solo l’ennesima coglionata di un Salvini, sarà per loro salato, un costo classico, oraziano, amaro. Che strazio, Dio mio.

@ferrarailgrasso

Foto Ansa

Tags: barcellonareferendum catalognaspagna
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