
Giustizia. A nessuno conviene un’altra guerra dei trent’anni

Quasi più nessuno vorrebbe portare avanti la “Guerra dei trent’anni”, come l’ha chiamata Filippo Facci, tra toghe e politica. Ne è passata di acqua sotto i ponti dai tempi di Mani Pulite e siamo convinti che sia tra i politici sia tra i magistrati la grande maggioranza voglia mettersi alle spalle quel periodo. Qualcosa, poi, è anche successo: il processo Eni e quello sulla Trattativa si sono conclusi come sappiamo e possiamo ben dire che una certa stagione si è chiusa (pure in modo paradossale se pensiamo alla vicenda Davigo).
Ciò non toglie che quel “quasi” con cui abbiamo iniziato il ragionamento sia importante e rumoroso. I toni fra Governo e Anm sono tornati ad essere pesanti, l’altro giorno Repubblica ha pubblicato un commento di Isaia Sales il cui titolo era “Il garantismo amorale”, Il Fatto martella ogni giorno sugli stessi argomenti, Il Domani è più rapido dei giudici ad avvisare i ministri delle indagini a loro carico.
La riforma Nordio
Anche un commentatore non certo simpatetico col centrodestra come Marcello Sorgi l’altro giorno sulla Stampa ha notato che «l’inizio dell’inchiesta su Santanchè è datato a novembre» e dunque «il vento della magistratura verso il governo ha cominciato a farsi sentire subito dopo il giuramento. E ha preso a soffiare più forte dopo le prime anticipazioni della riforma della giustizia comunicate dal ministro Nordio».
Nessuno vuole vedere complotti dove non ci sono, ma è chiaro che, più va avanti la riforma presentata dal ministro – una riforma dal chiaro impianto garantista -, più le acque si fanno agitate. A volte “strumentalmente agitate”, come ha notato il Foglio che ha scovato tra le note del Rapporto dalla Commissione Europea che critica la riforma Nordio una fonte, diciamo così, non esattamente super partes: un articolo del Fatto quotidiano.
Il circo e il governo
Tutto questo per dire che c’è ancora una fetta della magistratura che si sente investita di una missione politica che non le compete. Esistono ancora casi difficilmente spiegabili come quello del sottosegretario Delmastro verso cui, dopo la richiesta di archiviazione della Procura, è stata disposta dal gip una statisticamente rarissima «imputazione coatta». Esiste, insomma, ancora il circo mediatico giudiziario che non s’arrende alla fine della guerra dei trent’anni.
Il centrodestra dovrebbe avere più sangue freddo nell’affrontare la questione. E ricordare sempre con costanza e chiarezza che, essendo stato votato in base a un programma politico ben preciso, con idee ben definite anche in materia di giustizia, esso è del tutto legittimato a farle diventare leggi, anche se queste non piacciono a certe toghe. Si chiama democrazia.
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