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Perché non vada sprecato il sangue versato da Giovanni Poalo II

Quarant'anni fa in Piazza San Pietro l'attentato a papa Wojtyla. Il suo significato teologico e l'indicazione per la Chiesa di oggi

Luca Del Pozzo
13/05/2021 - 1:00
Chiesa
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Papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro, qualche istante dopo l’attentato, 13 maggio 1981

«Il Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli».

Riandando con la memoria a quel 13 maggio di quarant’anni fa, quando la mano di un killer ritenuto infallibile sparò contro san Giovanni Paolo II con la certezza che l’avrebbe ucciso, queste parole del salmo 32 spiegano più e meglio di mille studi cosa davvero accadde quel giorno.

E ciò che accadde, un fatto non inusuale per chi sia sintonizzato sulle frequenze celesti eppure sempre sorprendente, è che la Provvidenza fece irruzione in piazza San Pietro cambiando, letteralmente, il corso di quegli eventi che alcuni uomini avevano progettato fin nel minimo dettaglio.

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La dinamica dell’attentato

Man mano che la dinamica di ciò che “tecnicamente” avvenne si è andata chiarendo nel corso degli anni, oggi possiamo affermare con certezza (sempre nell’ottica di cui sopra) che a deviare i proiettili altrimenti mortali fu un’altra mano, quella di suor Rita Montella, meglio nota come la “bambina” di san Pio da Pietrelcina, che rivelò a padre Franco D’Anastasio (forse il maggior biografo del santo) di essere stata presente in bilocazione quel giorno in san Pietro e di aver deviato insieme alla Madonna i proiettili (sull’argomento ne ha scritto diffusamente, tra gli altri, Antonio Socci nel suo bellissimo libro su padre Pio).

Cosa disse Giovanni Paolo II

Ma al di là del “come” l’inaudito avvenne, è sul “perché” le cose andarono come andarono che, ancora oggi, ci si interroga. E da questo punto di vista in Memoria e identità, per certi aspetti il suo testamento intellettuale (e non solo), lo stesso san Giovanni Paolo II ha offerto una chiave interpretativa su cui vale la pena soffermarsi.

Dialogando con il suo storico segretario particolare, monsignor Stanislaw  Dziwisz, a un certo punto Wojtyla dice: «Penso che non sia un’esagerazione applicare in questo caso (l’attentato, ndr) il detto: Sanguis martyrum semen christianorum. Forse c’era bisogno di quel sangue in piazza San Pietro, sul luogo del martirio dei primi cristiani».

In effetti, chiunque conosca la storia della Chiesa sa che, sempre, laddove c’è stata effusione di sangue frutto di persecuzioni, rispetto a ciò che a viste umane veniva (viene) giudicato un fallimento, il risultato finale si è rivelato (si rivela) di tutt’altro tenore.

Uomini innocenti e onesti

Questo, d’altra parte, è il “segreto” della croce: Dio che dal male tira fuori il bene. E questo è esattamente ciò che avvenne anche con l’attentato a Wojtyla. Di lì a poco infatti sarebbe crollato il regime comunista, quel regime sorto in seguito alla rivoluzione d’ottobre avvenuta nel mentre – di certo non casualmente – in Portogallo, a Fatima (il 13 maggio ricorre la festa della Madonna di Fatima), si concludevano le apparizioni della Madonna ai pastorelli.

Il papa polacco diede insomma una lettura teologica di quanto gli accadde, inquadrandola in un giudizio esteso a tutto il Novecento:

«Penso che esso (l’attentato, ndr) sia stata una delle ultime convulsioni delle ideologie della prepotenza, scatenatesi nel XX secolo. La sopraffazione fu praticata dal fascismo e dal nazismo, così come dal comunismo».

Con un’aggiunta per certi aspetti sorprendente (anche per l’aggancio con l’attualità): «La sopraffazione motivata con argomenti simili si è sviluppata anche qui in Italia: le Brigate Rosse uccidevano uomini innocenti e onesti».

Cosa fa la Chiesa

E oggi? Oggi accade un fenomeno piuttosto stridente: da un lato mai come ai nostri tempi è in atto una persecuzione sistematica di tantissimi cristiani in tutto il mondo; dall’altro, e allo stesso tempo, si assiste ad una Chiesa che non solo non appare “settata” in modalità martirio, ma che anzi cerca di andare d’accordo con il mondo, puntando in primis su ciò che unisce e si ha in comune per poi, forse, parlare di Dio, piuttosto che annunciare al mondo la verità, cioè Cristo.

Non si spiega altrimenti una Chiesa che va a braccetto con l’Onu, su questioni oltretutto di discutibile importanza, se solo si consideri che stiamo parlando di un’organizzazione, lo sanno pure i muri, che in altri campi porta avanti politiche e più in generale un’antropologia radicalmente opposta a quella cristiana, e cattolica in particolare.

Per non dire, e succede sempre più spesso, di certi discorsi che non sapendo che a parlare è un vescovo o un parroco potresti tranquillamente pensare di stare ascoltando di volta in volta un teorico dello sviluppo sostenibile, un esperto di coaching, un sindacalista, un’attivista dei diritti umani o uno dei tanti testimonial del nulla cosmico in giro per il mondo (tralasciando per carità cristiana riletture di concetti e categorie squisitamente cristiane che evocano sinistre assonanze con obbedienze di altra natura).

Un po’ di esempi

Così come non si spiega come mai un personaggio come p. James Martin, alfiere dello sdoganamento dell’omosessualità nella Chiesa, sia consultore del dicastero della Comunicazione; o che Jeffrey Sachs, guru della sostenibilità e convinto abortista, collabori con la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali; o che svariati vescovi ritengano opportuno che le unioni samesex abbiano una copertura a livello civile (e magari anche una benedizione ecclesiale), trascurando il non banale dettaglio che – dando per scontato che non si tratta di unioni platoniche – ciò comporta accettare o quanto meno essere (pilatescamente) indifferenti a che vengano consumati atti che la Chiesa ritiene mortalmente peccaminosi (non per nulla Sant’Alfonso Maria de’ Liguori diceva che manda più anime all’inferno la misericordia della giustizia divina, a dimostrazione del fatto che certi concetti vanno maneggiati con estrema cura); o che un simbolo pagano come la Pachamama sia stato accolto in Vaticano addirittura portato a spalle da vescovi e ministranti vari.

Il dito e la luna

O che sull’altare della Confessione in S. Pietro sia stata posta un’offerta dedicata alla Madre Terra; o che a fronte di appelli a favore delle popolazioni del Myanmar colpite dalla repressione militare, non una parola si sia sentita quando gli sgherri del regime di Pechino manganellavano i manifestanti di Hong Kong; o che Kevin Farrell, stretto collaboratore dell’abusatore seriale T. McCarrick, stia a capo del dicastero per i laici, la famiglia e la vita; o che a proposito della pedofilia tra le fila del clero si continui a puntare il dito contro il clericalismo facendo finta di non vedere la luna, ossia il fatto che oltre l’80% degli abusi sono stati commessi da preti omosessuali (in primis il già citato predatore seriale T. McCarrick); o che episodi della vita dei santi, quale ad esempio l’incontro di san Francesco con il sultano Malik-al-Kamil, sulla base di improbabili quanto stravaganti riletture delle stesse fonti vengano portati come esempio del giusto atteggiamento che ogni missionario deve avere, nella fattispecie un atteggiamento di umile e fraterna “sottomissione” (e credo sia superfluo ricordare come si traduce “sottomissione” in arabo).

La statuina di Lutero

O che non ricordo quale prelato sia stato rimbrottato dall’allora sostituto card. Becciu per aver collegato il terremoto del 2016 alla legge sulle unioni civili (sulla quale stendiamo un velo pietoso su come fu gestita quella partita dalla Chiesa), mentre non si ha memoria di interventi “correttivi” all’indirizzo di altre testate sedicenti cattoliche che su tematiche ben più importanti quali Ddl Zan, omosessualità, gender e dintorni hanno assunto da tempo posizioni imbarazzanti (per usare un eufemismo); o che una statuina di Lutero sia apparsa nell’aula Paolo VI in Vaticano; o che l’Istituto San Giovanni Paolo II per gli studi sulla famiglia sia stato riorganizzato senza che incidentalmente due dei professori più vicini al magistero del santo papa polacco fossero confermati nei rispettivi incarichi (forse perché si ostinavano e voler ricondurre Amoris laetitia nell’alveo della Familiaris consortio, quando invece si voleva fosse marcata la discontinuità tra i due documenti?).

Secondarie, non assenti

L’elenco potrebbe continuare a lungo. Siamo passati dall’uomo a una dimensione di Marcuse alla Chiesa a una dimensione. Come se le cose di quaggiù fossero più importanti di quelle di lassù. E non è certo casuale se in cima all’agenda dell’attuale corso ecclesiale ci siano anziché i Novissimi, i migranti, l’ambiente, la lotta contro le ingiustizie, i poveri.

Prevengo l’obiezione: ma occuparsi delle cose di lassù non esclude, anzi, implica occuparsi anche delle cose di quaggiù, dal momento che Dio si è incarnato e la Chiesa cammina nella storia. Vero, ci mancherebbe. E le succitate tematiche, come pure altre, sono senza dubbio importanti; ma si tratta di tematiche che sono e restano squisitamente politiche, e in quanto tali secondarie (leggi bene: secondarie, non assenti) rispetto al proprium dell’annuncio cristiano. Va bene tutto, ma nel giusto ordine. Prima il cielo, poi la terra.

La strada giusta

«Il buon Dio – scrive Bernanos – non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale. Il sale sulla pelle brucia. Ma le impedisce anche di marcire».

Da qui la domanda: Giovanni Paolo II ha dovuto dare il sangue perché la storia andasse in un certo modo; è sicura la Chiesa di oggi che essere miele per il mondo sia la strada giusta? 

Foto Ansa

Tags: ChiesaGiovanni Paolo IIPapa Wojtyla
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