Non c’è niente di più giovane del rito antico. A dieci anni dalla Summorum Pontificum

Di Valerio Pece
12 Settembre 2017
Un pellegrinaggio e un convegno a Roma per celebrare il decennale del motu proprio di Benedetto XVI sul "Vetus Ordo Missae". Previste tremila persone

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«Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia». La celeberrima espressione di Benedetto XVI contenuta nella sua autobiografia (La mia vita, San Paolo) sottolinea ancora una volta che sulla Santa Messa si gioca il futuro della Chiesa (poteva non essere così?). Eppure la situazione oggi appare abbastanza confusa. Papa Francesco ha affermato di considerare la riforma liturgica “irreversibile”, così molti, forse sbagliando, hanno letto quest’irreversibilità come un futuro stop alla celebrazione della Messa in rito antico autorizzata da Benedetto XVI. Recentemente, poi, il prefetto della Congregazione per il Culto divino, Robert Sarah, ha proposto una sorta di terza via: una «riconciliazione liturgica» orientata ad una contaminazione del Vetus con il Novus Ordo («un rito romano unificato che accorpi il meglio dei due riti preconciliare e postconciliare», scrive Sandro Magister). Tutto ciò mentre il liturgista Andrea Grillo, stimato da una larga fascia di cattolici progressisti, auspica di procedere a un «inevitabile avvicendamento del prefetto Sarah» e di «esiliare Ratzinger per sempre». Se questa non è una guerra, le somiglia molto.

Eppure in quest’impasse è in arrivo un evento che per tema e per ospiti è destinato a far rumore. Il popolo del Summorum Pontficum si ritroverà a Roma dal 14 al 17 settembre per celebrare solennemente i 10 anni del motu proprio di Benedetto XVI (qui il video d’invito al Pellegrinaggio). Esattamente il 14 settembre 2007, infatti, entrava in vigore l’atto che restituiva piena cittadinanza alla forma preconciliare della Messa in rito romano.

Un festeggiamento – si legge significativamente nel comunicato stampa – fortemente voluto da «tutti i preti, religiosi e fedeli che, sin da quella data, hanno nutrito, arricchito e rinnovato la loro fede alla fonte di ciò che è oramai denominata la forma extraordinaria del rito romano». Non più scritti, teorie o mosse di curia, dunque, ma persone in carne ed ossa che arriveranno a Roma per testimoniare la perpetua giovinezza della liturgia tradizionale. Nulla a che fare con una manifestazione, ma prima di tutto un atto di pietà, un momento di preghiera, d’azione di grazie e d’implorazione.

Le celebrazioni si apriranno con un convegno molto atteso (“Summorum Pontificum, una rinnovata giovinezza per la Chiesa”), i cui relatori sono i protagonisti dell’attuale dibattito ecclesiale. Su tutti il prefetto del Culto divino, cardinale Robert Sarah, e l’ex prefetto della Dottrina della fede, cardinale Gerhard Müller. L’intervento del porporato ghanese avrà per titolo “Il silenzio e il primato di Dio nella sacra Liturgia”, mentre il cardinale tedesco (recentemente sostituito nel suo dicastero dal gesuita spagnolo Ladaria Ferrer) parlerà sul tema “Dogma e Liturgia”. Al convegno – che si terrà all’Angelicum, la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino – molto attese saranno anche le prolusioni del segretario della Pontificia commissione Ecclesia Dei monsignor Guido Pozzo (“Il Summorum Pontificum dieci anni dopo. Bilancio e prospettive”), dell’abate di Fontgombault, Dom Jean Pateau (“I frutti di grazia del Summorum Pontificum per la vita monastica e sacerdotale”), nonché di Martin Mosebach, tra i maggiori scrittori tedeschi e da sempre estimatore del pensiero di Benedetto XVI, il cui intervento ha per titolo “Santa routine: sul mistero della ripetizione”.

Il convegno si concluderà alla sera di giovedì 14 con i Vespri pontificali celebrati da monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa pontificia, vero trait d’union tra il papa regnante e l’emerito. I Vespri costituiscono anche la prima cerimonia del pellegrinaggio, che proseguirà secondo un denso programma sino a domenica 17, e che avrà il momento culminante nella processione solenne che guiderà i pellegrini per le vie di Roma fino alla basilica di San Pietro. Qui sabato 16 verrà celebrata la Santa Messa pontificale. Sul nome dell’officiante, che da programma sarebbe dovuto essere l’appena scomparso cardinale Carlo Caffarra, c’è ancora il massimo riserbo.

Per comprendere meglio questo particolare movimento di popolo è utile ascoltare l’abbé Claude Barthe, teologo francese, liturgista e da 5 anni cappellano del pellegrinaggio Summorum Pontificum. Con estrema efficacia questi spiega quanto e come la Messa tridentina sia da considerare un antidoto, destinato – con una sorta di valenza taumaturgica – a proteggere una situazione ecclesiale delicata e «un popolo cristiano malato nella fede». «La richiesta della “Messa in latino” – afferma Barthe intervistato dal mensile Radici Cristiane – fa parte di un movimento di fondo che non si arresterà. Si guarda oggi ad un Cattolicesimo nuovo, fatto di preti “identitari”, di fedeli in maggioranza giovani, di famiglie molto praticanti, di comunità nuove, di tradizionalismi diversi, di scuole cattoliche, di movimenti di giovani. Questo Cattolicesimo rimane ancora minoritario, ma ha una capacità di mobilitazione (come, ad esempio, la francese Manif pour Tous) che non hanno altre componenti invecchiate e sfinite del corpo cristiano». Questa sensibilità liturgica tradizionale, questo «maggio ’68 conservatore», per l’abbé Barthe non solo genererebbe un numero di futuri preti assolutamente da non sottovalutare, ma apporterebbe anche una coscienza precisa della crisi che affligge oggi la Chiesa. Questo cattolicesimo dal volto nuovo – sostiene il cappellano del popolo del Summorum pontificum – «presenta ancora un’omogeneità indecisa, essenzialmente in quanto mancano pastori per infondervi un grande disegno che sia veramente riformatore e missionario», tanto che «per ora, le élites ecclesiastiche fanno fatica a porsi in sintonia con esso, come se non sapessero in che modo uscire dalla versione cattolica del maggio ’68, come se non sapessero leggere i “segni dei tempi”, ch’esse hanno così sovente invocato».

Se il volto pacifico e solare del pellegrinaggio internazionale (un’iniziativa del Coetus Internationalis Summorum Pontificum, organizzatore dal 2012) è ormai entrato a far parte delle consuetudini della Città eterna, nelle diocesi sparse nel mondo, invece, vi sono ancora situazioni molto eterogenee che vanno dall’accettazione della Messa nella forma straordinaria al suo deciso rifiuto, spesso associato a forme di latente persecuzione. Per tutti, va ricordato l’ex vescovo di Sora-Cassino-Pontecorvo, Luca Brandolini, che alla notizia della liberalizzazione del rito antico confidò al quotidiano la Repubblica di «aver pianto per quel giorno di lutto». Sono passati 10 anni da quel 14 settembre del 2007 ma va registrato che l’ostilità verso il “Vetus Ordo Missae” – per molti garanzia di bellezza, sacralità e dignità della liturgia – è ancora molto forte. Eppure andrebbe notato che anche in una prospettiva ecumenica la liberalizzazione della Messa antica costituisce un netto passo avanti. Lo ha attestato chiaramente Alessio II, defunto patriarca di Mosca, il quale elogiò il motu proprio di Benedetto XVI con parole cristalline: «Il Papa ha fatto bene. Tutto ciò che è recupero della tradizione avvicina i cristiani tra loro».

Che la Messa in rito antico, a dispetto di pregiudizi, non finisca di dar segni di sorprendente vitalità lo testimonia anche il segretario generale del Coetus Internationalis Summorum Pontificum, il francese Guillaume Ferluc. «In qualità di organizzatore del pellegrinaggio – racconta Ferluc a tempi.it – ho potuto incontrare e accogliere persone venute da tutto il mondo, spesso con un impegno economico anche notevole: dall’Australia all’America latina, dall’Asia all’Europa dell’Est, dalla Scandinavia fino ai Caraibi. Ciò, se ce ne fosse bisogno, dimostra il carattere profondamente universale della liturgia tradizionale, dunque autenticamente cattolico». La crescita del rito antico, in effetti, è silenziosa ma costante. Sono 221 le Sante Messe domenicali e settimanali in Francia nel 2017 (non comprendendo nel calcolo la Fraternità San Pio X) contro le 121 del 2007; se nel 2007 negli Stati Uniti i luoghi di culto in cui il rito antico aveva cittadinanza erano 230, oggi sono oltre 480, anche qui senza conteggiare i lefebvriani della FSSPX. «È attraverso la pagina Facebook del pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum – afferma sorridendo il Segretario generale del Coetus – che quest’anno abbiamo scoperto che la liturgia tradizionale si celebra addirittura in Indonesia! Ora chiediamoci: lo sviluppo della forma straordinaria nel primo paese musulmano al mondo per numero di praticanti, dovrebbe oppure no interrogare le coscienze di quanti sono sinceramente interessati al futuro della Chiesa?».

Annibale Bugnini, indiscusso protagonista della riforma liturgica, dichiarava all’Osservatore Romano: «Dobbiamo togliere dalle nostre preghiere cattoliche e dalla liturgia cattolica ogni cosa che possa essere l’ombra di una pietra d’inciampo per i nostri fratelli separati, ossia i protestanti». La vera domanda è se un intento come quello riportato sia stato ininfluente rispetto alla situazione in cui oggi versa la liturgia, a quella cioè che Benedetto XVI ha chiamato «deformazione al limite del sopportabile». La risposta probabilmente è in quelle 3 mila persone che, secondo le previsioni, sabato 16 settembre affolleranno la sede di Pietro per la Messa pontificale che chiuderà le celebrazioni per i primi 10 anni del Summorum Pontificum. Per molti una testimonianza giovane e di popolo, forse un maggio ’68 cattolico, sicuramente un incontestabile (e autentico) segno dei tempi. Come scrisse papa Ratzinger nella lettera di accompagnamento del motu proprio, «ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso».

Foto summorumpontificum2017.org

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