Giannino: Anticorruzione, un’arma spuntata che ci complicherà solo la vita

Di Oscar Giannino
26 Ottobre 2012
In ogni azienda ci sarà un responsabile per i reati di corruzione commessi a sua insaputa. Voglio vedere a che prezzo le imprese troveranno manager disposti a sobbarcarsi evenienze simili

Il disegno di legge anticorruzione è cosa buona e giusta. Come idea, però, più che per la sostanza. Ho scritto e ripeto che Mario Monti ha fatto bene a mettersi al seguito del Quirinale tirando energicamente la giacchetta ai partiti della maggioranza perché capissero che contro la corruzione dilagante occorreva uno scatto di reni. Malgrado l’apparenza delle statistiche giudiziarie, secondo le quali diminuirebbero sia i delitti di corruzione e concussione, sia i denunciati e i condannati con sentenza definitiva per questi reati, la realtà appare del tutto opposta agli italiani e agli osservatori stranieri. Il fenomeno sembra più esteso che mai. Le nostre leggi, totalmente inadeguate. La realtà italiana largamente connivente e rassegnata.

I costi sono spaventosi, per quanto approssimativa sia la stima della Corte dei conti di 60 miliardi di euro l’anno, a cui il governo ha aggiunto, con il rapporto ad hoc predisposto dal ministero della Pubblica amministrazione (Pa), la valutazione di un freno alla crescita delle piccole e medie imprese dal 25 al 40 per cento, secondo il settore di appartenenza. La concorrenza leale viene smantellata da chi tra i privati decide di godere del rapporto discrezionale con una Pa pronta a fare gare, prezzi e bandi ad hoc per gli amici degli amici. Le opere pubbliche salgono di costo, anzi spesso si fanno solo quelle dietro le quali c’è corruzione, mentre i Comuni virtuosi non possono pagare i fornitori né realizzare alcunché, strangolati dal patto di stabilità interna. Le multinazionali se ne vanno, e gli investimenti diretti esteri preferiscono altri paesi.

Eppure, detto tutto questo, il più delle norme del ddl anticorruzione ripetono vecchi errori e li amplificano, invece di sanarli. Si crede in Italia che bandire l’imperfettismo umano significhi moltiplicare fattispecie e pene edittali. È la tendenza del formalismo strutturalista panpenale, che va per la maggiore da qualche decennio, e che è l’esatto opposto di incentivi innanzitutto economici e reputazionali che premino la compliance spontanea e la diffusione della sua cultura. Che, nel lungo tempo, nel carattere di un popolo come nell’agire dei suoi operatori economici e dei suoi attori civili e politici ottiene risultati assai migliori della paura delle manette.

Che senso ha, per esempio, ripetere per la corruzione l’errore commesso con la 231, per la responsabilità oggettiva penale delle imprese? Il responsabile anticorruzione in ogni azienda sarà civilmente e penalmente responsabile per eventuali reati di corruzione commessi a sua insaputa. E sarà suo l’onere della prova di aver fatto tutto ciò che si doveva per evitarli. Voglio vedere a che prezzo le imprese troveranno manager disposti a sobbarcarsi evenienze simili. Che dire dell’introduzione della corruzione tra privati, con effetti tali da procurare nocumento all’impresa? Bisognerà stare attenti d’ora in poi a praticare sconti pur di aggiudicarsi commesse di apparati e sistemi Ict: un pm potrebbe sostenere che è corruzione che danneggia il compratore, in quanto la fornitura è intesa a diminuirne la pianta organica di dipendenti.

Ancora: a cosa servono le black list anticorruzione? Non è bastata la risibile esperienza pluridecennale dei certificati antimafia? Continuo. Siete davvero convinti che sia precisamente configurabile in concreto l’estremo che dia sostanza inequivoca al nuovo reato di traffico d’influenze, e cioè allo scambio di voti per interessi alle elezioni? Non devo essere il solo a dubitarne ma per primo l’estensore della norma. Che è evidentemente un puro spauracchio per politici, visto che la pena prevista può essere inferiore a quella del millantato credito già oggi indicata nel codice penale. Idem dicasi per la previsione dell’induzione quale circostanza definitoria aggiuntiva dei reati corruttivi. Sono tutti nuovi strumenti nella panoplia delle inchieste su politica, Pa e privati. In realtà aggiungono solo sapone scivoloso a pochissime fattispecie di reato alle quali magari bisogna invece cambiare il tipo di pena, con interdizioni lunghe e permanenti all’esercizio del diritto passivo di voto, come al godimento di diritti politici ed economici da parte di imprese e manager.

Purtroppo le colpe sono anche dell’eterogenea maggioranza che sostiene Monti. Il centrodestra ha puntualmente riprovato a inserire nel testo norme ad personam per procedimenti in corso. Né ha un giustificato motivo per resistere all’introduzione di fattispecie come l’autoriciclaggio, chiesto giustamente da anni dai magistrati secondo quanto previsto in molti altri ordinamenti. E così, tra fughe in avanti indotte dalla magistratura per un verso, e freni contraddittori da parte della politica dall’altro, l’impressione data agli italiani e al mondo intero è ancora una volta quella di penosi distinguo, pasticci e furbizie. Resteremo così lontanissimi, c’è da scommetterci, dall’avere codici di comportamento, livelli di trasparenza e di responsabilità disciplinare nella Pa capaci di scoraggiare davvero le sistematiche violazioni di un’idea anche solo elementare dell’etica civile.

Articoli correlati

1 commento

Non ci sono ancora commenti.

I commenti sono chiusi.