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Giampiero Leo, un diccì a Torino (amato da comunisti e punk)

Era leader del Movimento studentesco, poi incontrò Cl. Si è candidato ovunque: università, Comune, Regione. Sempre col pieno di voti. «Volevo essere "popolare"»

Daniele Guarneri
12/04/2015 - 2:00
Esteri
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Giampiero-Leo

Questo articolo, tratto dal numero di Tempi in edicola, fa parte della serie “Ragione Verità Amicizia”, il manifesto dei nostri vent’anni e della Fondazione Tempi (una proposta che si può sottoscrivere in questa pagina).

Ladro, corrotto, affarista. La stampa ci ha abituato così. Altro che bene comune e servizio al popolo. Cos’è un politico? Un ladro, corrotto, affarista. Se poi è di cielle, abbiamo chiuso il cerchio. Allora perché una persona dovrebbe dedicare tutta la vita alla cosa pubblica? Stipendi, rimborsi spese o super pensioni non sono un movente sufficiente. Dev’esserci dell’altro. Giampiero Leo, classe 1953, fa “politica” dalle elementari. Nato a Catanzaro, adottato da Torino. E lì vive tuttora. Ha vissuto gli anni della contestazione giovanile, gli anni di piombo, ha conosciuto i politici della Prima Repubblica, ne ha visto la fine. Poi la Seconda Repubblica. Fino a oggi. Nessun pentimento o ripensamento. Sentirlo raccontare della sua vita farebbe bene a chiunque, persino agli scettici. Anche ora, che politico non è più.

«A scuola sono sempre andato bene. Ero il primo della classe. Un giorno la maestra Angelucci mi ha chiesto di fare il capoclasse. “No – ho risposto –, non sono stato eletto democraticamente”. La maestra ha organizzato delle elezioni interne e vengo eletto. Cosa dovevo fare? Aiutare i compagni che a scuola facevano fatica. Farli studiare, sostanzialmente. Avevo sette anni. Ricordo anche un compito in classe. Tema: cosa vuoi fare da grande. I miei compagni, evidentemente più “sani” di me, hanno scritto le solite cose: il dottore, la maestra, il calciatore… Io no. Io volevo fare il politico democristiano per difendere la libertà dei popoli». C’è un unico problema, un particolare che complica il sogno di Leo: i genitori. Papà e mamma non sono cattolici ma convinti comunisti. «Quando hanno letto il mio tema la reazione è stata pacata: mi hanno mandato dallo psicologo».

Alle medie inferiori il suo interesse non scema, anzi. «Avevo fatto richiesta per iscrivermi alla Democrazia cristiana, ma ero troppo giovane per farlo. Dopo le medie mi sono iscritto al liceo scientifico. Ero noioso, lo ammetto, ma ben voluto da tutti». Erano gli anni del Movimento studentesco di Mario Capanna, sorto nel ’68 e molto attivo nel nord Italia, ma anche a Catanzaro era presente. «Volevamo partecipare alle decisioni sulla vita scolastica, la politica, il paese, il mondo. Al terzo anno ne sono diventato leader, eletto pressoché all’unanimità. Ma sono sempre rimasto democristiano: non ho mai sposato le posizioni dell’estrema sinistra. E a dir la verità, a Catanzaro di estremo non c’era proprio nulla: in Calabria Ms non aveva subìto l’inquinamento ideologico che lo porterà poi su posizioni estremiste. C’era solo voglia di libertà e partecipazione. Non ero di sinistra, nemmeno di destra, ho partecipato e coordinato manifestazioni antifasciste e contro tutte le dittature dell’epoca. Ero semplicemente democristiano».

Finalmente riesce a iscriversi alla Dc dove conosce Mario Tassone, uno dei più stretti collaboratori di Aldo Moro, e si infila nella sinistra sociale del partito. Lì stringe una speciale amicizia con leader come Carlo Donat-Cattin e Guido Bodrato. Ma perché un cattolicone come lui era ben voluto e sostenuto da tutti i compagni di scuola, anche quelli decisamente di sinistra? «Mi dicevano sempre: “Noi non capiamo cosa dici, sei strano. Ma capiamo che ci vuoi bene e sei quello che fa di più per tutti noi”. A loro non interessavano i miei pistolotti su De Gasperi e “don Strunzo”, come chiamavano don Sturzo. Piaceva che io mi occupassi di loro e della scuola. Gite, incontri, aiuto allo studio, richieste ai professori e quando lo scontro fra le aree politiche si faceva troppo acceso, artefice di dialogo e mediazione. Ecco cosa voleva dire fare il rappresentate degli studenti e il leader di Ms». Tutto termina con la maturità: 60/60 con menzione speciale e premio consegnato da Gianni Letta, allora direttore del quotidiano Il Tempo. Per i giornali di Catanzaro Leo diventa “Il super maturo della Calabria”.

Il risveglio dei cattolici
L’università porta Leo lontano da casa. Non per scelta sua. C’è lo zampino dei genitori. «Un figlio che facesse politica nella Dc non lo volevano. Così hanno pensato di mandarmi a Torino, allora e forse anche oggi la città più di sinistra e laicista d’Italia. “A Torino ci sono i comunisti veri o quelli del Partito d’azione”, avranno pensato». Anche nella scelta della facoltà i genitori si intromettono: loro immaginano il Politecnico, Leo preferisce una materia umanista. Alla fine è Giurisprudenza. «A Torino non conoscevo nessuno. La cosa più normale che potessi fare era prendere contatto con quelli di Ms. Solo a quel punto ho realizzato cosa fosse davvero. Partecipavo alle assemblee, intervenivo, mi applaudivano». Poi i compagni scoprono che Leo è della Dc. «Hanno iniziato a tenermi a distanza, a togliermi con le buone e con le cattive il diritto di voto e di parola in assemblea. Erano gli anni Settanta, quelli della violenza vera, a quel tempo si rischiava davvero la vita. Ero deluso. E solo. Un giorno ho sentito quattro ragazzi discutere animatamente e ho capito che nel loro confronto si parlasse di Cristo. “Sono della Dc”, ho pensato. Mi sono fatto avanti. Erano di Comunione e Liberazione. È così che ho incontrato il movimento fondato da don Luigi Giussani, ho avuto la grazia di essere “adottato” subito da due sacerdoti straordinari, don Primo Soldi e don Bernardino Reinero, i responsabili della comunità di allora».

È il 1975. Quell’anno si svolgono le prime elezioni universitarie dopo il ’68. Torino è la prima città ad andare al voto e il clima è incandescente. «All’epoca non c’era nessuna lista del movimento. Una però era di ispirazione democristiana: “Unità Democratica”. Di fronte alle incertezze in Cl sull’atteggiamento da tenere, don Primo ha avuto l’intuizione giusta: mi ha chiesto di incontrare quegli studenti e di candidarmi con loro, in modo che il movimento sostenesse la lista. La tensione era alta, in Italia le nostre sedi erano prese di mira da tutti i movimenti di sinistra, beccarsi una sprangata non era impossibile. Ma io ero uno spericolato, mi fermavo ai picchetti davanti all’università per discutere con tutti. Il Partito comunista aveva mandato i responsabili delle fabbriche per aiutare gli universitari e tra di loro c’era un giovane Piero Fassino. È stato lui a tirarmi fuori dai guai una volta. Quelli del collettivo volevano farmi la pelle, lui mi ha salvato da una probabilissima scarica di botte. Oggi scherzando quando mi incontra dice che ci ha visto lungo: “Se ti ammazzavano, avrebbero fatto fuori l’unico candidato della Dc. E rischiavamo di farci annullare le elezioni”».

Leo è il più votato: viene eletto al Consiglio di facoltà, nel consiglio dell’Opera universitaria e nel Consiglio di amministrazione. «Sono state settimane entusiasmanti, vissute con coraggio e abnegazione non solo da noi universitari. Tutta la comunità di Cl di Torino ha partecipato a quelle elezioni, ci hanno aiutato, sostenuto, incoraggiato, protetto». “Grande successo di cielle”, scrivono i giornali. E la Dc è colpita dal risultato. Pochi mesi dopo si svolgono le elezioni comunali, così la direzione del partito chiede a Leo di candidarsi. È un altro successo: «Ero a Torino da due anni, mi hanno votato in 4.331 e sono diventato un caso nazionale». Famiglia Cristiana gli dedica la copertina: “I cattolici si risvegliano dopo il ’68”. Per dieci anni, Leo rimane in consiglio comunale negli scranni della minoranza. Eppure è stimato e rispettato. Diego Novelli, il sindaco eletto del Pci, rimprovera i suoi: «Se il 10 per cento di voi fosse coraggioso come i ciellini, conquisteremmo l’Italia». È proprio il sindaco che, in difficoltà nel realizzare un piano per i ragazzi, «mi ha chiesto di occuparmi delle politiche giovanili. È così che è nata la prima consulta giovanile d’Italia. Oltre che dei ragazzi, mi sono occupato di cultura e diritti umani. Ho ottenuto la cittadinanza onoraria per il presidente di Solidarnosc Lech Walesa e per il dissidente sovietico Andrej Sacharov».

Sui tetti delle case occupate
Dopo dieci anni, nel 1985, diventa il primo assessore alla gioventù d’Italia. «Volevo dialogare con tutti, anche con autonomi e punk, erano giovani come altri. Ricordo quando i punk sono venuti a farmi visita. Avevano l’abitudine di occupare gli assessorati e di solito finiva sempre a botte con la polizia. Mi avevano avvertito, i punk stavano arrivando. Ho fatto spalancare il portone e li ho accolti con calici di spumante in una sala del palazzo. Si aspettavano manganellate, hanno trovato del buon vino». Nasce un “patto di non belligeranza”, Leo partecipa a incontri sui tetti delle case occupate e le telecamere del Maurizio Costanzo Show arrivano a Torino. «Ricordo quegli anni con piacere, abbiamo fatto di tutto. C’era grande entusiasmo. E mi rendo conto una volta di più che senza l’incontro con Cl, la mia passione per la politica sarebbe rimasta fine a se stessa. Le radici le ho trovate in Cl. La bellezza, l’amore per Cristo e il discorso di don Giussani ad Assago sono diventate le mie tavole della legge. Giampaolo Pansa su Repubblica mi ha ribattezzato il “santo assessore”».

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Nel 1987 don Giussani indica Leo come presidente del Movimento Popolare, «il più grande onore della mia vita, ma per questioni familiari non ho accettato. E non sono pentito, perché al mio posto è stato scelto il bravissimo Giancarlo Cesana. Nel 1990 ho partecipato alle elezioni regionali in Piemonte e ho ottenuto oltre 27 mila preferenze. Sono stato il primo eletto della Dc a Torino». Nel 1995 si candida nel Polo popolare (Forza Italia-Cdu): «Centrodestra e centrosinistra mi volevano, ma quello che mi ha spinto nel Polo popolare è stata l’amicizia con Roberto Formigoni e Rocco Buttiglione. Il candidato presidente Enzo Ghigo ha accettato integralmente le mie proposte di programma: valorizzazione dei giovani e parità scolastica. Sono diventato assessore alla Cultura, ai giovani e all’istruzione. Poi all’Innovazione, università e parchi. Un mega assessorato praticamente».

E in un “mega assessorato” o non si fa nulla o qualcosa di buono si combina. A sentire Leo questo qualcosa di buono si declina in tre punti fondamentali: «Primo, rilancio della cultura con un grandissimo investimento per recuperare il patrimonio storico e culturale della regione (residenze sabaude, chiese, fortezze) e valorizzazione delle tradizioni culturali piemontesi. Secondo, riforma del diritto allo studio universitario con conferimento delle borse di studio fino al 100 per cento degli aventi diritto. Tutti interventi accettati e sostenuti all’unanimità. I problemi sono cominciati quando ci siamo concentrati sulla parità scolastica. È scoppiato il finimondo. Dopo 43 notti passate in consiglio dove la sinistra si è battuta con ferocia per boicottare la legge, radicali e Margherita decidono di sostenerla». Ma la battaglia si gioca su tutti i fronti e una parte della cittadinanza guidata dal “Movimento Scuola Libera” sostiene la legge con grandi manifestazioni. Nemmeno Mercedes Bresso, presidente del Piemonte dal 2005 al 2010, riesce a debellare il sostegno della Regione alla parità. «Anche in quel caso sono stato promotore di una opposizione fortissima, sostenuta dal cardinale Poletto, dalle associazioni cattoliche della scuola, dai genitori e anche da alcuni consiglieri del Pd di area cattolica. Abbiamo organizzato manifestazioni e un incontro con l’assessore all’Istruzione: quel giorno credeva di trovare quattro gatti impauriti, invece il Teatro Nuovo era strapieno di gente scatenata. Giù le mani dal Buono scuola!». E Leo vince ancora.

Le accuse e l’assoluzione
Possibile che un politico con le mani in pasta praticamente ovunque non sia mai stato pizzicato in errore dalla magistratura? Nel 2010 la giunta Cota, come quelle di altre regioni italiane, viene investita dallo scandalo rimborsopoli e firme false. E Leo, finalmente, ci resta invischiato. Le accuse vanno dal peculato alla distrazione dei fondi fino ai rimborsi spese gonfiati. E con le indagini, come da prassi, comincia la campagna di linciaggio mediatico. «Mentre sulla stampa monta il caso, la procura di Torino fa un lavoro prezioso e certosino. Chiedo il processo per direttissima e a livello penale vengo assolto con formula piena su richiesta della stessa accusa, che riconosce la mancanza di dolo. Vedono passione e virtuosità nel lavoro svolto, veniamo descritti come idealisti». E anche la Corte dei Conti archivia il caso.

Alle ultime elezioni Leo corre con Ncd, ma nonostante risulti il più votato a Torino, il partito non raggiunge il quorum. La giunta di sinistra ne approfitta e come prima cosa cancella il Buono scuola. Ma l’impegno per gli altri che ha contraddistinto la carriera politica di Leo non termina. «Su iniziativa di Silvio Magliano, vicepresidente del Consiglio comunale di Torino, e insieme ad altri amici, fondiamo l’associazione “Nuova Generazione per il Bene Comune”, un luogo in cui la politica può realmente incontrare le persone, cercare di dare una risposta ai loro problemi e recepirne le priorità. Collegata all’associazione nascono altre iniziative come il Manifesto di Torino, il Comitato emergenza cultura e l’Associazione per i diritti umani». Leo è stato anche incaricato di organizzare un tavolo ecumenico con tutte le confessioni religiose di Torino, che sfocerà a fine maggio in una grande manifestazione che vuole dimostrare a tutti la possibilità di dialogo fra culture e fedi diverse. Cosa manca a tutta questa carriera? Roma, il Parlamento. «Roma è importantissima, ma non è mai stata nelle mie corde. Non me la sono sentita di lasciare mia moglie e Torino».

Dopo oltre cinquant’anni di attività, com’è cambiata la politica? «È cambiata in peggio perché la società è peggiorata. Il potere, lo scandalismo, il giustizialismo hanno reso il popolo scettico, cinico, meno desideroso di unirsi per fare qualcosa di buono. La propaganda mediatica di demolizione di qualsiasi cosa e l’interesse morboso allo scandalo hanno contribuito al rammollirsi della società». E a tutto questo i cattolici non sono immuni. «A dire la verità è da molto tempo che sono in grandissima crisi. Si sono persi i criteri per cui si fanno le cose. I cattolici hanno subìto lo stesso processo di banalizzazione e laicizzazione del resto della società. Per questo aderisco con gioia e gratitudine al manifesto di Tempi Ragione Verità Amicizia, perché mi richiama al senso di tutto, al perché faccio le cose. Chi non si impegna con la vita è come Ponzio Pilato. Se ami l’umanità cerchi di servirla, non ti sottrai a nulla, ti implichi con tutto. Solo il cristianesimo può allontanare la pigrizia e l’egoismo. Chi ha incontrato il fatto cristiano dovrebbe sentire questa urgenza. Poi sta a noi riaccenderla in tutti gli altri».

Tags: Comunione e Liberazionedcgiampiero leoLuigi GiussanipansaScuolatorino
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