Galeazzi, giornalista anti-trombone che sapeva arrivare ovunque
La morte di Giampiero Galeazzi mi lascia un po’ così, stranito. Sapevo che stava male e male mi fa non averlo più sentito. L’avrei dovuto chiamare io, ma ero convinto, che, prima o poi l’avrebbe fatto lui, come accadeva. Magari per propormi di scrivere un libro insieme.
Nessuno diceva no a “Bisteccone”
Per chi non sa di chi parliamo, per tutti quelli persi dietro a qualche serie tv, in qualche social, per quelli con la faccia nello smartphone, Giampiero, scomparso ieri a 75 anni, è stato il campione di un giornalismo leggendario, impensabile oggigiorno e quindi estinto. Era il cronista Rai che arrivava dappertutto, quello che non parlava al citofono, quello che non aveva telecamere nascoste, ma solo una grande e grossa telecamera puntata sulla “vittima” di turno. Vittima, perché Giampiero, detto “Bisteccone” per la sua stazza, incombeva sugli intervistati che non si sottraevano alle sue domande.
Non lo facevano, però, per paura, quanto per simpatia. Tutti insieme, le bordocampiste e i bordocampisti, gli intervistatori e le intervistatrici di oggi, senza offesa e con molto rispetto, non riuscirebbero a sintetizzare il suo stile diretto, affabile, mai cortigiano, sempre pronto alle domande più scomode. Però, a differenza di tanti suoi colleghi, poste con una bonomia che invitava a rispondere.
Nessuno gli si negava. Gli ero stato accanto nel calcio, nel tennis, all’Olimpiade. E a tavola. «Grazie per le mangiate», mi scrisse in uno dei suoi ultimi messaggi. Era un bon vivant, che non si negava nulla, proprio come me. Era un giornalista preparato, ma gli piaceva improvvisare. Era un canottiere. Aveva frequentato l’Olimpiade con il remo azzurro nel 1968. Era diventato il cantore dei fratelli Abbagnale e di Peppiniello di Capua, poi di Antonio Rossi e di Josefa Idem, remo da canottaggio e da canoa. Le sue telecronache che gli azzeravano la voce le potete trovare su YouTube. Indimenticabili. Non ho mai capito come facesse a contare i colpi di remo, i cui numeri snocciolava come in una filastrocca. Poi ho scoperto che era laureato in Economia con una tesi in statistica.
Galeazzi era “il” giornalista
Qualcuno lo prendeva in giro, ma ne ho visti pochi di giornalisti gettarsi nella mischia come lui. Certo il fisico lo aiutava, ma la sua forza era la passione. Il giorno dello storico scudetto del Napoli 1987, sfidò i gavettoni di spumante e di acqua per intervistare Maradona e gli altri protagonisti. Fradicio, disfatto, uscì dallo spogliatoio come da un uragano in Florida, ma con tutte le voci dei protagonisti. Era un gaudente, gli piaceva la buona tavola attorno a cui, come da tradizione, raccontava storie, aneddoti, avventure. I giornalisti, quorum ego, sono dannatamente autoreferenziali, ma lui no. Giampiero era un narratore straordinario che metteva la storia, e non se stesso, al primo posto. Proprio come quando commentava il canottaggio e il tennis, o intervistava qualcuno.
Giornalista serio, ma non pieno di sé. Un anti-trombone, dotato di auto-ironia. Qualcuno lo derideva, qualcuno pensava che non fosse un grande giornalista ma solo uno showman per le sue comparsate a Sanremo o da Mara Venier. Sciocchi. Giampiero era “il” giornalista. E non aveva neanche paura di dire che era della Lazio. Mi viene da ridere se penso a quelli che teorizzano che non bisogna tifare, che nascondono le loro emozioni, per “essere super partes”. Giampiero lo era, super. Punto.
Ricordo, con lui, trasferte e notti di racconti e cognac, di stuzzichini e assenza di sonno. Sì, sono immagini di vecchio giornalismo ormai sparito. Ma io c’ho avuto il culo di viverlo, direbbe il mio amico Fred Perri, e voi ciccia. Voi vi beccate questo, ingessato e bellino, precisino e tutto uguale, noioso come una canzone degli Inti-Illimani. Io mi tengo Galeazzi, un uomo ironico, capace di passare dall’Olimpiade a Domenica In, di scherzare su se stesso come pochi sanno fare. Perché sapeva quello che era. «Il tempo è galantuomo» mi ha scritto nell’ultimo messaggio. Forse qualcosa aveva patito, forse non tutti l’avevano capito. Io, modestamente, sì. Buone telecronache, non perdere la voce, lassù dove andrai.
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