

Sarà davvero il direttore generale uscente Tedros Adhanom Ghebreyesus l’unico candidato alle elezioni per il rinnovo della massima carica dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) che si terranno nel maggio dell’anno prossimo? Lo sapremo soltanto alla fine di ottobre, quando saranno rotti i sigilli dei plichi che un certo numero di paesi membri hanno consegnato fino alla data limite del 23 settembre e dove hanno indicato il nome del candidato che intendono proporre.
Ma una cosa è già certa: la rielezione del biologo etiopico di origine tigrina è sponsorizzata da una delle grandi potenze economiche del pianeta. Non si tratta però, come cinque anni fa, della Cina, ma della Germania, che secondo fonti diplomatiche avrebbe convinto altri 17 paesi della Ue a convergere su questa opzione.
Che cosa ha spinto il governo tedesco ad appoggiare apertamente l’approvazione di un secondo mandato per un direttore generale che è stato oggetto di parecchie critiche per la gestione timida fino alla subalternità dei rapporti con la Cina nei giorni più caldi delle polemiche sul tardivo allarme da parte di Pechino sui contagi dovuti al nuovo virus?
Ci sono due fatti che aiutano a trovare la risposta. Il primo è che nel biennio 2020/21 (i budget dell’Oms sono biennali) la Germania è diventata il paese primo finanziatore dell’Organizzazione mondiale della sanità, con contributi superiori a 1 miliardo di dollari. È la prima volta che succede nella storia dell’organizzazione, ed è la prima volta che un paese balza dal quarto al primo posto in termini di contribuzioni.
Nel bilancio precedente infatti Berlino era solo al quarto posto, con 61 milioni di dollari di contributi fissi e 231 di contributi volontari. I contributi fissi sono calcolati sulla base del Pil e del numero di abitanti di uno stato, e rappresentano appena il 20 per cento di tutti i costi che l’Oms sostiene in un anno per il suo funzionamento e per le sue campagne sanitarie internazionali.
Nel 2018/19 la Germania aveva davanti il Regno Unito con 435 milioni di dollari (392 volontari), la Fondazione Bill e Melinda Gates con 531 milioni e gli Stati Uniti con 893 milioni (656 volontari). La Cina, considerata da molti il grande elettore di Ghebreyesus in occasione del primo mandato, in quel budget contribuiva per appena 86 milioni di dollari, di cui solo 10,2 volontari.
Nel corso del 2020, come si ricorderà, l’amministrazione Trump annunciò che avrebbe sospeso i suoi contributi all’Oms perché l’organizzazione era “sino-centrica” e non era stata in grado di ottenere informazioni corrette e tempestive dalla Cina riguardo al virus. Il proposito non è stato poi portato a effetto, ma l’Oms si trovò per qualche tempo con le spalle al muro. Intervennero in suo soccorso la Cina, con circa 50 milioni di dollari, ma soprattutto la Germania, con 351 milioni di dollari di nuovi contributi che andavano dalla lotta al Covid alla sovvenzione di bilancio per le spese di funzionamento dell’Oms.
Nel 2021 la Germania ha continuato ad aggiungere contributi ai suoi impegni pregressi: nel luglio scorso a Ginevra il ministro della Sanità Jens Spahn ha annunciato la donazione di 30 milioni di dosi di vaccino contro il Covid e ha firmato con Ghebreyesus un accordo per il versamento di altri 260 milioni di euro da parte della Germania nel programma “Access to COVID-19 Tools Accelerator” (ACT-A).
Secondo un comunicato stampa del Dipartimento notizie dell’Oms datato 16 luglio 2021, «a partire dal 2020, la Germania ha contribuito quasi 750 milioni di dollari all’Oms, compresi più di 500 milioni per la risposta al Covid-19. Il nuovo accordo porta la contribuzione della Germania a più di 1 miliardo di dollari per il biennio 2020/21, e conferma la sua posizione come il principale finanziatore (“the top contributor” nell’originale) dell’Oms».
Non è chiaro se nella cifra siano compresi anche i versamenti tedeschi al Gavi, l’alleanza per i vaccini destinati ai Paesi in via di sviluppo, dove la Germania ha impegnato 773 milioni di dollari per il quinquennio 2016/20 (l’Italia 401, gli Usa 1.380, il Regno Unito 2.080).
Il secondo fatto da considerare è che il 1° settembre scorso l’Oms ha inaugurato il suo primo hub di pre-allarme per le pandemie. Il suo nome è “Hub for Pandemic and Epidemic Intelligence”, e il suo compito sarà di mettere insieme tutte le risorse possibili in termini di dati ed esperienze in vista di future crisi sanitarie globali dovute all’emergenza di nuovi virus. A tale scopo sarà dotato di tecnologie informatiche di avanguardia: computer quantistici, intelligenza artificiale, ecc.
E dove è stato costituito questo centro senza equivalenti al mondo? A Berlino. La giustificazione per la scelta di questa sede è stata data facendo riferimento alla collaborazione già in atto fra il Robert Koch Institute (Rki) berlinese, che è la più grande organizzazione tedesca di epidemiologia e sanità pubblica ed è consulente di molti paesi nel mondo, e l’Oms. A
Berlino c’è anche l’ospedale universitario Charité, uno dei più grandi in Europa e fornito di un notevole dipartimento di epidemiologia. Ma è evidente che la scelta della capitale tedesca ha a che fare coi generosi versamenti degli ultimi due anni, compresi 100 milioni di dollari per il nuovo Hub antipandemie. Cinquecento chilometri a sud-ovest di Berlino c’è Magonza, sede di BioNTech, la multinazionale farmaceutica che insieme all’americana Pfizer ha messo a punto uno dei primi e più diffusi vaccini contro il Covid. Ed ecco che le domande cominciano a trovare risposte.
Che cosa sta facendo l’amministrazione Biden per evitare che il filo-cinese (e ora filo-tedesco) Ghebreyesus sia rieletto direttore generale dell’Oms? Apparentemente nulla, come gli viene rimproverato dal filo-repubblicano Wall Street Journal e dalla filo-democratica rivista di politica internazionale Foreign Policy (di proprietà del Washington Post).
Biden sembra essersi accontentato della rettifica di linea da parte di Ghebreyesus nel giugno scorso, allorché il direttore dell’Oms dichiarò che era «prematuro» escludere la possibilità che all’origine della pandemia ci sia stata una fuga del virus da un laboratorio cinese, come l’Oms aveva fatto in precedenza definendola «altamente improbabile». Sembra essersi accontentato del fatto che il biologo etiopico tigrino non è più tanto filo-cinese, mentre è diventato molto filo-tedesco. E tedesca è BioNTech, che produce e distribuisce milioni di dosi di vaccino antiCovid in consorzio con l’americanissima Pfizer, la più grande azienda farmaceutica del mondo, 9,6 miliardi di dollari di profitti nel 2020 e sede a New York.
Foto Ansa
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