Non solo Iraq, Siria e Cisgiordania. Anche la Striscia di Gaza si sta svuotando della sua popolazione cristiana. Negli ultimi mesi, infatti, almeno 30 giovani hanno abbandonato la loro terra natale, dove si celebrano più funerali di cristiani anziani che battesimi.
SCARSE SPERANZE. Fides ha diffuso un racconto di padre Mario da Silva IVI, parroco della chiesa latina dedicata alla Sacra Famiglia, secondo cui le partenze dimostrano che nessuno crede in un cambiamento della situazione, caratterizzata dalla minaccia di guerre, dall’isolamento internazionale e dalla mancanza di lavoro.
«NESSUNO LAVORA». Nella Striscia i cristiani sono ormai poco più di un migliaio su 1,8 milioni di abitanti. Suor Milagro, che lavora insieme ai sacerdoti dell’Istituto del Verbo Incarnato e aiuta le famiglie più in difficoltà, spiega: «Abbiamo sentito i racconti strazianti di persone disperate e affamate: nessuno lavora, i bambini sono numerosi, spesso ci sono malati gravi che necessitano di cure. Le abitazioni sono fatiscenti perché le pareti e il tetto sono di lamiera, e senza energia elettrica. Il freddo dell’inverno penetra dappertutto.
PROBLEMA DEI CRISTIANI. La parrocchia cattolica fa quello che può per la popolazione e ha già avviato 12 progetti oltre all’oratorio. Nella Striscia la vita è dura per tutti, ma per i cristiani può esserlo ancora di più. Spiegava l’anno scorso padre Jorge Hernandez, uno de pochi sacerdoti rimasti a Gaza: «Se cerchi lavoro, la prima cosa che ti chiedono è se sei musulmano. Se lo sei, ti chiedono se stai con Hamas o Fatah. Se non sostieni nessuno dei due, ti chiedono in quale moschea vai, perché vogliono capire a chi sei fedele». Di conseguenza, «se sei cristiano nessuno ti fa queste domande, perché nessuno ti dà un lavoro. L’unico modo per ottenerlo è attraverso un amico musulmano che faccia da intermediario. Nessun negozio, scuola o banca darebbe mai lavoro a un cristiano».
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