Ganesh Rakh, il “medico lottatore” che combatte per salvare le bambine dall’aborto

Di Benedetta Frigerio
22 Febbraio 2016
Intervista al dottore indiano che, grazie al suo impegno, salva ogni giorno le vite di piccole femmine. «Nel mio ospedale faccio partorire gratis e ogni nascita è festeggiata»

Ganesh-Rakh

«Voleva essere il mio piccolo contributo al bene comune». Il medico indiano Ganesh Rakh racconta a tempi.it di non aver mai pensato che la sua battaglia per salvare dall’aborto le bambine del suo paese avrebbe coinvolto 10 mila dottori. Né mai avrebbe immaginato che a Bollywood la star Amitabh Bachchan l’avrebbe definito «un eroe» e nemmeno che i giornali internazionali avrebbero parlato della sua impresa. Eppure capisce ora il senso del suo sacrifico, lui che voleva fare il lottatore e che in qualche modo lo è diventato.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]SE NASCE FEMMINA. Rakh nacque 40 anni fa in una famiglia indù molto povera da cui imparò presto il senso della fatica. Il padre era un facchino, la madre lavorava come lavapiatti nelle case. Lui desiderava combattere sul ring come professionista, «ma mia mamma mi disse: così finirai per mangiare tutto quello che abbiamo e non ci basterà. Se intraprendi questa strada è probabile che finirai a fare anche tu il facchino».
Fu così lavorò per ottenere la borsa di studio e frequentare la facoltà di medicina. I primi tempi, dopo la laurea, lavorò giorno e notte come ginecologo nelle case e nelle cliniche private. Poi nel 2007, a soli 31 anni, decise di aprire a Pune un ospedale privato, che oggi conta 35 dipendenti e 50 letti. È qui che cominciò a rendersi conto dei pregiudizi degli indiani verso le figlie femmine: «Per un medico la cosa più difficile è annunciare ai parenti quando una persona muore. Ma per me lo era anche quando nasceva una bambina. I parenti e la madre piangono disperati perché reputano più importante della vita la continuità della propria discendenza». «Molte donne – continua il medico – non abortiscono prima semplicemente perché vanno dai santoni che preparano intrugli assicurando loro la nascita di un maschio».

È SEMPRE UNA FESTA. Al problema di una mentalità molto radicata, si aggiunge quello della mancata applicazione della legge: «Sebbene nel 2003 sia stata approvata una norma che vieta la selezione in base al sesso, punendo i medici che la praticano con multe fino a 50 mila rupie e il carcere fino a tre anni, la legislazione non viene rispettata». La colpa è della corruzione, per cui sono incriminati solo quei medici che non pagano una tangente, e «dell’arrendevolezza del governo, che non fa nulla per sensibilizzare sul tema, anzi chiude gli occhi sull’operato di numerosi centri in cui si praticano esami diagnostici al fine di abortire le bambine».
È così che la pratica dell’aborto in base al sesso, «presente fra le caste povere come fra quelle benestanti», fa sì che anche il tasso di mortalità infantile delle femmine sia di gran lunga superiore a quello dei maschi: «Se alla nascita hanno bisogno di cure, spesso le famiglie preferiscono lasciarle morire». Andando a fondo del problema, il medico scoprì che, mentre negli anni Sessanta in India c’erano 976 bambine ogni 1000 bambini sotto i 7 anni, oggi invece il numero è diminuito a 914. E nel 2011, quando il numero delle nate si è abbassato ulteriormente, Rakh, pensando alla fortuna della sua unica figlia femmina di nove anni, capì che non poteva più stare a guardare. Scelse, così, di far nascere gratuitamente le bambine. «Ogni nascita viene celebrata con una torta, le candele e un mazzo di fiori per la mamma» ci dice. Oggi le sue sale parto si sono trasformate in un party permanente, dato che la clinica conta una media di cinque nati al giorno: «Le famiglie vengono da noi perché sanno che da noi si partorisce gratuitamente e pian piano la mentalità cambia. Anche se non è stato facile».

«NON SI COMBATTE DA SOLI». Inizialmente, infatti, la moglie e le famiglie dei due fratelli con cui il medico vive si erano opposti alla sua scelta a causa delle difficoltà economiche. A sostenerlo, fin dal principio ci fu suo padre: «Mi ha esortato a continuare a fare del bene dicendomi che, se fosse servito, lui stesso sarebbe tornato a lavorare come facchino». Rakh cominciò a realizzare il suo progetto lavorando 17 ore al giorno e visitando dai 50 ai 100 pazienti, per «guadagnare abbastanza e continuare la mia opera: spesso lavoro anche la notte per non pagare un altro medico». Per il resto, passa il tempo con i suoi genitori, la famiglia e quella dei suoi fratelli: «Stare con loro è il mio svago e spesso mi seguono anche nella battaglia di sensibilizzazione in giro per il paese». Perché Rakh non si è accontentato solo di spiegare alle mamme che vogliono un maschio di «essere contente perché è Dio onnipotente a volere quella bambina», ma ha deciso di organizzare delle marce e delle conferenze per cambiare la mentalità degli indù. «Ma da solo non posso farcela – confida –, voglio che tutte le bambine indiane possano nascere». È così che ha raggiunto con la campagna “Save the baby girls” circa 10 mila dottori: «Ciascuno di loro farà nascere una o più femmine gratuitamente, celebrandone la vita come facciamo noi».

UNA PICCOLA COSA. Ora persino il governo ha parlato di lui, apprezzandone lo sforzo, sebbene «non ho mai chiesto denaro né alle istituzioni né ai privati». Rakh ricorda la difficoltà burocratiche per accedere ai fondi pubblici «e poi sono un dottore non un pubblicitario». Convinto che «il denaro arriva se la provvidenza vuole», il medico conclude: «Ho cominciato da una piccola cosa e non avrei mai pensato che il mio sforzo sarebbe arrivato fin qui. Spesso dando tutto nel poco si possono ottenere cambiamenti radicali». In fondo, Rakh un lottatore lo è diventato veramente, solo in una maniera diversa da quella che aveva immaginato: «Cosa faremo ora? Continueremmo a fare quello che stiamo facendo».

@frigeriobenedet

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2 commenti

  1. leo aletti

    Il medico faccia il medico e non l’abortista. Grazie per come si comporta questo medico indiano.

    1. Susanna Rolli

      Medico, da medeor -curare, medicare; guarire, insomma: nient’altro. Il di più viene dal maligno, oserei dire.

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