
Francesco, il Cavalier, l’arme e gli eroi
Vuole un dolcetto di casa Berlusconi o preferisce le seadas della mamma del brigadiere Carta?”. Il grande vecchio della politica italiana è uno spettacolo di simpatia e cortesia. Sembra un sorridente gesù bambino gongolante tra i doni dei suoi re magi. E sono tanti. A cominciare dal professor Cherubino, primario di ortopedia che l’ha operato e che lo segue nella sua convalescenza peregrinante tra residenze svizzere e barche a vela. E per non finire, a Giovanna, rieducatrice fisiatra, la cui grazia non ci è nuova. Come non è una novità che, nel corso della sua lunga degenza all’ospedale pubblico di Varese, capi di partito, grand commis dello Stato e noti padroni delle ferriere, siano venuti a rendergli omaggio e, come sempre capita con Cossiga, a chiedere consiglio circa un affare politico (o un affare tout court).
“Ma dove ti ho già visto?”. Improbabile. E invece ha ragione la memoria di zio Francesco. E torna alla mente Il Sabato, la casa del Presidente lì dietro l’angolo, una visita in redazione, un suo estremo tentativo di salvare la testata dalla chiusura. E comunque il senatore Cossiga ci è famigliare fin da quando era ministro degli Interni. Epoca di anni di piombo, terrorismo, sequestro Moro. Stagione grama anche per i ciellini, che dagli inizi alla fine degli anni ‘70 furono direttamente attaccati nelle scuole, nelle università, e pure nelle loro sedi, tant’è che un centinaio di volte vennero messe a soqquadro, in qualche caso finirono in fumo (e non per autocombustione). “Avete attraversato momenti così critici che ancora oggi non posso rivelare né in quali circostanze, né chi, dei vostri, ha corso molto seri pericoli”. Squillano i cellulari e Francesco Cossiga ha parole ben informate e pertinenti per tutti i casi. La telefonata più lunga è con Giuliano Amato, al quale il balente sardo dispensa consigli (uno è faceto: “convoca gli ambasciatori e annuncia che ordinerai il bombardamento della costa meridonale di Valona da parte della marina militare. Un lavoretto pulito, vedrai che prendi più voti”). Tra qualche giorno Cossiga salperà per un periplo settembrino della Corsica a bordo di un 50 metri di un amico non proprio proletario. Si gode la vita, il Presidente, con tutta la libertà e la letizia che gli si legge sul suo bel volto di vecchio in pace con la vita. Ma non fraintendete: Cossiga non ha alcuna intenzione di mollare la presa della politica e di tutto ciò che discende dagli impegni pubblici e istituzionali. Nel colloquio telefonico con Amato, perorandogli la creazione di una certa Authority, aveva detto: “ non sbagli mai se al posto più alto di comando, qualsiasi sia l’ufficio, al cosiddetto “tecnico competente” preferisci il politico”.
A proposito di politica e della sua lunga carriera tutta trascorsa in politica. Cosa c’entra tutto questo con la sua fede cristiana?
La scelta della vita politica per me è stata determinata da un’ambiente e da un’educazione. Sono nato in una famiglia politica, anzi direi di più, in una tribù. Antifascista, repubblicana, radicale, diciamo pure, di loggia. E qui mi fermo per non scandalizzare. Tutto ciò mi ha accelerato un grande interesse per gli affari pubblici. Poi in realtà alla politica mi ci ha portato l’impegno di apostolato nell’Azione cattolica. L’ho visto come una continuazione ed esigenza di quel dovere del laico che mi era stata insegnata prima su un piano puramente spirituale, poi dal particolare ambiente che si creò alla fine della guerra con il crollo di quelli che sembravano valori. Ricordo che nell’immediato dopoguerra si ebbe questa grandissima esplosione della incarnazione del cristianesimo nella realtà civile. Per me furono questi due diversi motivi e le letture che facemmo a quell’epoca, prima fra tutte Jacques Maritain di cui volle la traduzione Giovanni Battista Montini. Naturalmente vi era molto attivismo, molto semplicismo. E la Chiesa italiana ha pagato un prezzo, nel senso di presenza civile, culturale, non politica. Moltissimi dei giovani che aveva formato nelle sue organizzazioni scelsero allora l’impegno politico.
Tornando alla sua grande tribù sarda. Com’è che da queste radici antifasciste e repubblicane, Cossiga finisce dalla parte opposta di quella dei suoi parenti Berlinguer?
Oltre che cugini, i Berlinguer ed io venivamo da un’esperienza comune dei nostri vecchi, tutti militanti all’epoca antigiolittiana, quindi tutti preparati a un grande impegno politico che si manifestò subito in una città come Sassari, una delle prime città in cui vi fu la conversione al comunismo dei giovani della borghesia o dell’aristocrazia minore come era quella dei Berlinguer. Non sono diventato comunista perché ero un estremista di sinistra. Cioè esclusivamente perché una delle cose che ho sentito più dolorosamente nell’educazione cristiana è la realtà del peccato originale. Finchè si trattava di trasformare la società, di strappare la classe lavoratrice alla povertà e allo sfruttamento, finchè si cercava di fare materialismo storico ci potevo anche arrivare. Ma quando si passava al materialismo dialettico e a un umanesimo che postulava la possibilità di formare un uomo nuovo al di fuori dell’ipotesi paolina, beh, io a quel punto non potevo più diventare comunista. Altrimenti lo sarei diventato. Il comunismo era il nemico di tutte le cose che in casa mi avevano insegnato a odiare ed era il propugnatore più vero di tutte le cose che in casa mi avevano insegnato a propugnare. Nella mia famiglia eravamo repubblicani: e chi più repubblicani dei comunisti? Eravamo antifascisti: e chi più antifascisti dei comunisti? Durante il fascismo l’impegno unitario di tutti gli antifascisti – che poi fu una delle grandi armi del comunismo – era una dottrina comune: e chi più unitario dei comunisti? Ma quel che mi fermò dall’adesione al comunismo fu il dolore del peccato originale.
Che polso ha della situazione generale di questo nostro paese, della condizione del popolo italiano?
Questo paese non è ancora uscito dalla transizione politica istituzionale e soffre di una grande crisi culturale, di una crisi di valori. Se oggi ad un cristiano dovessi dare un impegno temporale sarebbe quello di dedicarsi ad una ricostruzione a livello culturale. In un certo senso ho nostalgia per i ragazzi che facevano a botte nel ’68, e anche nel ‘74-’76…
Cosa intende per “ricostruzione culturale”?
Intendo ricostruzione di un sistema di valori che prenda tutta la vita. Quando mi hanno chiesto “Cosa la fa, malgrado tutto, amico di D’Alema?” io ho risposto: perché tutti e due abbiamo attaccato manifesti con la colla di farina, e non c’erano agenzie che attaccavano manifesti e non c’erano spazi, uno attaccava manifesti e l’altro glieli toglieva, ed erano botte, botte vere. Era una scuola anche quella…
Poi, grazie anche a lei, la sinistra è andata al governo e non è che abbia dimostrato grande vitalità ideale…
Ho avuto sempre un rapporto di amore ed odio con la sinistra e, come ho spiegato, anche con il comunismo. Quello che mi fa paura è che questi hanno dimenticato il passato, non l’hanno riconosciuto, l’hanno rinnegato, non ne hanno ricordo fosse anche sbagliato. Da noi, invece, non è che san Paolo non ricorda di essere stato un persecutore dei cristiani o che cerca di nasconderlo agli altri. Invece questi non si capisce cosa siano. E’ vero: a un Veltroni che dice di non essere mai stato comunista, preferisco di gran lunga un D’Alema che non nasconde di essere stato comunista e che dice devo prendere atto che la storia della grande lotta interna al grande pensiero socialista ha sconfitto il comunismo e ha fatto vincere la socialdemocrazia. Ma anche qui vedo la differenza tra noi e loro: per loro è importante tutt’al più prendere atto di chi ha vinto e di chi ha perso, a noi invece interessa capire perché. Ed passa così in second’ordine per noi la logica del chi-vince e del chi-perde, che la santità, il martirio, è il trionfo di chi sembra aver perso.
Berlusconi è sicuro di vincere ma ha anche qualche timore per le reazioni che il suo successo potrebbe provocare in Europa. Ha ragione di preoccuparsi?
Il suo timore non è infondato perché la vittoria di Berlusconi segnerebbe un inizio di ripresa del centro e centro-destra e, in conseguenza, di un rollback del socialismo che oggi governa l’Europa con non molto fascino.
Secondo lei si voterà nella primaver del 2001 o il governo Amato tira le cuoia prima e si va ad elezioni anticipate nell’autunno 2000 ?
La risposta gliela può dare solo Mastella. Volevo darle piuttosto un discorso che dovevo fare a un convegno, al quale poi una dose eccessiva di Voltaren non mi ha permesso di partecipare. Però l’hanno letto, ed è una cosa strana perché mi ha scritto una lettera di quattro pagine un milanese cattolico-democratico, capogruppo dei democratici alla camera e nella quale mi dice “ho letto quello che hai scritto e mi ha commosso, ma peché non sei dei nostri?”. Il fatto è che io non sto proprio con nessuno. Sono solo dell’opinione che i guai che farebbe questo pasticcio di centrosinistra se vincesse sarebbero molto maggiori di quelli che potrebbe combinare Berlusconi. E’ in questo senso che ho fatto propaganda per Forza Italia nella mia città (Sassari ndr). Io non sono di Forza Italia, non sono del centrodestra, non sono democristiano, nè tantomeno Berlusconiano, io ho militato sempre nella sinistra democristiana, io sono sempre stato a favore del populismo storico, io ho portato a Palazzo Chigi D’Alema, adesso però vi spiego perché vi dico di votare in questa città Forza Italia. Così ho detto all’assemblea con i mieci concitatdini. C’era Berlusconi con due occhi così…
Quindi, saluti non più a pugno chiuso perché anche lei, come un giorno il militante di Lc, a questo punto non sa più cosa significa?
La confusione è tale che noi abbiamo un centrosinistra in cui non vi è identità. Uno dei fenomeni sconosciuti da voi giovani sono i cattolici comunisti che sono scomparsi. Sono stati nel lessico sopraffatti dai “cattocomunisti”. I cattolici comunisti sono stati un tentativo molto avveduto di distinguere il comunismo internazionale col pensiero comunista precedente al materialismo dialettico. Ma erano tutti turisti, tutti rigidamente turisti tradizionalisti che guardavano con grande diffidenza il Concilio Vaticano secondo. E quando il mio amico cattocomunista marchese Raniero La Valle scrisse a uno di loro che il compito della Chiesa era difendere la causa dei poveri, il leader del gruppo dei cattolici comunisti gli rispose: caro Raniero leggo la tua lettera, dissento da te, il ruolo della Chiesa è quello di testimoniare il nostro Suignore Gesù Cristo.
E sulla sinistra e catto-sinistra attuale, che ci dice?
Non hanno nessuna identità. Che cosa sia oggi un popolare, che cosa sia oggi un mastelliano dell’ala concretistica nessun lo sa. Pensavo che la sinistra avesse ancora un’anima, pensavo che portando il centro sinistra avrei contribuito a ristabilire certi principi di valore. Ma piuttosto che vederlo così filosofo e chiacchierono, e poi, nei fatti, incartato sul concretismo delle poltrone, beh, allora preferisco gli altri, perché gli altri si possono sempre cambiare e non pretendono di avere una filosofia e una storia. Ecco perché Berlusconi è simpatico.
Caso Andreotti e ricorso in appello dei giudici di Palermo. Cosa ci dice in proposito?
Io sono stato durissimo sempre, sono stato così personalmente esposto alle sciocchezze di questi signori che durante l’ultimo quarto d’ora della mia deposizione palermitana uno di questi pm si è alzato e ha detto “contestiamo la testimonianza di Cossiga per la sua comunanza di interessi con l’imputato: quali? sono entrambi massoni”. Allora ho detto “senta Presidente questa storia adesso inizia a darmi un po’ fastidio e se lei mi facesse fare sfoggio di cultura e lei me lo permettesse, risponderei a questi signori come rispose Beckett, irlandese, al quale una signora chiese “scusi ma lei è inglese?” “No, Madame, au contraire”. Loro hanno una concezione molto pericolosa della giustizia, oltre a ritenere che gli strumenti della giustizia servano a dare validità nell’ordinamento a giudizi politici, storici, o quant’ altro.
Dopo il gran polverone sa chi fine hanno fatto le proposte di amnistia, indulto e via discorrendo?
Io sono per l’amnistia e soprattutto sono per l’amnistia per il terrorismo, perché il terrorismo è stato un fatto grave, di rottura per la società civile, ha significato una profonda frattura e una delle conseguenze del compromesso storico in questo Paese. Secondo, io sono per l’amnistia per tangentopoli perché, come si è visto non è vero che erano tutti ladri e perché, come dice il Vangelo, “i poveri – e anche i ladri lo sono – saranno sempre con voi” . Terzo, sono contro la pena di morte soltanto per motivi religiosi. Per tutti gli altri motivi sono a favore, ma io non riesco a capire perché un uomo debba togliere ad un altro uomo anche un secondo di tempo di possibilità di salvarsi. Questa è l’unica ragione per cui sono contrario alla pena di morte.
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