«Fra islam e Occidente ci sono i regimi. Abbattiamoli»

Di Arrigoni Gianluca
16 Marzo 2006
parla antoine sfeir, firmatario del manifesto francese contro il nuovo totalitarismo che in nome del corano uccide la libertà

Parigi. Davanti alle violenze antioccidentali che in alcuni paesi a maggioranza musulmana sono state alimentate (quando non organizzate) utilizzando come pretesto la pubblicazione delle dodici vignette danesi anti-Maometto, all’inizio di marzo (vedi box) dodici personalità, una per ogni vignetta, hanno firmato un manifesto contro l’islamismo, «nuova minaccia globale di tipo totalitario». Tra i dodici firmatari c’è Antoine Sfeir, un cristiano nato in Libano emigrato in Francia (dove ha ottenuto la cittadinanza) esperto del Medio oriente e autore di numerosi libri, tra i quali Les réseaux d’Allah e Liberté, égalité, Islam. La République face au communautarisme. Sfeir ha accettato di spiegare a Tempi perché ha deciso di sottoscrivere il manifesto: «A settembre, quando le caricature furono pubblicate, avevo detto che erano di pessimo gusto e che era normale per i musulmani sentirsi insultati, feriti. E che la pubblicazione di quelle caricature era una provocazione e non c’entrava nulla con la libertà d’espressione. Poi, quattro mesi dopo, c’è stata un’esplosione di violenza dovuta a una strumentalizzazione di quelle vignette. L’odio nel mondo islamico è stato alimentato con manipolazioni, diffondendo bugie. Sono stati utilizzati metodi disonesti come l’inserimento tra le caricature di foto che non c’entravano nulla, e questo mi ha dato molto fastidio. Aderendo all’iniziativa del manifesto dei dodici ho voluto denunciare quelle manipolazioni e ricordare che la libertà d’espressione non può sottomettersi ai totalitarismi. E l’islamismo è un totalitarismo, le cui prime vittime sono gli stessi musulmani». Va da sé, poi, aggiunge Sfeir, che «nel momento in cui c’è una manipolazione, c’è una volontà politica. Che in questo caso è una strumentalizzazione da parte degli islamisti di un problema che riguarda i musulmani e non l’islam. Riguarda cioè gli esseri umani, le persone, non il dogma religioso. Non è possibile ridurre il dogma a una caricatura, perché questa religione, l’islam, è più grande di una caricatura».
Di chi è la volontà politica che secondo lei ha manipolato e strumentalizzato la vicenda?
Di quei regimi dittatoriali che da quarant’anni, impedendo tra le altre cose anche la libertà d’espressione, hanno aperto la strada all’islamismo, facendo della moschea il solo luogo dove un’opposizione ha potuto esprimersi. La moschea in questo modo è diventata l’obiettivo degli islamisti, che hanno saputo utilizzarla come strumento per mettere le mani sulla società. Quegli stessi regimi che oggi giocano agli apprendisti stregoni sono responsabili della reislamizzazione delle società musulmane, non in senso “illuminato” ma “letteralista”.
Lei è cristiano, insegna l’islam e difende la libertà religiosa. Il manifesto che ha firmato, però, è stato pubblicato da “Charlie Hebdo”, settimanale apertamente anticlericale, a volte addirittura antireligioso. Non è paradossale?
Proprio per questa sua affermata linea editoriale, Charlie Hebdo, un organo di cui non sono nemmeno lettore, era praticamente il solo abilitato a pubblicare caricature come quelle di cui parliamo. Il disegno satirico, come il pamphlet, è una forma di giornalismo, e bisogna prenderlo così com’è. In quanto al manifesto, per me l’unica cosa importante era sottolineare che il totalitarismo islamista è pericoloso al pari dei totalitarismi suoi predecessori. Per evitare fraintendimenti, comunque, preciso che per me l’islamista è colui che vuole reislamizzare il campo sociale, economico e anche politico del posto in cui vive.
Della violenza antioccidentale siamo stati e siamo tutti spettatori spaventati. Però lei dice che quella violenza era eterodiretta. Esiste o non esiste l’odio islamista nei confronti della nostra civiltà?
Credo che il punto centrale del problema, e quindi della discussione, sia: perché i popoli (inclusi molti dei rispettivi leader) che vivono in paesi alleati degli Stati Uniti e dell’Occidente inveiscono contro di loro e bruciano le loro bandiere? Non lo si deve forse, più che all’odio verso gli Stati Uniti e l’Occidente, al rigetto per le persone che quei popoli governano e per la quasi assoluta mancanza di libertà? Bisogna capire che c’è un enorme fossato tra le popolazioni musulmane e chi le governa. In un paese come l’Iran, dove si brucia la bandiera americana, i sondaggi dicono che il 66 per cento dei giovani vuole trasferirsi negli Stati Uniti. Dunque, di cosa stiamo parlando?
Come si esce dall’oceano di odio nel quale tutti, musulmani e non, rischiamo di affogare?
Il problema è che tra noi occidentali e i musulmani ci sono i regimi. E quei regimi devono essere abbattuti.
Ma in questo modo non corriamo il pericolo di far cadere il potere nelle mani dei sostenitori del totalitarismo islamico, della sharia, come stava succedendo in Algeria nel 1992 – quando il Fronte islamico di salvezza, che aveva l’intenzione di istituire la legge coranica, vinse il primo turno delle elezioni e il voto fu sospeso, cosa che scatenò il Gruppo islamico armato, la milizia del movimento, in una sanguinosa guerra civile che secondo le stime è costata almeno 100 mila vite – o com’è accaduto nei territori palestinesi, dove le elezioni le ha vinte Hamas?
Non è proprio così. Hamas per esempio non è come il Gia algerino. Hamas non può permettersi di fare quello che il Gia avrebbe fatto. La prova di quel che dico è che Hamas sta già modificando il suo “vocabolario”.
Ma un cambiamento della forma non implica necessariamente anche un cambiamento della sostanza.
Io penso invece che in questo caso lo implichi. E aggiungo che sono convinto che la vittoria elettorale di Hamas sarà la sua fine. Ora che hanno il potere, la maggioranza assoluta e il primo ministro, i dirigenti di Hamas saranno costretti a fare quello che il realismo impone. E in ogni caso, che lo facciano oppure no, perderanno i loro elettori, o gli islamisti o i nazionalisti, che ne avevano abbastanza degli sprechi, della corruzione e del clientelismo di Al Fatah. Sono pronto a scommettere che alle prossime elezioni, tra tre anni, i risultati saranno molto diversi.
Intende dire che l’alternativa, per Hamas, è tra il democratizzarsi e l’essere spazzato via?
Esattamente. Non bisogna dimenticare che la società palestinese ha vissuto e vive praticamente da quarant’anni alla “scuola” di Israele, che è una democrazia. Per questo credo che oggi il popolo palestinese non sia più disposto ad accettare come proprio governo una dittatura. Il rifiuto di sostenere ancora Al Fatah viene anche da questo e possiamo star certi che i palestinesi sorveglieranno attentamente l’operato di Hamas.

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