Fortuyn che cambia l’Olanda

Di Respinti Marco
16 Maggio 2002
Intervista ad Adrianus Simonis, arcivescovo di Utrecht (per il quale Pim Fortuyn non era razzista). Il caso (olandese) di un ceto politico oligarchico e autoreferenziale che (come in Francia) esce punito (e impaurito) dalle urne. E il problema del “fare popolo”

Metti che un giorno “il Paese più tollerante” d’Europa si scopra preda dell’incubo degli anni di piombo. E metti che, nell’assassinio di Pim Fortuyn, gli olandesi abbiano improvvisamente riconosciuto una delle degenerazioni fanatiche del politicamente corretto e, di conseguenza, abbiano deciso un altolà all’allegria un po’ naufraga di un certo ceto politico, progressista sempre tranne che nell’ascolto della società e del mondo reale. Metti che mercoledì 15 maggio l’Olanda abbia svoltato a destra e metti che la voce più intelligente nell’interpretatzione dei fatti, politici e non, sia quella di un arcivescovo cattolico di una terra prima protestante, ma poi latitudinarista, relativista e profondamente secolarizzata; la voce di una minoranza che parla per bocca del cardinale Adrianus Johannes Simonis, arcivescovo cattolico di Utrecht.

Eminenza, in Italia due autorevoli opinionisti di diversa estrazione culturale, uno laico e l’altro cattolico – Giuliano Ferrara e don Gianni Baget Bozzo – hanno descritto all’unisono l’assassinio di Pim Fortuyn come “il primo omicidio politically correct” della storia recente; ovvero come il frutto avvelenato di un certo pensiero ideologico che, in nome della difesa dell’umanitarismo e del multiculturalismo, si arma per uccidere un uomo politico descritto come “razzista” e “xenofobo”. Qual è il suo parere?

I motivi veri di questo omicidio rimangono ignoti. In ogni caso, Fortuyn non era un razzista: la sua uccisione sembra essere stata dovuta al gesto ideologico di un fanatico appartenente al milieu dell’ecologismo politicizzato e appunto perpetrato in un contesto politico, giacché consumato a dieci giorni di distanza dalle elezioni.

Come, come? Fortuyn non era razzista?

Il “problema Fortuyn” è stato quello di aver segnalato numerosi problemi e guasti oggettivi nella cosa pubblica olandese, senza però essere stato capace di fornire soluzioni alternative concretamente praticabili. Sulla questione dell’immigrazione, egli ha per esempio più volte detto: l’Olanda è un Paese piccolo e ormai giunto a saturazione; chiudiamo quindi le frontiere affinché nessuno entri più. Ma è impossibile: nella mia diocesi, per esempio, vi sono sacerdoti che provengono dall’India e dalla Polonia; come e perché impedire loro di entrare? Impossibile… Tutto questo, peraltro, non fa di Fortuyn affatto un razzista. È stato definito così, ma era solo un uomo politico che ha immaginato una soluzione concretamente impraticabile a un problema assolutamente reale.

Benzina sul fuoco, allora, da parte di chi va a nozze nell’acuire i contrasti e le tensioni?

Sì, certamente. Altrettanto certamente, però, in alcuni casi – per esempio quando ha descritto l’islam come frutto di una cultura di secondo piano – Fortuyn si è espresso pubblicamente in maniera esagerata e imprudente, offrendo facilmente il fianco a ogni sorta di accusa.

Di fronte al suo omicidio, comunque, l’Olanda ha mostrato una sorta di “commozione di popolo” che va ben oltre gli schieramenti e gli steccati politici…

Certo. E questo è un segno rilevante, benché poliedrico. Tutta l’Olanda ha vissuto una settimana di grande emozione: ora ci si sta chiedendo dove sia finita la ragione.

Vede positivamente questa reazione corale del popolo olandese capace di unirsi, malgrado la disparità di opinioni, di fronte a un gesto tanto assurdo e nonostante la validità o meno delle soluzioni politiche prospettate al Paese dall’uomo politico ucciso?

Fortuyn ha avuto il merito oggettivo di denunciare la mancanza di sostanziale democrazia nei processi decisionali che guidano l’Olanda e questo a favore di un ristretto e coperto gruppo di “professionisti della politica” che ha perso il contatto con il popolo. Gli olandesi hanno ben compreso, oltre le ideologie loro e di Fortuyn, questo messaggio.

L’Olanda del progresso e del progressismo è insomma un Paese in cui la democrazia c’è solo a parole o a schede elettorali, ma non nei fatti, soprattutto quelli più importanti. Fortuyn aveva insomma ragione?

A mio avviso, nei Paesi Bassi la politica è gestita da oligarchie potenti che hanno deciso cose sbagliate e cattive per il popolo olandese. Per esempio, quanto all’eutanasia e al cosiddetto matrimonio fra omosessuali. Una minoranza certo, ma una minoranza sostanziale di olandesi si è recisamente opposta alla legalizzazione di queste pratiche: eppure il ceto politico ha trovato la via tortuosa per esautorarne completamente la voce di protesta. La legalizzazione dell’eutanasia è il contrario stesso della nostra storia nazionale, anche della nostra storia di Paese cristiano.

Ma l’Olanda non è più definibile in base a quella storia…

Esatto: non siamo più un Paese cristiano. Certo, alcuni valori ancora osservati derivano da tale tradizione, ma per gran parte della popolazione non contano più. E in questo quadro, i cattolici sono una minoranza nella minoranza.

Additando l’assenza di realismo e di buon senso che caratterizza la cultura delle Sinistre europee, l’intellettuale ebreo francese Alain Finkielkraut ha detto a Tempi: «Oggi la sollecitudine per il mondo ha lasciato il posto alla “posa vurtuosa”: si tratta di mostrare che si è buoni e che si condannano i cattivi. Ma non c’è niente di peggio per la morale e per il mondo che una visione morale del mondo». L’Olanda sta anticipando le conseguenze dell’ideologia della “posa virtuosa”?

Non credo che l’Olanda stia di per sé anticipando le conseguenze di quell’ideologia: l’omicidio Fortuyn si deve all’azione di una singola persona, ancorché, come detto, fanatica. Al tempo stesso, però, tale omicidio si rivela oggi essere il punto di cristallizzazione dello scontento che tanti cittadini olandesi provano nei confronti dei governi che hanno guidato il Paese negli ultimi anni e verso cui anche Fortuyn nutriva rimostranze e muoveva critiche. E la critica di Fortuyn verso questi governi s’incentrava soprattutto sull’eccesso di burocratizzazione, sui palesi ritardi dell’apparato statale fra assistenza pubblica di cattiva qualità e inefficienza dei servizi, ma soprattutto – lo ribadisco – sulla mancanza di una democrazia reale e autentica testimoniata dall’autoreferenzialità sempre più marcata di un ceto politico che è venuto con il tempo configurandosi come a sé stante.

I Paesi Bassi sono la patria di tutti gli esperimenti di tolleranza sociale, dalle droghe all’eutanasia, dal multiculturalismo all’ecumenismo relativisti. Non è che, a furia di buoni propositi, come dice Finkielkraut, l’Olanda rischi di sprofondare in un inferno?

Sta venendo sempre più a mancare una politica diretta alla gente, al popolo. Non esistono più valori comuni e norme condivise. Il clima del Paese è quello del più puro pragmatismo relativista. Tutto è vero allo stesso modo, si afferma; ma se affermazioni, proposizioni e giudizi sono tutti in egual modo validi, e se ogni persona possiede una propria e personale verità assoluta, allora nulla è più vero. Sì, certo: questa situazione viene a configurare, ogni giorno che passa, un autentico inferno. L’inferno in cui nulla è più vero.

Lei è olandese, vive in Olanda, non si trova ovviamente nelle condizioni di dover difendere una parte politica contro un’altra e dunque ha la libertà, la saggezza, l’autorità e l’età per valutare con cognizione di causa lo stato del cosiddetto processo di secolarizzazione nel suo Paese e in Europa. A che punto siamo e cosa ha da dire, oggi, la tradizione giudeo-cristiana a questa Europa?

L’Europa Occidentale ha oggi quasi completamente dimenticato le proprie radici giudeo-cristiane e così resta solo il deserto: un luogo privo di orientamenti. Occorre allora proseguire l’annuncio della persona di Cristo e del suo Vangelo, nella speranza che il mondo si apra presto o tardi allo splendore della verità.

Qualcuno ritiene inutile che il cristianesimo si ostini a difendere una certa morale e così sembra che i processi di omologazione siano più forti di ogni richiamo all’etica di natura e di tradizione. Qual è allora la sfida a cui è chiamato il cristiano nel mondo attuale, sia egli un cittadino comune, europeo e non, o un uomo politico di alte responsabilità?

I cristiani sono tornati alla condizione della Chiesa primitiva, quando il cristianesimo era giovane e quantitativamente esiguo: «stranieri in questo mondo», come scrive san Pietro. Al cristiano s’impone quindi una vita controcorrente che si opponga al fluire del paganesimo contemporaneo, ma che pure non perda la coscienza della responsabilità nei confronti di questo mondo che versa in condizioni di estremo bisogno. I cristiani debbono insomma vivere con lo sguardo fisso alla nuova terra e al nuovo cielo, altrimenti finiranno per fissare soltanto la luna.

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