Tra difficoltà economiche e politica stantia, sono in tanti a chiedere pressantemente una rapida trasformazione. È un sentimento comune, che parte dalla società civile fino a intaccare, a volte, anche l’iperuranio burocratico dello Stato. E c’è chi mette insieme le voci diverse, le raccoglie e le coordina. Sono giovani con idee innovative, che ci mettono faccia e tempo per orientarsi in un’Italia sempre più simile alla “selva oscura” di Dante. Tra questi, il gruppo pidiellino di “Formattiamo il Pdl”. Tempi.it intervista Andrea di Sorte, esponente del gruppo, per capire quali siano le loro idee e le loro proposte.
Chi sono i “formattatori?
Siamo nati per “generazione spontanea” dal basso. È difficile trovare un minimo comune denominatore tra noi, a parte la gravitazione nell’area di centrodestra. Ci scambiamo idee via twitter e, più per incontri che per indirizzo politico, siamo tutti (o quasi) amministratori locali sui trent’anni, oppure blogger molto attivi sulla rete. Non abbiamo un’unica area di provenienza, ma siamo sparsi in tutto il paese.
Quali sono le ragioni che vi hanno spinto ad riunirvi?
L’obiettivo è cercare di innovare il nostro movimento politico secondo una prospettiva razionale. Il Pdl è ancorato a una logica novecentesca che non soddisfa più il nostro elettorato. La colpa non va attribuita al singolo. Da vent’anni ormai non c’è più ricambio politico, mentre la gente si aspetta di vedere facce nuove. Il partito, ormai, parla a se stesso, concentrato com’è solo sui tesseramenti e sui congressi. È invece venuto il tempo delle azioni concrete.
Tipo?
Le primarie, ad esempio. Non solo per scegliere il candidato premier, ma anche i parlamentari. Il vero freno a una mancata riforma elettorale non viene dal Pdl, ma dalla mancata iniziativa del polemico Pd. È necessario, invece, dare ai partiti una più ampia discrezione sulla scelta della classe dirigente. Noi proponiamo delle primarie al 70 per cento, e per il restante 30 un “listino tecnico”, con limite di mandato, che possa dare spazio a chi non è un politico “di mestiere” .
Perché?
Bisogna innovare. I politici rimangono ancorati alle loro poltrone non solo per i privilegi, ma perché non sanno fare altro se non politica. Un “tecnico”, invece, non ha bisogno di campare sulle spalle dello Stato ma, concluso il mandato, torna a fare il mestiere precedente. E, magari, è anche più credibile di un politico che si improvvisa “tecnico”.
Qual è il ruolo dei giovani in questo momento?
Noi non abbiamo mai fatto una “battaglia giovanile”, ma sicuramente c’è la necessità di trovare persone nuove. Il problema vero, lo ripetiamo, è che oggi per far politica bisogna avere un mestiere, una professione. E i giovani d’oggi sono sicuramente più elastici, più globali. Insomma: freschi, nuovi. Questa è la carta vincente della politica futura.