Il 10 febbraio «uno sconcertato contribuente», così si firmava, inviò la seguente lettera alla Stampa. «Nel 1989 mi fu indebitamente notificata una cartella esattoriale di svariati milioni di lire che fui costretto a pagare salvo poi presentare ricorso alla Commissione Tributaria di I° grado che accolse la mia istanza. L’allora Ufficio delle Imposte Dirette fece ricorso alla Commissione Tributaria di II° grado che confermò la decisione della Commissione Tributaria di I° grado così come fece successivamente la Commissione Tributaria centrale con sentenza gennaio 2013. Dopo ben 24 anni ottengo lo sgravio della cartella esattoriale e a gennaio 2014 il relativo rimborso senza un euro d’interessi. Provvedo pertanto a richiedere – con raccomandata A.R. – gli interessi legali. A giugno del 2014, quattro mesi dopo la mia richiesta, in occasione di un mio sollecito l’Ufficio delle Entrate mi invita a rinviare via fax copia della richiesta stessa (probabilmente andata persa) e mi assicurano che sarà esaminata ed evasa presumibilmente entro la fine del 2014. Alcuni giorni fa ho richiamato l’Ufficio delle Entrate e una – per altro – gentilissima funzionaria mi comunica che manca ancora la “procedura” per il rimborso e di ritelefonare tra sei mesi. Ora mi chiedo: se tardo a pagare un’imposta … una qualunque tassa … la “procedura” per addebitarmi gli interessi di mora esiste in automatico. Perché lo stesso principio non vale anche per l’Ufficio delle Entrate?».
«NO COMMENT». La Stampa ha verificato i fatti e ha scoperto che «lo sconcertato contribuente non è altro che il figlio della vittima di questa avventura. Lei è un’imprenditrice in pensione di 85 anni. Socia di un’azienda di stampaggio di Pont, nel Torinese, che 25 anni fa si è vista recapitare una cartella per i mancati versamenti Irpef tra il 1976 e il ’79». La vicenda, dunque, non è ancora chiusa e il figlio della “vittima” ne ha fatto una questione di principio. La Stampa ha interpellato anche l’Agenzia delle Entrate che, dopo un controllo ha risposto: «No comment».
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