Fino in fondo all’ultimo miglio
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Un giovane che voglia avviare un negozio, una gelateria o una microimpresa difficilmente riuscirà a ottenere un prestito da una banca perché non possiede sufficienti garanzie da offrire. Per favorire l’accesso ai finanziamenti a quelle categorie sociali definite “non bancabili” (cioè che non possono rivolgersi al sistema bancario tradizionale) è nato il microcredito. Si tratta di un vero e proprio prestito, che può arrivare fino a 35 mila euro, per promuovere lo sviluppo di progetti imprenditoriali che apportino un beneficio sociale o ambientale ma anche personale e familiare. L’Ente nazionale per il microcredito (Enm) vuole aprire l’erogazione del microcredito anche ai nuclei familiari equiparandoli a imprese sociali. In pratica, si punta a dotare la famiglia di un conto corrente e una partita Iva con cui poter richiedere finanziamenti per la casa, le spese sanitarie e l’istruzione. Il microcredito vuole perciò affermarsi come una nuova forma di welfare, in grado di conciliare l’aspetto sociale alle esigenze di mercato.
«Dal terzo al quarto settore»
Proprio per evitare che il beneficiario acceda al microcredito ma poi vada in default o non riesca a far crescere il suo progetto, l’Enm offre servizi di tutoraggio prima, durante e dopo l’erogazione del prestito. «Si insegna come elaborare un business plan, come si sta sul mercato, quali sono le regole del sistema bancario nel nostro paese e soprattutto i prodotti finanziari a disposizione. Perché la logica del microcredito non è quella dell’assistenzialismo o della beneficienza, ma quella di un prestito». L’ambizione ultima dell’Enm, dichiara Baccini, è di «passare dal terzo al quarto settore: cioè, da un pubblico che vede passivamente soddisfatti i propri bisogni a una società di beneficiari che si muovano in maniera consapevole nel mercato». Per questo è nata la figura specifica del tutor, prevista dalla nuova legge: un professionista che, dopo la formazione fornita dall’Enm, si iscrive a un elenco speciale (gestito dallo stesso Ente) e assiste i beneficiari «non solo negli aspetti tecnici, ma anche etici». In questo modo, oltre alla promozione dell’educazione finanziaria, «si creano nuovi posti di lavoro», sottolinea Baccini. Grazie al servizio di tutoraggio, dice il presidente, c’è un salto di qualità nella relazione tra l’ente creditore e il beneficiario rispetto al sistema bancario “classico”: «Non si punta solo alla massimizzazione del profitto. Le due parti discutono innanzitutto per capire quale tabella merceologica è utile in quel territorio per quella persona e soprattutto se quel progetto è sostenibile. Un buon tutor, per esempio, sconsiglierebbe di aprire una gelateria in una via se dietro l’angolo ce n’è già un’altra».
Costruire «una comunità solidale»
Sia l’erogazione del microcredito sia l’educazione finanziaria, sottolinea Baccini, avvengono in piena collaborazione con gli enti locali, con il mondo no profit e delle associazioni, e con le camere di commercio. «La ricerca sul microcredito come strumento di economia sociale di mercato e di finanza etica va di pari passo con la promozione di corsi di formazione universitari e post-universitari nella microfinanza. Questa rete è fondamentale per agevolare nel mondo del lavoro chi chiede finanziamenti».
Le attività di formazione, ricerca e assistenza potrebbero inoltre contribuire alla diffusione di informazioni sul microcredito e vincere la generale ritrosia degli italiani. «Paradossalmente, ad oggi c’è più offerta che domanda di questo servizio, soprattutto a causa della disaffezione verso le istituzioni», spiega Baccini. «È quindi importante portare avanti attività di sensibilizzazione per ridare fiducia. Non si tratta solo di finanziamenti, ma di creare una comunità solidale che punti al bene comune e consapevole che dietro ogni azione finanziaria c’è una persona in carne ed ossa. È questa l’economia del futuro».
Foto Shutterstock
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