«Le Filippine si avvicinano alla Cina e si allontanano dalla democrazia»

Di Paolo Manzo
23 Maggio 2022
Il nuovo presidente è il figlio dell'ex dittatore Marcos, deposto dalla "Rivoluzione dei Rosari", la sua vice la figlia di Duterte. Un missionario a Manila racconta a Tempi un paese sempre più povero e corrotto
Marcos Jr Filippine
Ferdinand 'Bongbong' Marcos Junior, neopresidente delle Filippine (foto Ansa)

Il figlio del defunto ex dittatore Ferdinand Marcos, Marcos Jr più noto con il suo soprannome Bongbong, si insedierà alla presidenza delle Filippine il 30 giugno prossimo, dopo avere vinto le elezioni del 9 maggio scorso, sconfiggendo Leni Robredo, attuale vicepresidente. Il mondo liberale, i movimenti democratici e la Chiesa cattolica si erano schierati con la Robredo, un avvocato per i diritti umani che ha promesso un’opposizione tenace sia a Bongbong che a Sara Duterte, la figlia dell’autoritario presidente uscente Rodrigo Duterte, eletta vicepresidente. Oggi la comunità cattolica costituisce l’82 per cento della popolazione del paese asiatico e la domanda che gli analisti si fanno è come sia stato possibile, visti i precedenti, che il popolo filippino, molto credente, abbia votato per la coppia Bongbong-Duterte.

I missionari cacciati dalle Filippine

Nel 2018, Duterte padre cacciò infatti quattro missionari dal paese con l’accusa, infondata, di aver partecipato ad attività politiche. Tra loro c’era suor Patricia Fox, una religiosa australiana che viveva nelle Filippine da tre decenni e la cui sola colpa era stata quella di avere denunciato la letale politica antidroga del presidente uscente. Per la cronaca, una politica che è costata la vita a migliaia di persone sospettate di spaccio o tossicodipendenza e uccise in controverse operazioni della polizia su cui indaga la Corte Penale internazionale.

Difficile comprendere come abbiano potuto dimenticare i filippini la battuta volgare, sempre del padre della neo vicepresidente, su un’altra missionaria australiana, violentata e uccisa: «Era così bella. Che spreco!». Per non dire di quando, paragonandosi a Hitler che aveva ucciso milioni di ebrei, Duterte padre disse testualmente: «Ci sono 3 milioni di tossicodipendenti nelle Filippine. Sarei felice di massacrarli tutti». Ma molti cattolici lo ricordano anche per essersi chiesto «Chi è questo stupido Dio?», criticando in un suo comizio in diretta tv la storia biblica di Adamo ed Eva cacciati dall’Eden dopo aver mangiato il “frutto proibito”.

La “Rivoluzione dei rosari”

Pessima anche la relazione del padre del neopresidente con la Chiesa cattolica, grande protagonista della cosiddetta “Rivoluzione dei rosari” che portò alla sua caduta. Fu infatti solo dopo l’appello alla popolazione lanciato dal cardinale Jaime Sin dai microfoni di Radio Veritas “in difesa della verità e della libertà” che nel 1986 centinaia di migliaia di fedeli filippini, da tutte le province del paese, si ammassarono davanti al santuario dell’Edsa per poi invadere le strade della capitale, circondando i blindati di Marcos pregando e recitando insieme il rosario. Furono quei cinque giorni di rivoluzione pacifica che misero fine a 20 anni di regime. Un evento passato alla storia delle Filippine appunto come la “Rivoluzione dei rosari”.

Com’è stato dunque possibile che il 64enne Marcos jr abbia ricevuto con Sara Duterte il sostegno di 31 milioni di filippini? In primo luogo per la disillusione nella democrazia, mai così alta secondo i sondaggi, e per il fallimento delle politiche pubbliche nel soddisfare le esigenze di base dei Filippine, dove «la povertà è sempre più diffusa, la disuguaglianza è aumentata in modo esponenziale e la corruzione nel mondo politico rimane dilagante», spiega a Tempi un missionario da Manila che per motivi di sicurezza ci chiede l’anonimato. Un voto di protesta, dunque, ma soprattutto un clima di disinformazione e propaganda dilagante, denunciato da tutti gli osservatori internazionali, un elemento che ha favorito pesantemente la vittoria del figlio dell’ex dittatore. Inoltre, Marcos Jr «è stato abile nello sfruttare il voto dei giovani, che non hanno memoria storica degli anni della dittatura, abbattuta 36 anni fa dalla Rivoluzione dei rosari», analizza il missionario.

L’appello dell’arcivescovo di Manila

Oggi a Manila il clima è teso. Nei giorni scorsi la giornalista e premio Nobel per la Pace Maria Ressa ha rilasciato un duro comunicato denunciando il rischio di un ritorno di tendenze anti-democratiche e nella capitale si susseguono manifestazioni contro “le disfunzioni” del sistema di voto. Manifestazioni disperse con durezza dalla polizia. Per questo, lo scorso 17 maggio, il cardinale Jose Advincula, arcivescovo di Manila, ha dichiarato che «in questo momento, sarebbe meglio che tutti mantenessero la calma e che tutti credessero nel processo democratico».

Marcos Jr ha definito più volte il regime dittatoriale del padre “l’età d’oro” delle Filippine e ha incentrato tutta la sua narrativa elettorale sul cercare di ripulire l’immagine della sua famiglia. Inoltre, ha già promesso che porterà avanti le politiche di repressione al traffico di droga attuate dal suo predecessore e sostenitore Rodrigo Duterte. «Duterte è stato un disastro ma con Marcos Jr le cose rischiano di peggiorare ancora», spiega a Tempi il missionario. «Anche perché – aggiunge – con il nuovo presidente le Filippine sono destinate ad avvicinarsi sempre più alla dittatura cinese e ad allontanarsi dalla democrazia. Mala tempora currunt».

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