
Fermi tutt*, a Macao c’è magrebin* e magrebin*

Fermi tutt*, ci sono magrebin*. Non fosse tragica sarebbe comica: il centro sociale Macao chiama la polizia per sgombrare i migranti. Accade a Milano, nell’ex borsa del Macello di viale Molise 68, palazzina liberty occupata – ops, “liberata” – dai compagni griffati Apple – ops, “lavoratori dell’arte” -: raccontano i giornali che lo scorso giovedì è in corso una mostra sull’antirazzismo quando un gruppo di magrebini fa irruzione armato di spranghe e coltelli. Panico tra compagni che scappano da Macao mentre i barbari si barricano dentro. E che fanno gli antirazzisti antileghisti spodestati dai nuovi occupanti? Chiamano la celere per sgombrarli.
Macao vs migranti, visual art vs coltelli
Arrivati, i poliziotti non trovano nessuno, gli invasori sono scappati. E chi sono questi magrebini? Racconta il Giorno che alcuni “referenti di Macao” parlano di “componente violenta”: tra le palazzine accanto a Macao, a loro volta occupate da centinaia di migranti, famiglie, minori non accompagnati, lavoratori che non possono permettersi un affitto e beneficiari del «cordone di muto ascolto» degli antagonisti, c’è qualche testa calda, spacciatori, violenti. «Avevamo già subìto dei furti notturni: il mese scorso sono spariti strumenti e macchinari utilizzati nella falegnameria per la formazione dei migranti». E giovedì un magrebino molesto allontanato dalla mostra è tornato con i rinforzi che hanno occupato il centro occupato, da qui la chiamata al 112 per lo sgombero (nel frattempo i nordafricani si sono sgomberati da soli).
Si capisce, «la gente era terrorizzata». Si capisce anche che non ci siano più i compagni di una volta (quelli dell’«Acab» permanente o degli striscioni a Palazzo Marino «Destra o sinistra, chi sgombera è un fascista»), e che chi ha fatto di «produzione artistica come un processo praticabile per ripensare il cambiamento sociale, elaborare una critica politica indipendente e come spazio per modelli di governance e produzione innovativi» abbia poco da brandire «arti performative, cinema, visualarts, design, fotografia, letteratura, newmedia, hacking» davanti a spranghe e coltelli.
Un tetto a tutt*. Pure ai “gahanes*”
Più indecifrabile resta il piano di battaglia culturale con cui i nuovi compagni intendono affrontare a mani nude e performance artistiche la questione immigrazione. In una filippica anti fake news tossiche indirizzata su Facebook al «candidato sindaco della destra Luca Bernardo» – che ad agosto proponeva a Repubblica di sgomberare i centri sociali per fare posto a donne e bambini profughi afghani con un linguaggio che secondo Macao finiva per «polarizzare su stereotipi divertenti ma inesistenti» la campagna elettorale – gli attivisti si davano alla lotta senza quartiere per il DIRITTO ALLA CASA (il caps lock è degli attivisti) di centinaia «cittadin* migranti» come quelli che occupano le palazzine di fianco a Macao, in questi termini: «Il candidato sindaco al comune di Milano, per vincere le elezioni, dovrebbe scrivere a La Repubblica una lettera in cui dichiara il proprio impegno a investire soldi pubblici per garantire un tetto a tutt*, afgan*, egizian*, sirian*, marocchin*, algerin*, gahanes* e italian*. Questa promessa, siamo cert*, costruirebbe consenso all’interno delle tanto blasonate periferie. Sicur* di aver chiarito il malinteso, auguriamo buona campagna elettorale a tutt*».
Macao è per «per tuttз»
A tutt*. Pure ai “gahanes*”. Ma non è finita, i compagni fanno sul serio, in seguito ai fattacci di giovedì sera, davanti all’inaccettabile «incuria delle istituzioni e ai tentativi di strumentalizzazione delle forze politiche, chiamiamo una due giorni di confronto, attività e dibattito l’8 e il 9 di ottobre. Un incontro con il quartiere e la città per capire come superare questa situazione e come garantire più vivibilità per tuttз sul territorio». Tuttз. Che forse era un tuttə, non si sa mai, neanche di che se ne potrebbero fare dell’asterisco e dell’accoglienza lessicale alcun* migrant*.
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