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Il Deserto dei Tartari

Fenomenologia del nuovo inquisitore

Rodolfo Casadei
02/12/2018 - 3:00
Blog
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Perché lo fanno? Perché non si vergognano di farlo? È la domanda retorica che puntualmente mi sorge spontanea ogni volta che leggo notizie come quelle che tempi.it riporta con scrupolosa puntualità: parlamentari laburisti e liberal-democratici che chiedono che sia annullata la nomina del grande filosofo Roger Scruton a consulente gratuito del ministero dell’Edilizia perché secondo un’inchiesta del sito liberal americano Buzzfeednews in alcuni suoi interventi sarebbero ravvisabili estremi di omofobia, islamofobia e antisemitismo; docenti dell’università di Tolosa che in seguito alle proteste di un’associazione studentesca sopprimono il corso tenuto da un collega perché costui ha tenuto una conferenza all’università estiva promossa dalla Manif pour tous (il movimento francese contrario all’istituzione del matrimonio fra persone dello stesso sesso, ndr); il preside di una Facoltà di medicina in Svezia che in seguito a una lettera di doglianze di uno studente intima a uno stimato professore di neurofisiologia di chiedere scusa per le espressioni che ha usato per rispondere a domande che vertevano sull’omosessualità femminile e sulla transessualità, e al rifiuto di quest’ultimo apre un’inchiesta disciplinare su di lui (che si conclude con un’assoluzione, ma anche con la stesura di un rapporto dove si legge che esiste un «rischio di discriminazione», in forza del quale l’università d’ora in poi rafforzerà i “controlli di genere” sulle lezioni).

Perché in società dove le costituzioni e le leggi ordinarie proteggono e incoraggiano la libertà di parola, di espressione, di attività politica e di ricerca scientifica ci sono così tante persone che non ricorrono a queste libertà per discutere e controbattere le argomentazioni e le convinzioni altrui, ma prendono queste ultime a pretesto, quasi sempre alterandole, manipolandole, astraendole dal contesto in cui sono state formulate e interpretandole malevolmente, per silenziare le persone “colpevoli” di averle formulate? A volere la morte civile di chi esprime idee difformi da quelle che vanno per la maggiore o che rappresentano il pensiero dominante in certi ambienti non sono estremisti religiosi espressione del fondamentalismo cristiano o islamico, intolleranti per definizione, ma figli dell’illuminismo, politicamente collocati lungo l’arco che va dai liberaldemocratici ai socialdemocratici. Che fine ha fatto il pensiero attribuito a Voltaire: «Non sono d’accordo con quello che tu dici, ma darei la vita perché tu lo possa esprimere»? Che fine ha fatto la “società aperta” di Karl Popper, che da bravo epistemologo moderno sapeva che ogni conoscenza è provvisoria e fallibile, e dunque bisogna sempre essere aperti a punti di vista alternativi? Perché la Fondazione Open Society creata dalla Fondazione Soros proprio in omaggio al pensiero del filosofo austro-britannico fra le sue tante battaglie civili non ne prevede nessuna in difesa dei dissenzienti, dei dissidenti, dei non conformisti?

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Forse per trovare risposta a queste domande bisogna pescare nelle profondità dell’animo umano, così come si presenta da sempre, ma anche così come lo ha modellato la società democratica moderna. Credo che la prima motivazione sia la sensazione di potere, di importanza di sé e di senso della propria vita che il delatore prova quando la sua azione sortisce i risultati che sperava. Normalmente i delatori/inquisitori sono persone che hanno poco potere e che pensano di meritarne molto di più, e che per questo si sentono frustrate: studenti, giornalisti poco noti, insegnanti e docenti universitari di seconda fascia. Una sorta di sottoproletari intellettuali che dietro il paravento ideologico del servizio a una nobile causa (la lotta alle discriminazioni basate su razza, etnia, genere, orientamento sessuale, ecc.) realizzano la loro aspirazione di esercitare potere sulla vita altrui e in particolare su quella di persone collocate più in alto di loro nella scala sociale. Questo fenomeno probabilmente c’è sempre stato, e l’avvento dell’era democratica non ha cambiato le cose: anche se i re e le aristocrazie sono virtualmente scomparsi, la persona comune risulta dotata di pochissimo potere nel confronto con le élites, anzi il divario si è enormemente accresciuto rispetto ai tempi in cui il governo non era nelle mani del popolo ma in quelle di imperatori, re e aristocratici.

A maggior ragione dunque l’uomo democratico si sente impotente, e prova la tentazione di abbassare gli altri a sé per sentirsi meglio. Ma anche in passato dietro le delazioni che muovevano gli inquisitori e dietro lo zelo di molti di loro c’era un’inconfessata invidia sociale e l’ebrezza del ribaltamento dei ruoli fra ricchi (relativamente) e poveri, fra fortunati e sfortunati, fra famosi e anonimi: Inés Bilbatua, il personaggio del film di Milos Forman L’ultimo inquisitore che viene torturata dal Sant’Uffizio per farle confessare pratiche giudaizzanti, non è un personaggio storico, ma la vicenda della sua denuncia da parte di due spie dell’Inquisizione che interpretano malevolmente il suo comportamento in una taverna di Madrid è verosimile. Lei è giovane, bella ed è la figlia di un ricco mercante, loro sono due uomini di mezza età vestiti di nero che devono tenere riservata la propria identità. Farla cadere nella polvere riscatta la loro mediocre vita.

Da tempo l’Inquisizione non esiste più, ma qualcosa della bassezza morale di molti suoi agenti e ufficiali lo si può ancora sorprendere in certi comportamenti in ambienti ecclesiali dove si trova sempre qualcuno pronto a interpretare con uno zelo che rasenta l’entusiasmo il ruolo del fustigatore dei reprobi che si discostano dalla linea dettata da chi conduce questa o quella realtà comunitaria. Da una parte costui ha un interesse costituito nel denunciare i dissidenti e i non allineati, perché con la loro semplice esistenza costoro rappresentano una diminuzione della sua autorevolezza e del suo potere in quanto agente qualificato del “regime”. Nei sistemi religiosi totalizzanti, come nei sistemi politici autoritari, la più piccola crepa mette in pericolo tutto l’edificio: da qui la necessità di denunciare e denigrare qualsiasi dissenso, anche quando si presenta in forma indiretta. I sistemi autoritari e quelli totalitari sono fragili: poiché si reggono su menzogne o su verità parziali assolutizzate (quindi divenute ideologiche), la più piccola dose di verità o anche il semplice tentativo di accostarsi alla verità attraverso iniziative e percorsi che non sono quelli indicati da chi detiene l’autorità rischiano di mettere in crisi l’intero sistema.

Dall’altra parte, il ruolo di guardiano della vera fede insidiata dagli eretici è estremamente gratificante per chi lo esercita, sia per l’ebrezza del potere che sente di avere sulla vita di altre persone, il cui onore e le cui relazioni sociali l’inquisitore può annientare semplicemente con qualche parola di biasimo; sia soprattutto perché la comunità è normalmente recettiva rispetto alle denunce degli inquisitori, in quanto il discredito gettato sul capro espiatorio consolida la sua debole coesione. Oggi più che in passato le comunità, sia religiose che civili o di altro genere, sono fragili perché in realtà la vita comune e la vita messa in comune sono scarsissime. La comunità – religiosa o civile o di altro genere – si illude di fare esperienza di solidarietà e di unità nel comune rigetto del reprobo indicato dall’autorità. E qui il discorso si allarga inesorabilmente al processo con cui l’ideologia liberal-democratica e il sistema economico capitalista che ne è la base materiale hanno distrutto le comunità organiche e le hanno sostituite con comunità fittizie, che esistono solo su base ideologica. L’egualitarismo è stato la parola d’ordine sia del comunismo che dei democratici, dei radicali e dei liberal di sinistra, ma solo la liberal-democrazia è riuscita a realizzarlo con successo.

Per massimizzare la produzione e i profitti bisognava smantellare le vecchie solidarietà comunitarie che facevano da freno, trasformare la società con tutti i suoi corpi intermedi in una semplice somma di individui, facendo credere alle persone che sarebbero state libere e uguali se si fossero liberate delle vecchie appartenenze. Quel che è successo dopo lo descrive bene Ryszard Legutko: «Poiché l’egualitarismo indebolisce le comunità e così priva gli uomini dell’ambiente che dà loro un’identità, esso crea un vuoto intorno a loro. Da ciò nasce il desiderio di una nuova identità, stavolta moderna e in linea con lo spirito dell’egualitarismo militante. Le ideologie incarnano questo ruolo perfettamente. Esse organizzano la coscienza di sé della gente fornendo loro un senso della vita, uno scopo individuale e collettivo, un’ispirazione per sforzi ulteriori e un senso di appartenenza. Con l’emergere dell’ideologia il problema dell’individuo solitario in una società egualitaria non esiste più: il femminismo rende tutte le donne sorelle, tutti gli omosessuali diventano fratelli nella lotta, tutti gli ambientalisti diventano parte di un movimento internazionale verde, tutti gli avvocati della tolleranza si uniscono ai ranghi di una crociata internazionale antifascista, e così via».

Ecco perché a tanti oggi piace giocare la parte dell’inquisitore: oltre alla gratificazione del senso di potere sulla vita degli altri, c’è la gratificazione del senso di appartenenza a una comunità. In realtà inesistente come tale.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

Tags: dirittiinquisizionelibertàrepressione
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