Fedez si candida? Nell’epoca del politainment tutto è possibile
Con la mossa della registrazione del sito fedezelezioni2023.it il rapper marito di Chiara Ferragni ha aggiunto un nuovo capitolo al grande romanzo della comunicazione sul «purché se ne parli».
Il punto non è «dove vuole arrivare?»
Obiettivo raggiunto – questo articolo, come le decine che stanno uscendo in questi giorni, lo dimostra – da giovedì ci si interroga se la sua sia soltanto un’operazione di marketing per il nuovo album in arrivo dopo il lancio di un video molto discusso, un ballon d’essai, un “vediamo come reagisce la gente” o una decisione vera di impegnarsi in qualche modo in politica al grido di «Apriremo il Parlamento come un flaconcino di smalto» (copyright Le frasi di Osho). Speculare adesso sui progetti futuri di un cantante mediocre che quando fa l’impegnato fa riflessioni profonde come quelle di Fragolina69 e non ne azzecca una manco per sbaglio sarebbe inutile, oltre che pigro.
Bene ha scritto ieri sulla Stampa Annalisa Cuzzocrea:
«Il punto non è questo. Non è la violenza delle parole, sulla quale gli esponenti dei partiti che siedono oggi in Parlamento non possono certo dare lezioni. Non è il “dove vuole arrivare?” Che ieri risuonava in un Transatlantico di nuovo abitato da ombre in attesa di un voto […]. La domanda è un’altra: dov’è la differenza? In quale angolo dello spazio pubblico risiede ancora la distinzione tra un cantante che usa i suoi social per diffondere messaggi in cui crede, e contemporaneamente promuovere se stesso, e politici che con Facebook, Twitter, Instagram, perfino Tik Tok fanno assolutamente lo stesso. […] E allora, se la differenza troppo spesso non si vede, se il medium è lo stesso ed è usato nello stesso modo, se la maggior parte dei partiti scompare dietro il leader di turno, tutto è possibile come tutto lo è stato».
L’epoca del politainment
«Qual è la realtà della politica?», si chiedeva qualche mese fa su Tempi Lorenzo Castellani. «O, meglio, cosa è la politica oggi? Viviamo in un mondo dicotomico, sempre più diviso tra ciò che si vede e ciò che non si vede. Iniziamo da ciò che si vede. Come in una rappresentazione teatrale i pupi si dispongono sulla scena: ci sono i leader politici, gli opinionisti, gli influencer, le starlette. Tutti partecipano allo stesso gioco e con gli stessi strumenti. Infilano la testa nello smartphone per le dirette Facebook, subissano di foto gli account Instagram, partecipano ai soliti programmi televisivi raccontando storie intime e personali, litigano su Twitter tra di loro. In altre parole, producono intrattenimento. C’è la politica, c’è la rappresentanza, certo, ma c’è una nuova forma mista che potremmo chiamare politainment. Somma di politica ed entertainment. Vale per leader politici narcisisti e superficiali; per giornalisti che si vestono come rockstar e si crogiolano nel loro parlare sporco; per starlette passate alla politica e per politiche entrate nel mondo dello spettacolo; per gli influencer, i cantanti, gli artisti che sfruttano temi politici a loro cari per un’azione di marketing ad ampio spettro. Tutto, purché se ne parli».
Viviamo nell’epoca della fast democracy, del referendum istantaneo online sull’ultima dichiarazione fatta sui social. Lo hanno fatto e lo fanno Grillo, Renzi, Salvini, potrebbe benissimo farlo un domani Fedez. Tanto, nell’epoca del politainment, contano solo le verità soggettive che fanno tendenza e acchiappano like. Scriveva ancora Castellani: «Conta di più la polemica di Fedez con la Rai o chi costruirà la rete 5G nel prossimo futuro? Gli spiedini di Salvini o chi saranno gli azionisti delle prime banche del paese? Il numero dei follower o i bond comprati dalla Bce?». La domanda è retorica, la risposta, guardando quello che occupa i dibattiti sui media e tra politici, non così scontata.
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