Fate come se (non) foste a casa vostra

Di Fiorina Capozzi
07 Ottobre 2017
L’iniziativa del Mef cambierà la mentalità di un paese abituato a trattare le banche come un materasso in cui mettere i soldi al sicuro? Rispondono Bernardo e Zanetti

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Documenti difficili da capire anche solo per aprire un conto corrente. Difficoltà a paragonare proposte di strumenti finanziari da parte di banche differenti e testi infarciti di vocaboli anglosassoni che non rendono la vita facile ai risparmiatori. Il mondo del credito e della finanza non è un libro aperto per tutti. E forse anche per questo è accaduto che investimenti a rischio siano finiti nelle tasche sbagliate. Tutta colpa della scarsa alfabetizzazione italiana o anche di intermediari aggressivi focalizzati solo sul business? E soprattutto, dopo i crac bancari recenti, da dove si può ripartire per ricostruire il rapporto di fiducia fra clienti e banche?

Tempi lo ha chiesto a due esponenti di primo piano della politica italiana: da un lato, il deputato del Partito democratico Maurizio Bernardo, presidente della commissione Finanze della Camera e uomo vicino al segretario del partito, Matteo Renzi; dall’altro, l’onorevole Enrico Zanetti, segretario di Scelta civica, già viceministro dell’Economia e delle Finanze (Mef) nel governo Renzi, di recente passato al centrodestra dopo un incontro ad Arcore con Silvio Berlusconi. Due visioni diverse per un tema che preoccupa molto gli italiani.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Per il presidente Maurizio Bernardo, il Comitato per l’educazione finanziaria è la chiave di volta che consentirà al paese di recuperare terreno sul fronte dell’alfabetizzazione finanziaria. «Di fatto finora, a differenza di altri paesi, l’Italia non ha mai avuto una regia su questo argomento», precisa il deputato pd a Tempi. «Non c’è mai stata una legge che sancisse la qualifica di educazione finanziaria non solo in ambito scolare ma anche nel mondo delle professioni. Aver definito l’educazione finanziaria e creato questo comitato significa aver dato finalmente vita a una nuova strategia nazionale a tutela del risparmio».

Per Bernardo il Comitato, appena istituito al Mef, è un primo passo per migliorare un sistema che ha mostrato tutti i suoi limiti . Nei recenti fatti bancari di malafinanza «credo ci sia stata una responsabilità diffusa fra tutti gli stakeholder (tutti i soggetti coinvolti, ndr) e le istituzioni», puntualizza. «Non è mio costume addebitare responsabilità, ma rilevo come la sensazione sia che tutti gli attori in gioco abbiano viaggiato per conto loro. È come se banche, autorità di vigilanza e istituzioni avessero operato su binari paralleli. Per questo è importante la legge appena varata: finalmente nasce sotto il cappello del Mef un comitato che fornirà le linee guida per sviluppare una nuova cultura economico-finanziaria». Per il presidente della commissione Finanze è stata proprio l’assenza di un modello di riferimento a rendere in passato i risparmiatori più vulnerabili. Anche a dispetto del fatto che esistessero delle iniziative a favore dell’educazione finanziaria. «Sui siti di Consob o di Bankitalia ci sono state campagne di comunicazione su temi economico-finanziari», continua Bernardo. «Non si può dire quindi che le autorità di vigilanza non abbiano fatto nulla. È mancata invece una cabina di regia, capace di mettere assieme tutti gli sforzi di diversi soggetti nell’interesse generale. È mancato cioè il piano di coordinamento generale».

A ciascuno la sua parte
Adesso le cose sono destinate a cambiare. A patto che ci sia il contributo di tutti. Incluse le associazioni dei risparmiatori, presenti nel Comitato con l’Adusbef, da sempre molto critica nei confronti del mondo bancario e finanziario. «Le associazioni dovranno avere un ruolo costruttivo», spiega Bernardo. «Dovranno contribuire a diffondere una nuova cultura finanziaria che passerà non solo attraverso il mondo dell’associazionismo, ma anche delle categorie produttive, delle professioni e delle università. In questo modo, si potranno raggiungere non solo quelli che saranno i consumatori finanziari di domani con interventi nelle scuole, ma soprattutto coloro che già oggi acquistano questi prodotti». Tanto più che sul mercato si affacciano nuovi intermediari e nuovi prodotti legati a doppio filo con il futuro pensionistico degli italiani. «Abbiamo il dovere di mettere i risparmiatori in condizione di saper valutare i prodotti finanziari le cui caratteristiche dovranno essere semplificate nelle proposte degli intermediari», aggiunge Bernardo, evidenziando come «la semplificazione della documentazione aiuterà molto» a ricostruire il rapporto fra clienti e banche.

Inoltre, nella sua visione, anche i sindacati potranno dare un contributo. Soprattutto quelli bancari, offrendo formazione ai propri iscritti e puntando su un codice etico per gli associati. «Del resto qualcuno questi prodotti li ha venduti ai risparmiatori, e non credo sia stato l’amministratore delegato. Non possiamo accusare solo i banchieri».

«I risultati? Non tarderanno»
Bernardo evidenzia come il piano d’azione del Comitato sfrutterà tutti i canali di comunicazione a disposizione dello Stato: «Mi piacerebbe – dice – che anche la Rai, nel suo palinsesto, inserisse degli spazi dedicati alla cultura finanziaria. Era già previsto all’articolo 5 della “Buona scuola”. Inoltre dovranno essere sfruttate anche le nuove tecnologie con un lessico adeguato, “quotidiano” e di facile comprensione. In questo ha un compito anche il mondo della comunicazione, chiamato a usare termini più semplici e meno ancorati alla lingua inglese. Con l’impegno di tutti gli attori sono certo che i primi risultati non tarderanno ad arrivare». Anche grazie al supporto di una struttura che – annuncia Bernardo – non tarderà ad arrivare. A servizio del Comitato potrebbero infatti essere coinvolte, a costo zero, risorse provenienti dai ministeri interessati (Lavoro, Sviluppo economico, Istruzione e Mef), in modo da rendere subito operativi i nuovi progetti.

Per l’ex viceministro Enrico Zanetti non c’è dubbio alcuno sul fatto che l’Italia debba investire di più in educazione finanziaria. Tuttavia, se davvero si vuole ricostruire un rapporto di fiducia fra clienti e istituzioni finanziarie, è necessario un ulteriore passo in avanti: bisogna rendere certa la pena per chi ha abusato della fiducia dei risparmiatori. Per Zanetti si tratta di un punto centrale in uno Stato in cui la cultura economico-finanziaria è rimasta indietro per motivi quasi “strutturali”. «Siamo un paese di grandi risparmiatori piuttosto che di avventurosi investitori», spiega a Tempi. «La propensione al risparmio è tutt’altro che un male, ma indirettamente ha alimentato la convinzione diffusa che non serva avere chissà quali nozioni di finanza ancorché di base. In altri paesi dove invece c’è minore avversione al rischio e all’investimento finanziario, ciò non è avvenuto perché è questa stessa attitudine ad aver generato l’interesse a informarsi». Se l’Italia è al 63esimo posto nella classifica mondiale dell’alfabetizzazione finanziaria, non è colpa degli italiani, piuttosto secondo Zanetti è «la conseguenza di un’attitudine in sé tutt’altro che negativa».

Diverso è il tema della responsabilità del mondo politico, che non è stato in grado cogliere e interpretare il rapido mutamento della finanza. Per Zanetti, «la politica italiana non ha saputo coniugare adeguatamente la necessità di mettere sull’avviso i cittadini che il mondo stava cambiando con l’opportunità di evitare allarmismi, i quali paradossalmente avrebbero potuto alimentare e amplificare a loro volto i rischi che si volevano prevenire». La questione non è da poco in un contesto in cui associazioni dei consumatori e anche una parte della politica puntano il dito contro le autorità di vigilanza, su cui, nonostante le defaillance, il giudizio definitivo resta sospeso. «Gli organi di vigilanza non vanno né accusati a scatola chiusa come hanno fatto all’inizio i Cinque stelle, né assolti a scatola chiusa come ha fatto alla fine il premier Paolo Gentiloni», chiarisce Zanetti. «Andava aperta la scatola, ma ormai la vicenda della commissione d’inchiesta è una farsa imbarazzante da cui prendo totalmente le distanze. Due fatti sono comunque oggettivi. Primo: il presidente della Consob ha voluto, senza esserne costretto, eliminare i prospetti con gli scenari probabilistici di facilissima comprensione. Secondo: Bankitalia sapeva dal 2001 che le banche popolari venete determinavano il valore delle proprie azioni secondo modalità inadeguate che ne generavano la sopravvalutazione, ma non ha fatto niente, a parte scrivere lettere riservate ai soli amministratori delle stesse banche, che leggevano e continuavano».

Sicurezze e responsabilità
Fatti gravi come questi hanno minato alla radice la fiducia dei risparmiatori. Di qui l’impegno del Mef nella creazione del Comitato per l’educazione finanziaria in cui è entrata anche l’Adusbef, associazione a difesa degli utenti di servizi bancari e finanziari. «Di sicuro i rappresentanti dei consumatori aiuteranno a far capire che, quando si entra in banca, non si entra in territorio nemico, ma non è neppure come essere in casa propria», aggiunge l’ex viceministro. «Dovranno aiutare a far comprendere agli utenti che non esistono le obbligazioni e tanto meno le azioni senza rischio». Nella visione di Zanetti, però, è difficile che l’operazione coinvolga attivamente anche i sindacati, che pure attraverso i Caf hanno sviluppato in passato competenze rilevanti sui servizi fiscali ai cittadini.

Non resta che chiedersi se il Comitato per l’educazione finanziaria riuscirà davvero nell’intento di migliorare la cultura economica del paese. Secondo Zanetti è possibile che nuovi progetti aiutino i risparmiatori a districarsi nella giungla dei prodotti finanziari. Tuttavia da parte dello Stato c’è bisogno di un impegno maggiore. Si dovrebbe «andare nelle scuole a spiegare che, se una banca fallisce, è logico che chi ne ha sottoscritto le azioni perda il proprio investimento. Ma è altrettanto logico che chi ha provocato il dissesto vada in galera e chi non ha controllato adeguatamente pure», conclude. «Purtroppo non possiamo farlo, perché prenderemmo in giro i ragazzi, come dimostra anche la vicenda della commissione d’inchiesta. E questo sarebbe diseducativo, altro che educazione». Una problematica dolorosa, tanto più nel momento in cui si affacciano all’orizzonte sfide importanti come il cambiamento del sistema pensionistico e la necessità di sviluppare un sistema integrativo a sostegno degli assegni previdenziali di domani.

@fiorinacapozzi

Foto Shutterstock e Ansa

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