Far parlare Flamigni è un autogol

Di Berlicche
07 Febbraio 2008

Mio caro Malacoda, ma non ti vergogni? Se c’è in giro uno che può farci fare brutta figura ti precipiti a promuoverlo e a farlo intervistare. Non t’è bastata la figuraccia rimediata con i 67 fisici? Adesso ti metti a fare il consigliere anche dei ginecologi. Potrà sembrarti strano che sia io a dirtelo, ma certa gente è bene non frequentarla. Rileggiti quel capolavoro di pagina 16 del Corriere della Sera di domenica 3 febbraio e dimmi se non ho ragione. Parti dal titolo: “Se il feto è vivo va rianimato. È scontro”. Se devi manipolare il linguaggio, fallo meglio. Il “feto vivo” fuori dall’utero si chiama “neonato”, non c’è chi non lo sappia, infatti, nell’articolo, il documento che ha scatenato lo “scontro” dice: «Un neonato vitale, in estrema prematurità va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio e assistito adeguatamente». Già siamo sotto accusa per la soppressione di una vita “nel grembo della madre”, non mi sembra una buona strategia estendere la casistica anche ai neonati e farci carico dell’accusa di infanticidio, ogni giorno la sua pena. Ma il peggio l’hai dato col professor Carlo Flamigni. Ti sembra il caso di tirare in ballo i soldi di fronte a chi ricorda che «con il momento della nascita la legge attribuisce la pienezza del diritto alla vita e quindi all’assistenza sanitaria»? Il professore parte bene, anche se il fumo dell’ipocrisia (roba genuinamente nostra) traspira fin dall’inizio dai suoi argomenti, ma la mozione dei sentimenti qualche effetto l’ottiene sempre: «È terribile che i genitori vengano ascoltati sempre per ultimi, che i loro desideri non siano tenuti in nessuna considerazione. Terribile che il loro bambino venga mantenuto vivo a forza». Io dei genitori così non li vorrei, ma che l’amore possa essere perverso non lo devono venire a spiegare a noi. Ma poi come t’è venuto in mente di tirare in ballo i soldi? Di scaricare la colpa dell’insostenibilità della spesa sanitaria sui prematuri? «I soldi di questo paese verrebbero buttati via per cure inutili». Va bene che i nostri nemici sono scemi, ma un po’ di logica resta pure a loro. Seguimi. Una coppia di omosessuali donne decide di avere un figlio, lo desidera molto. Sono entrambe sterili e necessitano di tutto: ovuli, seme, utero in affitto. I primi li prendono (a pagamento) da una donna che però non vuole portare il peso di una gravidanza, il (secondo a pagamento) da una ben fornita banca dello sperma. Oltre alla parcella della donatrice ci sono i costi medici per il prelievo degli ovuli, della fecondazione in vitro e quelli per la crioconservazione. Per sicurezza mettono di mezzo un notaio (altra parcella). L’utero in affitto non funziona, si fanno più tentativi (e più fatture) e poi si decide di cambiare soggetto. La nuova porte-enfant resta finalmente incinta, ma alla ventiduesima settimana decide di abortire in nome della libertà di scelta della donna esercitabile in qualsiasi momento; non perché ha detto sì alla gravidanza può essere costretta a partorire. Il “feto”, che si sente un po’ responsabile di tutti gli sforzi che in così tanti hanno fatto per lui, pensa bene di nascere vivo, anche se, questa volta, a spese del sistema sanitario nazionale. E a quel punto il professor Flamigni dice che assisterlo costa? Ma ti pagano per trovarti certi esperti?
Tuo affezionatissimo zio                      Berlicche

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