Famiglie. E mazziate

Di Stefano Morri
17 Novembre 2000
Sapete come si chiama quel Paese dove una coppia monoreddito con due figli a carico paga quasi le stesse tasse di un single con lo stesso reddito e senza figli a carico? Italia, naturalmente. Mentre in Germania, Francia, Spagna, Belgio…

L’euro costringe ai confronti. Due economisti milanesi, Giacomo Boesso e Achille Vernizzi, hanno comparato l’imposizione diretta sulle famiglie italiane a quella di 11 stati dell’Unione Europea. Lo studio – forse il più aggiornato e ricco di dati sull’argomento fisco/famiglia – verrà pubblicato nel numero di dicembre della rivista La Famiglia. L’esito dei confronto non lascia dubbi: l’Italia è tra i paesi europei che adottano le politiche più blande di riduzione dell’imposta in relazione ai carichi familiari.

Perché gli italiani non fanno figli? Vedete voi…
Ad esempio una coppia monoreddito con due figli a carico che percepisca il salario medio di un lavoratore nel settore industriale paga in Italia il 15,3% di Irpef, contro il 10% in Germania, il 3,7% in Francia e il 6,5% in Spagna. Un single con lo stesso reddito paga in Italia il 18,8%, il 21,2% in Germania, il 10,5% in Francia e il 13,8% in Spagna. L’Italia esce male anche dal confronto sui livelli di reddito esenti da imposta, quelle fasce che rappresentano il minimo vitale al di sotto del quale non si deve dare imposizione. Oltre ad avere il reddito esente tra i più bassi in Europa, l’Italia lo differenzia in modo meno pronunciato al crescere del nucleo familiare. Confrontando un single e una coppia monoreddito con due figli a carico si rileva che in Italia il reddito esente della famiglia è il 173% di quello del single, in Spagna il 253%, in Germania il 251% e in Francia il 300%. A questa stessa coppia con un reddito di 20.000 euro (circa 40 milioni) sono riconosciute in Italia deduzioni per 4.352 euro, contro 12.314 euro in Germania e 15.877 euro in Francia. Dunque il nostro sistema fiscale non riconosce la famiglia come centro di imputazione del reddito ma ha invece una visione individualistica del rapporto tributario. Ciò è assurdo sul piano sociologico perché implica la negazione dell’utilità di favorire la famiglia e la procreazione in uno stato ormai senza più crescita demografica. Tale impostazione inoltre disconosce il valore sociale della cura parentale a tempo pieno per l’educazione delle future generazioni.

Un modello fiscale incostituzionale
E’ però opportuno osservare come tale modello risulti anche incostituzionale. Il prelievo tributario, infatti, si deve uniformare ai principi di uguaglianza, capacità contributiva e progressività previsti dagli artt. 3 e 53 della Costituzione. L’uguaglianza consiste nell’assicurare il medesimo trattamento a situazioni uguali e un diverso trattamento a situazioni differenti. In campo tributario la misura dell’uguaglianza è data dalla capacità contributiva, intesa come detenzione delle risorse economiche che costituiscono il presupposto della partecipazione alla spesa pubblica. Nel settore dell’Irpef, la capacità contributiva è costituita dal possesso del reddito (così l’art.1 della normativa su questa imposta). Ora, possesso del reddito (e non produzione dello stesso) significa disponibilità. Il concetto implica che se sussistono legami giuridici che impongono al produttore del reddito di condividerne il possesso/disponibilità con altri, il possesso/disponibilità del produttore si riduce ed aumenta quello dei soggetti titolati a percepirne quota.Il principio di progressività fa il resto. Se il reddito disponibile pro-capite si riduce deve diminuire anche l’aliquota media dell’Irpef. In teoria sarebbe costituzionale solo un sistema che prevedesse la divisione perfetta del reddito prodotto dal capofamiglia per il numero dei componenti familiari, applicando peraltro a ciascuno di essi l’esenzione per il minimo vitale. Si tratta di sistemi adottati, col meccanismo del quoziente familiare, in Germania, Francia, Belgio e Lussemburgo.

Cambiare l’Irpef. Introdurre lo splitting
Il modello italiano è distante anni luce dal suo archetipo costituzionale. Altro che ritocchi al sistema (o alla giungla?) delle detrazioni e degli assegni familiari! Va rivista tutta l’impostazione dell’Irpef ora squilibrata da progressività iperbolica e disconoscimento della famiglia come soggetto passivo del rapporto tributario. Bisogna arrivare allo splitting tra i coniugi del reddito da essi prodotto (dunque somma e poi divisione per due) riconoscendo ad entrambi la detassazione del reddito minimo vitale e detrazioni non simboliche per i figli a carico. Allo stesso tempo, per evitare l’effetto contrario di una iniqua tassazione dei single, occorre rivedere la curva delle aliquote oggi troppo ripida (l’aliquota massima è raggiunta a soli 135 milioni annui) rendendola assai più dolce e con massimo tre o quattro scaglioni contro i cinque attuali. Il risultato sarebbe un’imposizione che rispetta il minimo vitale, non penalizza la procreazione, grazie a un sistema di detrazioni effettive per i figli a carico, e non discrimina i single grazie a una moderata progressività. Il tutto è ottenibile a parità di gettito per effetto della ridistribuzione del carico fiscale tra i diversi modelli di nucleo familiare, o con un calo di gettito trascurabile.Facile no? Perché non lo si fa? Il diavolo probabilmente…

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