
Famiglie in cerca di Cavaliere
In un’Italia dove (grazie a Cofferati&C.) il mercato del lavoro resta in stato comatoso, dove l’acquisto di una casa è un miraggio per la gran parte delle giovani coppie e dove una famiglia monoreddito con due figli paga in tasse poco meno di un single con reddito analogo, la decisione di diventare padri e madri richiede almeno il coraggio non comune di sfidare l’avvedutezza economica, quando non vere e proprie virtù eroiche. Sarà forse per questo che il Belpaese detiene il record europeo della crescita zero (con prossime brutte ricadute sul fronte previdenziale e sanitario).
Gli equivoci della tassazione familiare
In effetti, l’Italia non ha mai avuto una politica familiare degna di questo nome, pronta cioè a riconoscere i figli come un patrimonio per l’intera collettività. Piuttosto, a prevalere è stata sempre una concezione paternalistica dello Stato per cui «si trasforma il cittadino, che senza la pressione fiscale disporrebbe di risorse proprie, in assistito». Una filosofia applicata anche alla famiglia, oggetto d’interventi assistenziali per agevolare i redditi più bassi, ma mai di un’effettiva equità fiscale. La delega fiscale del governo Berlusconi sembrava l’occasione giusta per cambiare rotta, introducendo quell’equità orizzontale che esige che le spese affrontate per allevare ed educare i figli non vengano conteggiate nell’imponibile, qualunque sia il reddito.
«Non è mancata la voglia di fare, bisogna riconoscerlo, ma la svolta culturale che noi auspicavamo – osserva con rammarico Luisa Santolini, Presidente di quel Forum delle Associazioni familiari che riunisce 35 associazioni cattoliche (dai Focolarini all’Opus Dei, da Comunione e Liberazione alle Acli) e rappresenta 3 milioni e mezzo di famiglie italiane – Speravamo che venisse riconosciuta l’universalità delle deduzioni per i figli a carico, invece la Commissione Finanze della Camera ha concentrato le deduzioni sui redditi più bassi. Ma i figli, tutti i figli, sono una risorsa e le politiche familiari – per definizione – sono universali. A parità di reddito chi ha figli deve essere trattato in maniera diversa da chi non ne ha, fosse pure un miliardario. Abbiamo cercato di spiegarlo in tutti i modi: l’intervento assistenziale è doveroso, ma non può passare attraverso i figli. Tra l’altro, non si capisce perché le rottamazioni e le ristrutturazioni edilizie si possono detrarre dalle tasse senza limiti di reddito, mentre le spese per i figli no. Viene da pensare che in Italia un figlio vale meno di un’automobile».
A battersi per «meglio garantire la progressività dell’imposta» in favore dei redditi bassi è stato l’On. Vittorio Emanuele Falsitta (Fi). Sul Sole 24 Ore, Falsitta ha scritto che l’Italia ha bisogno di un fisco equo e solidale…
Benissimo: così non è né equo, né solidale. E non sono certo le politiche universaliste da noi auspicate a favorire i ricchi. Piuttosto è l’imposizione di un tetto di reddito a penalizzare in maniera vergognosa il monoreddito. In Italia, infatti, la tassazione è individuale (non si può fare il cumulo dei redditi marito-moglie), perciò io posso avere un marito miliardario, ma se faccio l’insegnante di scuola statale rientro nei tetti di reddito previsti e posso godere degli sgravi fiscali. Il monoreddito invece non scappa: è tutto scritto, bastano 1,500 Euro in più per perdere le deduzioni. Vorrei infine sottolineare un paradosso: una colf che stira le camicie e sistema la casa percepisce uno stipendio; se qualcuno la sposa, il suo accudire i figli e fare esattamente le stesse cose che faceva prima non ha più valore, non viene riconosciuto, non contribuisce a creare ricchezza. Queste sono follie culturali prima ancora che economiche e politiche.
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